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Gli immigrati e il Circo Barnum dell’informazione

7 luglio 2007
Simone Ramella
Fonte: http://www.ramella.org - 25 giugno 2007

Karolina Zdziarswa è morta a cinque anni perché si è trovata
al posto sbagliato nel momento sbagliato. Nella cucina di casa sua, in braccio
al papà, quando un uomo ha deciso di risolvere con due colpi di pistola una
rissa scoppiata poco prima in un bar. Il padre ha cercato di rianimarla, è
corso in strada, ha urlato per chiedere aiuto, in preda alla disperazione ha
anche sfondato il vetro della finestra di una casa, ma nessuno è intervenuto. I
vicini evidentemente non c'erano e, se c'erano, dormivano. Quando sul posto
sono arrivati – finalmente – i soccorritori, per Karolina, colpita da un
proiettile alla testa, non c'era più nulla da fare.

 

Il fatto risale alla notte tra il 4 e il 5 maggio ed è
avvenuto a San Paolo Belsito, un paesino di 3600 anime nei pressi di Nola, in
provincia di Napoli. Soltanto una settimana prima la morte della 23enne Vanessa
Russo, uccisa nella metropolitana di Roma da una coetanea di nazionalità rumena
che le aveva infilzato un ombrello in un occhio, aveva provocato una tempesta mediatica
che non si era ancora placata. La breve vita di Karolina, invece, è scivolata
via senza clamore nel rigagnolo delle brevi di cronaca nera, destinate a essere
sostituite fin dal giorno successivo sulle pagine dei giornali. E dimenticate
altrettanto in fretta.

 

Non è un caso. Karolina, infatti, aveva un difetto
imperdonabile. Era polacca. Il suo assassino, viceversa, si chiama Alessandro
Riccardi ed è un italianissimo operaio di 32 anni. Per di più incensurato, come
si sono subito premurate di precisare le cronache, derubricando di fatto la
vicenda nella categoria delle disgrazie accidentali. target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=77684,1,1"
title="Lite al bar finisce in tragedia, uccisa bimba di 6 anni">La
Padania, che a nazionalità invertite avrebbe sicuramente promosso ronde e
fiaccolate di protesta, ha sottolineato per esempio che Riccardi “secondo
quanto ha raccontato ai militari non voleva uccidere nessuno, tanto meno una
bambina, voleva solo spaventare il cittadino polacco, i proiettili – ha detto –
hanno raggiunto la piccola accidentalmente”.

 

La magistratura non ha dubbi e accusa Riccardi di omicidio
premeditato, ma il quotidiano leghista, alle prese con una notizia che cozza
con la sua consueta linea editoriale, si arrampica sugli specchi tentando di
accreditare la versione dell'incidente. Karolina, insomma, come Carlo Giuliani,
ucciso “accidentalmente” al G8 di Genova non dal carabiniere che gli ha sparato
da distanza ravvicinata ma dal calcinaccio che, secondo una delle perizie
disposte dalla procura, avrebbe malauguratamente deviato la traiettoria del
proiettile. Nessun accenno da parte del giornale della Lega ai vicini di casa
che avrebbero fatto orecchie da mercante alle richieste di aiuto del padre
della bambina. Per la Padania, anzi, Karolina “è stata portata subito al pronto
soccorso dell'ospedale di Nola”. A conferma, poi, che tutti i mali vengono
dall'Est viene precisato che a ucciderla è stata “una pistola di marca
cecoslovacca parabellum con quattro cartucce nel caricatore”. Apprendendo che
il colpo mortale non è partito da una Beretta fabbricata a Brescia, i lettori
leghisti avranno tirato un sospiro di sollievo.

 

Se dalla Padania non era lecito attendersi di meglio, e
tanto meno un accenno di mea culpa per le sue quotidiane bordate
anti-immigrati, va comunque sottolineato che la notizia è stata trattata allo
stesso modo da quasi tutte le testate, senza particolari distinzioni. Di morte
“per errore”, per esempio, hanno parlato fin dal titolo target="_blank" href="http://www.ramella.org/allegati/jpg/070625karolina.jpg"
title="Bimba polacca uccisa per errore [immagine jpg]">la Repubblica e target="_blank" href="http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200705articoli/21248girata.asp"
title="Spari dopo una lite, bimba polacca muore per errore">la
Stampa sui rispettivi siti web, tanto da spingere target="_blank" href="http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1098"

