Lo scorso 27 novembre le favelas di Rio de Janeiro sono state invase di nuovo dalla polizia

Brasile: favelas sotto attacco

Il “capitalismo narco-militare” reprime ed è funzionale all’estrema destra che vuol imporre un governo autoritario al più grande paese dell’America latina
7 dicembre 2025
David Lifodi

Brasile: favelas sotto attacco

Lo scorso 27 novembre le favelas di Rio de Janeiro sono state teatro, ancora una volta, di una violenta irruzione da parte della polizia militare e di quella civile. Un bambino di dodici anni che si trovava nel cortile di una scuola è rimasto ferito da un proiettile sparato dagli agenti e tre persone sono state uccise, tra cui un venditore ambulante.

Il fatto è avvenuto nella favela di Maré. Il blitz è partito dal campus dell’Università federale di Rio de Janeiro, utilizzata come rampa di atterraggio da un elicottero della Polizia civile.

Ormai, per il governatore bolsonarista di Rio Cláudio Castro, la sicurezza nelle favelas si è trasformata nel pretesto per la loro militarizzazione. A fare le spese di queste incursioni non sono i narcotrafficanti, bensì lavoratori, studenti e soprattutto le fasce sociali più povere, soprattutto di pelle nera. Nel 2024 sono stati ben 37 i giorni di scuola persi dagli studenti della favela di Maré a causa di operazioni poliziesche giustificate, una volta di più, dalla presenza di appartenenti al Comando Vermelho e al Terceiro Comando Puro in guerra tra loro per prendere il comando del territorio.

In realtà, secondo le denunce degli abitanti raccolte da Monica Benicio (consigliera comunale del Partido Socialismo e Liberdade e vedova di Marielle Franco, nata proprio a Maré, a sua volta consigliera dello stesso partito e rimasta uccisa in un attentato il 14 marzo 2018 proprio per le sue posizioni a favore dei favelados contro le brutalità della polizia), nelle favelas non si muore tutti i giorni, ma solo quando la polizia decide di farvi irruzione in maniera violenta. Non solo. Sempre il Partido Socialismo e Liberdade denuncia che ogni volta in cui Castro, le cui mani sono macchiate di sangue, parla di operazione poliziesca riuscita, significa che si è compiuta una carneficina.

Gli interventi della polizia non avvengono per arrestare esponenti della criminalità organizzata, quanto per un solo scopo, quello di sparare all’impazzata e, di conseguenza, uccidere. Il Comando Vermelho, al pari del Primeiro Comando da Capital e di altri gruppi criminali ha finito per sostituirsi allo Stato, a Rio de Janeiro come nelle altre megalopoli del paese, gestendo l’accesso e la distribuzione di acqua, energia, generi alimentari, il trasporto e molti altri.

Lo Stato non solo non riesce ad opporsi efficacemente, ma sconta, nei confronti della criminalità, un ritardo dovuto alla compiacenza delle stesse istituzioni, compresi alcuni governatori.

La risposta unicamente repressiva, come quella del governatore bolsonarista Castro che, senza alcuna pietà, ha celebrato la strage di 130 persone nell’incursione del 28 ottobre scorso nelle favelas di Penha e Alemão e ha fatto lo stesso a seguito dell’ultimo episodio avvenuto poco più di due settimane fa (alcuni deputati del suo stesso partito auspicavano almeno duecento morti nelle prossime operazioni della polizia), rappresenta un ottimo espediente, per l’estrema destra, di lucrare sulla sicurezza. Non è un caso che le proteste promosse dalle organizzazioni popolari contro queste modalità di gestione dell’ordine pubblico siano state immediatamente derubricate a manifestazioni di sostegno alla criminalità organizzata.

Purtroppo, la crociata contro il traffico di droga, almeno in America latina, si è trasformata nel pretesto per intervenire all’interno dei paesi non allineati con la Casa Bianca per sostituire forze politiche sgradite al sistema con quelle vassalle di Trump con il sostegno dei partiti dell’estrema destra continentale. Le organizzazioni criminali dedite al traffico di droga sono state inserite nella lista dei gruppi terroristici da parte degli Usa al solo scopo di facilitare la crescente intromissione degli Stati Uniti in quello che considerano come il loro cortile di casa, basti pensare alla costante crescita della pressione sul Venezuela alla ricerca del casus belli utile per rovesciare il governo bolivariano.

In questo contesto si inseriscono anche il razzismo e il disprezzo nei confronti dei neri e degli afrobrasiliani, ormai nemmeno più mascherato, all’insegna di una strategia elettorale ben precisa, quella secondo cui i diritti che sono riconosciuti alla cittadinanza non posso essere in alcun modo applicati nella favelas dove, secondo la narrativa dominante, predomina il narcotraffico. Le politiche securitarie dell’estrema destra puntano alla restaurazione di un progetto politico autoritario, favorito dall’indebolimento delle istituzioni democratiche e della creazione ad arte di ripetute situazioni di caos e destabilizzazione a seguito delle quali i diritti e le garanzie fondamentali dello stato di diritto non possono essere più applicate a vantaggio di un ordine totalitario e violento.

Di conseguenza, a fare da sponda al narcotraffico non sono le sinistre e i movimenti sociali che si indignano per le stragi commesse dalla polizia su ordine di governatori che utilizzano la sicurezza come arma elettorale, bensì settori legati al neofascismo che, nonostante Bolsonaro attualmente non se la passi troppo bene a seguito dell’arresto di alcune settimane fa, puntano a creare un ordine che passi attraverso la gestione politica dei massacri nelle favelas.

Il cosiddetto “capitalismo narco-militare” che tiene in ostaggio Rio de Janeiro e non solo è servito ad uccidere molti giovani, in gran parte poveri e, in alcuni casi, si affiliati alla criminalità organizzata, ma le cui vite non valgono niente, non a caso le operazioni poliziesche come quella della fine di ottobre sono state diffuse da tutte le televisioni al solo scopo di convincere il cittadino medio che il governatore Cláudio Castro stava facendo qualcosa. Al tempo stesso, la violenza della polizia non ha smantellato la rete dei narcotrafficanti, né la giustizia ha perseguito coloro che si sono adoperati, anche ai più alti livelli istituzionali, per il riciclaggio di denaro sporco dovuto al traffico di droga.

Le stragi e lo spargimento di sangue rimangono in Brasile e in tutta l’America latina, dove a morire sono spesso i poveri coinvolti in questa macchina infernale, mentre la polizia spara, la criminalità organizzata continua a dilagare e le istituzioni e le banche proseguono nelle attività di riciclaggio, della vendita di armi e del commercio della droga.

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