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Integrati con l'euritmia

Musica e creatività per educare alla convivenza. Dove la vita è più duraIn dieci scuole della periferia romana un singolare progetto per l'integrazione dei figli di immigrati, rom e famiglie svantaggiate. Che passa attraverso l'«arte del movimento»
23 giugno 2007
Gabriele Carchella
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

I caseggiati delle grandi periferie romane si assomigliano tutti. Successioni di blocchi grigi senza soluzione di continuità, eredità dell'edilizia popolare che fu. Case senza balconi né concessioni all'estetica. A fare da sfondo, scenografie involontarie disegnate da capannoni abbandonati o da lotti di terreno risparmiati dal cemento. In questa Roma poco visibile si mescolano ogni giorno i pezzi di un puzzle confuso che tenta di dare un volto all'integrazione. Un melting pot periferico che non ha nulla a che vedere con quello scintillante del centro metropolitano. Nei sobborghi della capitale si rifugia l'immigrazione che arriva qui per necessità. E' in questi ambienti che si sviluppa più facilmente quella che il sociologo Zygmunt Bauman chiama mixofobia. Ovvero la paura di mescolarsi con il diverso, che va ad aggiungersi alle altre vicissitudini delle periferie metropolitane. E proprio nelle periferie si trova la maggior parte dei trenta campi nomadi capitolini. Alcuni autorizzati, altri - una minoranza - abusivi. E' questa immigrazione che nutre l'immaginario di una città assediata, dove la sicurezza e gli equilibri tradizionali sarebbero messi in pericolo dai nuovi arrivati. Nel frattempo, le amministrazioni si affannano a cercare una soluzione per una città cresciuta troppo in fretta, dove vivere in periferia significa vivere peggio, che si sia italiani o stranieri. Piantare un seme in questi territori costa più fatica. Ci vuole uno slancio di creatività, un'intuizione che permetta di attecchire. Creatività che si può declinare come arte, intesa come strumento di integrazione sociale. E' questa l'idea dei promotori del progetto Arthmos. Con un obiettivo ben in vista: puntare sui più piccoli, figli di famiglie svantaggiate italiane e straniere, per affrontare il disagio alla radice innestando un'esperienza formativa su piante ancora giovani.
Il progetto ha preso così forma quest'anno in dieci scuole delle periferie romane, coinvolgendo 500 ragazzi e oltre 40 docenti, che hanno animato 20 laboratori artistici. Tra le materie insegnate c'è l'euritmia o arte del movimento. Per i bambini della quarta elementare della scuola P.R. Pirotta, periferia della periferia tra la Prenestina e Centocelle, è un'ora diversa. Finalmente ci si può scordare di tutto quello che succede al di là delle vetrate. Il tintinnio di un triangolo fa scendere il silenzio. Può cominciare la lezione. I bambini si mettono in cerchio, si uniscono, si dividono. Scoprono che muovendosi in armonia possono formare figure di animali, imitare un ruscello e scandire le vocali saltellando nel modo giusto. «Alcuni bambini sono troppo incentrati sulla parola e sull'intelletto, altri sul corpo. Bisogna creare un equilibrio», spiega Mirella, insegnante di euritmia. «Imparano a muoversi insieme pur mantenendo la loro individualità. Alla fine, parte di questo lavoro lo portano con loro nelle relazioni sociali di tutti i giorni». Questa quarta non è come tutte le altre. Molti bambini sono figli di immigrati da paesi come Cile, Romania e Tunisia.
Tra gli allievi che seguono le lezioni alla Pirotta ci sono anche due nomadi. A casa, spesso, respirano un'aria pesante, in nuclei familiari sfilacciati dall'alcol o dall'esperienza del carcere. Le classi per queste lezioni speciali, quindi, non sono scelte a caso. Dopo un anno di lezioni, raccontano le insegnanti, i risultati si vedono: «I bambini si aprono a poco a poco come fiori», racconta Mirella. Oltre all'euritmia, i giovani delle periferie romane partecipano a laboratori di musica, dove i giochi ritmici si alternano al canto. I bambini sfogano poi la loro creatività nelle ore di plastica, in cui si sporcano le mani con la cera e la creta per dare forma alle figure dettate loro dalla fantasia. Lo sviluppo della manualità prevede anche ore di tessitura, lavori in lana, lavorazione del cuoio e molto altro. Alcune lezioni sono dedicate infine all'esperienza del racconto, attraverso fiabe, leggende e teatro.
Le lezioni dureranno per tutto il 2007, per un percorso di 15 mesi in cui gli insegnanti del progetto Arthmos, per quattro ore a settimana, lavorano col sostegno costante degli insegnanti di ruolo. Il risultato è che i bambini si divertono per davvero e lo fanno imparando, con una certa preferenza per la coralità e l'armonia: «L'attività che li ha assolutamente catturati è stata quella dell'orchestra», spiegano le maestre della Pirotta. «Hanno imparato a suonare molti semplici strumenti come il triangolo, il tamburello, il timpano». Forse non basterà per fare di tutti loro degli adulti integrati e realizzati al cento per cento. Di certo è una bella lezione non solo per i bambini, ma anche per chi da sempre si batte per la costruzione di barriere e di quartieri ghetto, dove le diversità sono bandite e le melodie hanno il suono ripetitivo di strumenti troppo simili. Un messaggio che l'associazione MusicEuropa, promotrice di Arthmos, diffonde da anni attraverso la World Youth Orchestra, formata da giovani musicisti selezionati da conservatori di tutto il mondo. L'ensemble, nominato Unicef Goodwill Ambassador, è diretto dal maestro Damiano Giuranna e porta da oltre dieci anni le sue note su palcoscenici molto diversi: dal Palazzo di Vetro dell'Onu, a New York, a Palestina e Israele. Lettera22*

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