title="Italiano uccide 'per errore' bimba polacca. Da Jon Cazacu, a Karolina, l'informazione razzista">Gennaro
Carotenuto a bollare il tutto come ordinario razzismo informativo: “Che
l'assassinio della piccola Karolina sia stato un errore - ha scritto sul suo
sito - lo conferma il fatto che la bambina è stata uccisa con un colpo di
pistola, un oggetto notoriamente atto a ripararsi dalla pioggia e senz'altro
non atto ad offendere. Niente a che vedere con il caso di Vanessa Russo a Roma.
La ragazza italiana è stata uccisa da due puttane romene con un ombrello, arma
da guerra che gli extracomunitari (e se vi dicono che la Romania è nell'Unione
Europea non credetegli, basta guardare le facce!), notoriamente utilizzano per
dare la morte agli italiani. In questo caso la versione dell'assassina, una
lite che avallerebbe la preterintenzionalità del gesto, viene respinta con
sdegno. E' rumena e fa la puttana e se è uscita con l'ombrello quella mattina è
stato sicuramente per uccidere”.

 

Analoga, nella sostanza, la riflessione del giornalista di
Repubblica target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/karolina/karolina.html"

title="Karolina, l'omicidio è 'accidentale' solo se muore una bimba polacca">Giovanni
Maria Bellu, che ha fatto notare come la notizia dell'omicidio di Karolina
fosse accompagnata – sia nel lancio dell'Ansa, sia nei notiziari radiofonici –
dall'avverbio “accidentalmente”. Un avverbio che, al contrario, non è mai stato
utilizzato nel riferire della morte di Vanessa Russo nella metropolitana di
Roma. “L'omicidio, forse accidentale (lo stabiliranno i magistrati) commesso da
una rumena su una ragazza italiana – ha concluso Bellu – è stato subito
presentato come ‘volontario'. Mentre l'omicidio certamente volontario commesso
da un italiano su una bambina polacca è subito diventato ‘accidentale'”.





La maggioranza invisibile che non ha paura degli immigrati

 

Nel frattempo, a fine maggio un sondaggio target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.swg.it/index.php/home"
title="Link al sito del gruppo Swg">Swg condotto per il
settimanale mondadoriano target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.donnamoderna.com"
title="Link al sito del settimanale Donna Moderna">Donna
Moderna ha rivelato che quasi un italiano su due – il 46 per cento di un
campione stratificato di cinquecento persone – ammette di aver paura degli
immigrati, perché “sono troppi e non lavorano, per vivere rubano, spacciano,
compiono atti criminali e in ogni caso sono dei ‘diversi' che incutono timore,
anche perché la maggior parte di loro si trova in Italia in condizione di
clandestinità”. Quello stilato dalla Swg è un triste campionario di luoghi
comuni, pregiudizi e falsità che non trovano riscontro nei dati reali. Stando
ai fatti, e non alle percezioni soggettive, le persone immigrate
clandestinamente in Italia sono infatti solo 600mila, pari a meno di un quinto
del totale. E il 72 per cento degli immigrati nel nostro paese hanno un lavoro
(mentre tra gli italiani la stessa percentuale è del 58 per cento). Dunque si
presume che non abbiano necessariamente bisogno di rubare, spacciare o compiere
altri atti criminali per campare. Sempre che non si pensi che lo facciano per
hobby o per innata predisposizione.

 

La reazione dei politici, per lo più dell'opposizione, ai
risultati del sondaggio non si è fatta attendere. ”Ci aveva già pensato il buon
senso e le elezioni, ora anche un sondaggio rivela che sull'immigrazione il
governo guidato da Romano Prodi sta sbagliando tutto – ha commentato per
esempio Paolo Grimoldi, deputato della Lega Nord e coordinatore federale del target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.giovanipadani.leganord.org/"
title="Link al sito del Movimento Giovani Padani">Movimento
Giovani Padani – La presenza incontrollata di immigrati, clandestini o
meno, è un problema che i cittadini, soprattutto al Nord, vivono sulla propria
pelle. Continuare a proporre, come fa questo governo, scelleratezze quali la
cittadinanza facile, le frontiere aperte o il voto agli immigrati aumenta la
paura dei nostri cittadini. Prodi, dopo la bastonata delle elezioni
amministrative, avrebbe dovuto capirlo”.

