Panama: la repressione continua
Il mandatario panamense gioca su più tavoli con un’estrema spregiudicatezza ed è conscio che i suoi omologhi possono chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani commesse dal suo governo poiché il paese riveste un ruolo centrale nell’ambito delle infrastrutture e in chiave Mercosur.
È in questo contesto che risulta piuttosto sconcertante il ricevimento di Mulino a Brasilia da parte di Lula, che presiede per sei mesi il Mercosur ed è interessato a stipulare un accordo di libero commercio con Panama, il cui governo intende fare il proprio ingresso in seno al Mercosur stesso. In più, Mulino sa bene che, a seguito del preoccupante dispiegamento di forze militari Usa nel Caribe come evidente forma di provocazione volta a creare un casus belli che permetta agli Stati Uniti di attaccare il Venezuela bolivariano, il suo paese, allineato a Washington, assume una posizione strategica di primo piano, soprattutto per la tutela degli affari statunitensi nel Caribe e nell’intera America latina.
Da un anno e quasi tre mesi (Mulino si è insediato il 1° luglio 2024) movimenti sociali e sindacati hanno sperimentato, sulla loro pelle, la violenza della repressione del presidente, già ministro della Sicurezza, tra il 2009 e il 2014, di Ricardo Martinelli, uno dei capi di stato più screditati che abbia mai avuto Panama. Già in quel periodo, sempre nella zona di Bocas del Toro, dove maggiore è stata la repressione governativa nei mesi scorsi, per stroncare sul nascere le proteste, Mulino aveva autorizzato l’utilizzo di gas lacrimogeni che hanno ridotto ad una parziali cecità decine di manifestanti secondo una tecnica che, tra il 2019 e il 2022, sarebbe stata utilizzata per frenare l’estallido social in Cile e Colombia. Allora gli apparati repressivi dello Stato panamense spararono contro i lavoratori delle piantagioni il cui scopo era vietare gli scioperi e impedire il diritto di iscriversi liberamente a un sindacato: vi furono oltre 700 lavoratori, 67 riportarono lesioni agli occhi, 3 rimasero ciechi e 43 persero parzialmente la vista.
La genuflessione agli Usa è tale che il governo Mulino si è affrettato a firmare un accordo con Washington per il rimpatrio forzato dei migranti che cercano di raggiungere Panama attraversando la pericolosa giungla del Darién, alla frontiera con la Colombia, dove il presidente ha inviato un gran numero di militari per evitare che il suo paese diventi zona di transito dei migranti. Non è un caso se, lo scorso febbraio, il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha iniziato proprio da Panama il suo viaggio nel Caribe e in Centroamerica a cui è seguita, nei mesi scorsi, la ratifica, sempre con gli Stati Uniti, di un memorandum che autorizzava la presenza di militari nordamericani nel paese senza alcuna consultazione pubblica. Già in quella circostanza, si registrarono forti proteste in tutto il paese poiché il memorandum assestava un colpo mortale alla sovranità panamense.
Sparizioni forzate, arresti arbitrari, persecuzione di leader indigeni e sindacalisti caratterizzano la presidenza Mulino come quella di un regime autoritario. Il 17 e 18 agosto scorsi Alvin Hosley, alla guida del Comando Sur degli Stati Uniti, ha visitato per la terza volta Panama nel 2025 presiedendo degli addestramenti congiunti tra militari nordamericani e panamensi all’interno di una base Usa nella provincia di Colón. Il suo intento è chiaro: trasformare Panama nel cavallo di Troia degli Stati Uniti, anche se, proprio dall’invasione Usa del 1989, il paese è stato attraversato da una delle maggiori mobilitazioni sociali.
Oggi Panama si trova ad essere, da un lato, un paese crocevia di investimenti finanziari, logistica e merci, ma dall’altro rappresenta anche la stridente contraddizione del capitalismo globale, che accresce, ogni giorno di più, le disuguaglianze sociali. È per questo che, di fronte all’aperto disinteresse del governo verso uno stato sociale ridotto volontariamente a pezzi, il paese è sceso in piazza non solo contro la Ley 462, ma anche per difendere il diritto alle risorse idriche, contestare un estrattivismo esasperato e battersi per diritti basilari quali sono l’istruzione pubblica e un sistema sanitario aperto a tutti e non solo alla portata delle fasce sociali più agiate.
A questo proposito l’Alianza Pueblo Unido por la Vida e il Sindicato Único Nacional de Trabajadores de la Construcción y Similares (Suntracs), insieme ai lavoratori del settore bananiero e delle comunità indigene, oltre ad accusare Mulino per la violazione dei diritti umani e la trasformazione del paese in una sorta di stato di polizia, hanno denunciato la cosiddetta fatiga social planificada, una strategia volta ad aumentare la passività sociale, manipolare l’informazione e provocare disorientamento allo scopo di imporre con maggior facilità l’agenda neoliberale.
Un esempio di tutto ciò riguarda l’annuncio fatto da Mulino a fine luglio per sopprimere il Ministero della Donna con la poco credibile motivazione di ridurre la spesa pubblica sulla scia di quanto già fatto in Brasile all’epoca del bolsonarismo e in Argentina da Javier Milei. Ufficialmente le prerogative del Ministero della Donna saranno trasferite al Ministero dello Sviluppo sociale, ma è evidente che si tratta di una ulteriore strategia volta a militarizzare il paese.
Nonostante tutto le organizzazioni popolari provano a resistere in un contesto reso assai complicato dalla volontà degli Stati Uniti di mettere Panama al centro dell’offensiva lanciata contro i paesi del continente latinoamericano a guida progressista, ma a far notizia è soltanto il rilancio del tutto acritico, sui principali mezzi di comunicazione europei, della campagna militare condotta dalla Casa Bianca contro Caracas.
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