 

Per target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.isabellabertolini.it/"
title="Link al sito di Isabella Bertolini">Isabella Bertolini,
vicepresidente dei deputati di Forza Italia, ‘'sono dati estremamente
preoccupanti. Gli italiani sono terrorizzati dall'invasione di immigrati. Il
sondaggio della Swg rilancia il problema dell'incapacità e dell'inadeguatezza
del governo Prodi sui temi della sicurezza e della legalità. La situazione è
drammatica. E' da irresponsabili, in questo quadro di riferimento, prevedere
una riforma della normativa sull'immigrazione, la Amato-Ferrero, che consente
maggiori ingressi attraverso l'autosponsor, un minor controllo del territorio a
causa della chiusura dei Cpt e la concessione del voto agli extracomunitari”.

 

Le ha fatto eco la collega di partito target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.jolesantelli.it/"
title="Link al sito di Jole Santelli">Jole Santelli,
responsabile sicurezza e immigrazione (significativo, di per sé, il continuo
accostamento dei due termini) di Forza Italia, secondo la quale “al senso di
insicurezza che pervade il paese non si risponde con lezioni accademiche e
socio-filosofiche, né tantomeno con quintalate di buonismo ma con politiche di
sicurezza reali, che questo governo è incapace di attuare”. Per la deputata, i
dati del sondaggio Swg “non stupiscono ma certificano che questo governo è
assolutamente inadatto a governare. Le politiche sull'immigrazione che sta
portando avanti vanno contro ogni logica e, soprattutto, vanno contro le
esigenze primarie dei cittadini”.

 

A stupire, in realtà, è la lettura superficiale e
interessata dei risultati del sondaggio Swg che traspare da tutte queste
reazioni. Il dato più significativo, infatti, è l'unico che non è mai stato
citato nelle notizie che hanno riferito del sondaggio e delle relative
reazioni. Ovvero quel 54 per cento di italiani che, stando a una lettura a
rovescio dei risultati, non ha paura degli immigrati. Ovvero una maggioranza
assoluta e trasversale, superiore ai consensi ottenuti dalle coalizioni di
destra e sinistra alle ultime elezioni politiche, che avrebbe assicurato a
Prodi la possibilità di governare con molto meno affanno. Ovvero un nutrito
manipolo di irriducibili cuor di leone che finora hanno resistito caparbiamente
al tam-tam della paura, suonato senza soluzione di continuità da una parte
consistente del mondo politico e della cosiddetta informazione.

 

Il dato, tanto eccezionale quanto trascurato, di questa maggioranza
tenacemente sorda alle sirene della xenofobia è sfuggito anche al ministro
della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che però, nel commentare il sondaggio
Swg, ha colto almeno uno degli aspetti del problema: “Si parla degli immigrati
solo quando questi ultimi compiono un reato, mentre invece il fatto che i
nostri anziani sono accuditi in gran parte da immigrati, le fonderie come le
campagne italiane producano grazie al lavoro di tante persone venute dal resto
del mondo non fa mai notizia. A dominare l'orizzonte dell'informazione è
l'industria della paura, che costruisce intorno all'immigrato la figura del
capro espiatorio, su cui far ricadere ogni allarme e timore sociale”.





Spaventa et impera

 

L'industria della paura cui ha accennato Ferrero risponde a
necessità variegate. Da un lato garantisce a una parte del ceto politico,
quella che non si fa scrupolo di cavalcare gli istinti peggiori del proprio
elettorato, facili consensi. Basti pensare ai tanti politici che hanno fatto
del contrasto senza se e senza ma all'immigrazione il proprio marchio di
fabbrica. Dall'altro assicura un ottimo diversivo su cui dirottare attenzione e
frustrazioni dell'opinione pubblica, spesso e volentieri anche con l'obiettivo
di far passare inosservati, dietro questa cortina fumogena fatta di stereotipi
e pregiudizi, i propri intrallazzi.

 

Come ha ricordato target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/04/la-strage-nel-campus-americano-la.html"

title="La strage nel campus americano, la cultura della paura e il declino dell'Occidente borghese">Carlo
Gambescia, il sociologo nordamericano Barry Glassner, autore di uno studio
sulla “cultura della paura” negli Stati Uniti e noto anche al pubblico italiano
per un apparizione nel film di Michael Moore “Bowling a Columbine”, “ha
chiarito molto bene come le voci su microbi incontrollabili, crimini orrendi,
incidenti, sparatorie, amplificate ad arte dai media (facendone, libri, film e
speciali televisivi), siano in realtà strumenti per controllare la gente. Forme
di controllo sociale. Dopo l'11 Settembre, gli Stati Uniti hanno semplicemente
sostituito, come ‘pericolo numero uno', al nero e all'immigrato, il terrorista
‘islamico assetato di sangue'. Secondo Glassner tutto ciò serve a tutelare i
privilegi delle élite politiche, economiche, culturali e militari al potere
(privilegi cui si aggrappano, non credendo più in altro). Di riflesso i veri
disagi sociali (povertà, disoccupazione, marginalità culturale) sono così
occultati, mentre i dati sui pericoli, spesso ‘irreali', vengono ingranditi per
seminare paura e imporre ubbidienza”.

 

La lettura di Glassner, tarata sulle caratteristiche della
società a stelle strisce, può essere applicata anche alla realtà italiana, rispetto
alla quale sono però possibili e opportune alcune integrazioni. Va tenuto
presente, per esempio, che a differenza degli Stati Uniti e degli altri paesi
occidentali, in Italia la classica definizione della stampa come “quarto
potere” – cane da guardia al servizio dei cittadini rispetto a quelli
legislativo, esecutivo e giudiziario – può essere considerata, nella migliore
delle ipotesi, solo un auspicio. In vasti settori dell'informazione,
soprattutto quella televisiva ma non solo, più che un potere alternativo,
infatti, i media italiani sono una succursale di quello politico, al quale sono
legati a doppio e triplo filo.

 

L'esempio più annoso e scontato di questo vassallaggio è
quello della partitocrazia che, a braccetto con il nepotismo, regna da sempre
sulla Rai, a dispetto delle ricorrenti promesse di riforma. Le dichiarazioni di
pochi secondi su tutto lo scibile umano dei politici dell'intero arco
costituzionale, che occupano buona parte dello spazio nei tg del servizio
pubblico, ne sono invece l'espressione più lampante e, allo stesso tempo,
deprimente. La presenza di più referenti, con interessi e priorità talvolta in
conflitto, ha però permesso che all'interno dell'informazione targata Rai
sopravvivesse almeno un po' di pluralismo.

 

Non si può dire altrettanto della monarchia Mediaset, dove
la “cultura della paura” – specie dopo il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi
nel 2001 – ha trovato un terreno ancora più fertile. E' proprio sul fronte
dell'informazione di Canale 5, Italia 1 e Retequattro, infatti, che si possono
individuare con più facilità gli elementi che confermano un utilizzo dei media
come forma di controllo sociale che ricorda quello suggerito da Glassner. Già
nel 2002 in target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.cares.it/cares_visual1.php?R=ok"
title="L'agenda dei telegiornali del prime time nel 2002">un'analisi
sull'agenda dei telegiornali del prime time - la fascia oraria con il
maggior numero di telespettatori – l'Osservatorio di Pavia metteva in luce, per
esempio, l'assoluta atipicità di Studio Aperto, il notiziario di Italia 1
consacrato ai temi della cronaca, in cui predominano l'attenzione su cronaca
nera, cronaca rosa, mondanità, curiosità varie, spettacolo e televisione, a
discapito dei temi economici e di politica italiana e internazionale. Un
approccio che per i ricercatori è il risultato di “una strategia comunicativa
improntata alla leggerezza e alla promozione dei propri programmi televisivi”.

 

A distanza di alcuni anni l'impostazione del tg di Italia 1
è rimasta sostanzialmente la stessa. Lo dimostra target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.cares.it/cares_visual1.php?ID=0000000232&;trova=malchiodi&visual=ok&pos=0&num=1"

title="Profilo dei telegiornali nazionali del prime time: tempi, ritmi, stili, contenuti">un'altra
ricerca del febbraio 2005 curata sempre per l'Osservatorio di Pavia da
Manuela Malchiodi, che a proposito di Studio Aperto ribadisce che “l'impronta
cronachistica è evidente e pressoché esclusiva”. Il notiziario, prosegue
l'analisi, “appare, in primo luogo, come un telegiornale che parla di
televisione: se si escludono una notizia sul cinema e una dedicata a uno
spettacolo di cabaret, la cronaca televisiva esaurisce la più importante
macro-area, ‘Cultura-Spettacolo'. Una certa autoreferenzialità è presente anche
nella seconda area tematica, ‘Cronaca rosa', dal momento che buona parte dei
Vip di cui si raccontano le avventure sono personaggi televisivi. Il rosa vira
al nero con l'ampio spazio dedicato alla criminalità, agli altri fatti di
cronaca nera e alla cronaca giudiziaria. Il ritorno ai toni leggeri è
assicurato dalle notizie di costume”.

 

Nel frattempo, però, il virus di Studio Aperto ha contagiato
in misura sempre maggiore anche gli altri telegiornali, se è vero, come
sottolinea ancora Malchiodi, che “il Tg5 vede l'affermarsi di un forte
interesse cronachistico, nell'attenzione elevata per la cronaca giudiziaria
(che costituisce il grosso della macro-area ‘Giustizia'), per la ‘Criminalità',
per la cronaca del maltempo (che esaurisce l'area ‘Ambiente e natura'), per la
cronaca nera”. Ed è impossibile non cogliere, in un panorama informativo
caratterizzato dal macroscopico e irrisolto conflitto di interessi
berlusconiano, l'utilità di un approccio di questo tipo per assecondare, o
quanto meno non intralciare, le azioni politico-imprenditoriali dell'azionista
di riferimento, occultando allo stesso tempo dietro a fatti di sangue, nani e
ballerine le sue magagne giudiziarie.





Lo tsunami dell'infotainment, da Novi Ligure a Cogne

 

L'escalation dello spazio televisivo concesso alle notizie
di cronaca è stata accompagnata da una metamorfosi profonda del registro
narrativo utilizzato per raccontarle. I telegiornali e, più in generale, i
programmi dedicati all'attualità hanno infatti cominciato a mutuare spesso e
volentieri lo stile e il linguaggio di due generi molto in voga come fiction e
reality. Il risultato è quello che l'inglese sintetizza, con la consueta
efficacia, nell'espressione “infotainment”, ovvero una fusione alla dottor
Frankeinstein tra informazione e spettacolo, che punta al cuore dello
spettatore piuttosto che al suo cervello.

 

In questa categoria rientrano a pieno titolo una serie di
feuilletton televisivi – e, per osmosi, cartacei – che hanno segnato le
cronache degli ultimi anni. Come quello dedicato al duplice omicidio di Novi
Ligure, compiuto nel 2001 dalla coppia di fidanzatini Erika e Omar, con
iniziale coinvolgimento di ipotetici rapinatori extracomunitari (e affrettata
rampogna tv anti-immigrati del direttore del Tg5 Mentana). O quello costruito
l'anno dopo per circa tre mesi attorno all'assassinio della 14enne bresciana
Desirée Piovanelli, “in una sorta di racconto a puntate – sottolinea la già
citata analisi dell'Osservatorio di Pavia sui tg del 2002 – che, giorno dopo
giorno, aggiunge o corregge dettagli della dinamica della violenza del branco”.
Fino ad arrivare ai tormentoni più recenti sulla morte del piccolo Tommaso
Onofri, ucciso poco dopo il rapimento dalla sua casa di Casalbaroncolo, nella
campagna di Parma, e sulla strage di Erba del dicembre 2006, oggetto di
un'altra raccapricciante novità introdotta dall'informazione-spettacolo: una
docu-fiction andata in onda lo scorso 18 giugno nel corso di target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.matrix.mediaset.it/videogallery/2007/06/18/videogallery.shtml"
title="Erba: i giorni dell'odio">una puntata di Matrix del
solito Enrico Mentana. I sospetti iniziali, è bene ricordarlo, anche in questo
caso target="_blank" href="http://www.ramella.org/cgi-bin/axs/ax.pl?http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/11/erba.shtml"
title="Uccide quattro persone e brucia la casa">si erano subito
concentrati sul primo extracomunitario a portata di mano, il tunisino Abdel
Fami Marzouk, marito, padre e genero di tre delle quattro vittime.

 

La palma d'oro dell'infotainment spetta però al delitto di
Cogne i cui resoconti, dati dell'Osservatorio di Pavia alla mano, nel 2002
hanno assommato nei telegiornali del prime time 1927 minuti, pari al 3 per
cento del totale dell'informazione. Ancora più significativo è il dato che
riguarda il racconto degli svolgimenti giudiziari del caso, che nel corso dello
stesso anno ha occupato ben il 30 per cento del totale della cronaca
giudiziaria dei tg (e il 14 per cento del tempo dedicato alla cronaca nera).

 

Tutto ciò ha spinto giustamente l'Osservatorio a parlare di
“vero e proprio caso mediatico”: “E' sbalorditivo come un singolo fatto di
sangue, reso più attrattivo per l'efferatezza del delitto e per il suo presunto
svolgimento nel contesto familiare, possa costituire un argomento di così forte
notiziabilità da diventare oggetto di racconto quasi quotidiano per l'intero
anno 2002, complice il caso umano di una madre, unica indagata che nega di
esserne l'autrice, e il carattere meramente ipotetico delle ricostruzioni, che
dilatano all'infinito le speculazioni sulla vicenda. Il delitto del piccolo
Samuele diventa il pallido referente di un evento mediatico di portata immensa,
capace di generare una quantità di notizie correlate e indotte che esulano
dall'ambito più strettamente giudiziario (le indagini sull'omicidio) per
coinvolgere, nel processo della spettacolarizzazione televisiva, piani di
rappresentazione fittizi che svuotano di verità il fatto in sé e spostano
altrove l'accento della vicenda, per esempio sull'aggressivo atto di accusa
alla Procura di Aosta da parte della difesa di Annamaria Franzoni che sposta
dal Foro alla televisione la sede dell'accertamento della verità giudiziaria,
coinvolgendo lo spettatore in una sorta di giuria popolare all'americana”.

 

Osservata dal punto di vista dell'uso dei media come
strumento attraverso il quale orientare l'attenzione dell'opinione pubblica,
l'abnorme copertura mediatica riservata al feuilleton di Cogne appare, però,
assai meno sbalorditiva. Il 2002, infatti, è anche l'anno in cui il governo
Berlusconi ha varato leggi ad personam (o ad personas) come quella sul
legittimo sospetto, funzionale alla richiesta di spostamento del processo
Sme-Ariosto – che vedeva imputati, tra gli altri, Cesare Previti e lo stesso
Berlusconi – dal tribunale di Milano a quelli di Brescia o Perugia, e quella
sul falso in bilancio, che ha trasformato il reato in un semplice illecito
sanabile con una contravvenzione e, soprattutto, ridotto i tempi di
prescrizione. Insomma, mentre il presidente del Consiglio e proprietario di
Mediaset era impegnato a risolvere i suoi problemi con la giustizia cambiando
le leggi a colpi di maggioranza per adattarle alle sue esigenze processuali, i
telegiornali italiani dedicavano quasi un terzo delle loro cronache giudiziarie
ai presunti retroscena del delitto di Cogne. Un fatto ovvio più che
sbalorditivo.

 

L'informazione-spettacolo, però, non può campare per sempre sulle
spalle di Annamaria Franzoni. In questo senso la morte di Vanessa Russo si è
rivelata l'ultima, provvidenziale tragedia sulla quale allestire l'ormai
consueto Circo Barnum dell'orrore. Il luogo in cui è avvenuto l'omicidio, le
sue modalità inconsuete e l'identità dell'assassina, infatti, l'hanno subito
trasformata nella storia perfetta con cui tv e giornali hanno potuto coccolare
per diverse settimane il proprio pubblico, assecondandone umori, pregiudizi e
aspettative. Il tutto sotto l'occhio accondiscendente di una classe politica
che, quando non ricava un interesse diretto dal fomentare l'odio xenofobo, è
troppo timorosa di perdere consensi per esporsi con prese di posizione che
vanno contro il presunto “sentire comune”.

 

Considerate l'età e le circostanze della sua morte,
l'omicidio “accidentale” di Karolina avrebbe forse meritato da parte di
giornali e tv un'attenzione simile a quella tributata all'omicidio avvenuto
nella metropolitana di Roma. La penserebbe così, probabilmente, anche la
maggioranza invisibile che secondo la Swg non ha paura degli immigrati, se solo
qualcuno si fosse degnato di informarla adeguatamente dell'accaduto.

Note: Gli immigrati e il Circo Barnum dell’informazione

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