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Terrorismo (29-12-2003)

Altri appunti sul terrorismo

Terrorismo, violenza strutturale, guerra, arma nuova, corpo come arma, tecnica invincibile, religioni e culture, agire sulle motivazioni
20 gennaio 2004

- Il terrorismo ci impressiona molto per evidenti ragioni, ma non è la violenza più grande e più grave: la maggiore, più estesa e più continua violenza è quella strutturale, aggravata dal fatto di essere misconosciuta e occultata ad arte: «nel Sud del mondo ogni giorno muore per fame e per malattie facilmente curabili un numero di persone almeno sei volte superiore a quello delle persone uccise l’11 settembre» (Alejandro Bendaña, Charles Villa-Vicencio, La riconciliazione difficile. Dalla guerra a una pace sostenibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002, p. 131). Altre cifre di questo spaventoso massacro quotidiano le conosciamo tutti. Esso non può restare senza effetto, o riparativo o distruttivo.

- La guerra è terrorismo: con la morte o con la minaccia della morte, ugualmente pietrificante (come dimostra Simone Weil), impone dominio. Oggi la guerra è diretta in massima parte contro le popolazioni, assai più che contro gli eserciti. L’attuale guerra imperiale che ci è promessa come infinita e continua, fino a «liberare il mondo dal male» (parole di George Bush, 14 settembre 2001, dal pulpito della National Cathedral di Washington, divino realizzatore dell’ultima invocazione che rivolgiamo a Dio nel Padre nostro!), si giustifica col terrorismo e fa terrorismo, cioè punta e usa le armi più terrificanti, per sottoporre il mondo al proprio dominio.

- È vano e ingannevole andare a cercare il Grande Capo delle azioni terroristiche: ci sono organizzazioni, ma le azioni nascono soprattutto da cellule che sorgono spontanee in varie parti del mondo (si veda Guerra senza fine, di Jason Burke, in Internazionale, 23 maggio 2003, pp. 22-25, tratto da The Observer, settimanale di The Guardian, 18 maggio 2003, col titolo Terror’s myriad faces). Globalizzato il dominio, è globalizzata e deterritorializzata la risposta.

- È vano e ingannevole cercare la causa determinante nelle culture e nelle religioni. Tutte le culture umane e le religioni sono strutture ideali molto complesse, capaci di produrre sia violenza sia convivenza pacifica. Questa loro ambiguità si risolve a favore della convivenza in presenza di rapporti e situazioni reali di conoscenza, rispetto, dialogo, giustizia. E si risolve in senso negativo nelle condizioni opposte. Culture e religioni possono e debbono, con le loro migliori risorse, agire sui rapporti reali per umanizzarli. Il loro ruolo civilizzatore può integrare di molto le possibilità della politica.

- È doveroso distinguere:
1) il terrorismo stragista, a danno di civili innocui e ignari, con azione occulta e sicura (emblematico il caso Bologna 2 agosto 1980), azione di odio, ma utile ad una comoda strategia della tensione terrificante;
2) il terrorismo stragista, con lo stesso tipo di vittime, ma compiuto da sui-omicidi (emblematico il caso New York 11 settembre 2001), azione di odio, ma utile ad una più costosa strategia della tensione terrificante;
3) azioni militari contro nemici individuati, entro conflitti armati o situazioni di dominio militare o strutturale. Queste azioni non sono terrorismo in senso stretto, perché non sono mirate tanto a infliggere terrore generale, quanto ad infliggere danno bellico; oppure sono terroristiche in quanto terrorizzanti come le altre azioni militari. È lecito parlarne, come ha fatto qualcuno tra gli stessi colpiti, in termini di “cosiddetto terrorismo”. Il linguaggio ufficiale chiama terrorismo la violenza non legalizzata, fuori dagli eserciti statali. Queste azioni sono condotte dai combattenti con l’arma nuova e superiore del proprio corpo umano usato come arma. Il prototipo di queste azioni è il gesto di Sansone. La tecnica impressionante del kamikaze si distingue dalle azioni militari tradizionali - nelle quali il soldato cercava di risparmiare il proprio corpo, eppure lo metteva (era obbligato a metterlo) consapevolmente nel rischio di morire - soltanto (!) per il fatto della certezza della propria morte, unita alla più alta certezza dell’effetto pluriomicida. La tecnica del kamikaze, invece, si differenzia in modo frontale e vittoriosamente innovativo, dalla tecnica del combattente della guerra supertecnologica, il pilota che bombarda da 10.000 metri. Questo è paragonabile al plotone d’esecuzione, che uccide nel modo più efficace, senza alcun rischio di essere ucciso, ma anche senza l’aura onorifica di coraggio e di eroismo del soldato antico. Questa aura, sempre ipocritamente attribuita nella retorica militare al soldato, anche se costretto e “condannato” dalla propria patria a morire per uccidere, è oggi appropriata ed esibita dal “martire” sui-omicida, e in certe condizioni culturali gli viene ampiamente riconosciuta. La guerra da lontanissimo e dall’alto credeva di essere insuperabile, ma è battuta dalla guerra da vicinissimo e dal basso, col massimo sacrificio per il massimo effetto sui corpi e sugli animi.

- L’”eroe” violento oggi è il kamikaze, più del soldato superprotetto. La retorica militare, che riterrebbe vilipendio dell’esercito chiamare vile l’azione di sorpresa contro il nemico, non può onestamente oggi chiamare “vile” l’azione di sorpresa assoluta che il kamikaze compie contro il proprio “nemico”. L’azione a danno dei nostri carabinieri a Nassiryia, schierati in una guerra, ci ha addolorato e indignato, ma indebitamente le voci ufficiali italiane l’hanno definita “vile”, a meno che non si decidano a definire vile ogni azione militare non preannunciata. Il fatto è che terrorismo e viltà sono sempre attribuiti con orrore agli altri, mentre li compiamo anche noi.

- Contrastare il terrorismo con la guerra è stupido, oltre che criminale, perché la guerra lo alimenta e lo spinge avanti nella gara di violenza forsennata. C’è da aspettarsi, purtroppo, che una prossima azione sia atomica: contro una centrale civile, o mediante una “atomica tascabile”, oggi sul mercato. Chiuderebbe il cerchio con l’azione “madre di tutti i terrorismi” contemporanei, Hiroshima.

- Come tecnica, il terrorismo è invincibile: nell’asta per comprare la vittoria omicida, chi paga il prezzo massimo – il proprio corpo – vincerà sempre. L’unico modo per sperare di attenuare il terrorismo fino a convincerlo a passare a forme più sopportabili di gestione del conflitto, è levargli motivi e pretesti. La tecnica è invincibile, la convinzione è modificabile. Il punto è che il terrorismo è prima causato e poi usato. La violenza strutturale sistematica del dominio economico, militare, mediatico, offre abbondanti motivi al terrorismo, e poi lo usa come pretesto utile (si direbbe atteso) per rafforzare e indurire il proprio dominio. Questa via è folle, è un circolo infernale, che travolge tutti. La scommessa epocale, il «varco attuale della storia» (Aldo Capitini), perché un futuro ritorni possibile, richiede niente di meno che la critica radicale della violenza, in tutte le sue forme, specialmente nelle più sottili e accettate, in tutte le sue giustificazioni, fino al totale ripudio del suo uso politico, la violenza-anti-violenza, che è moltiplicazione suicida di violenza. La forza è l’opposto della violenza.

- Il vero kamikaze suicida e stragista è il mondo del grande privilegio violento, che trascina nel proprio vortice vittime e complici. Noi ne siamo coinvolti.

Enrico Peyretti (29 dicembre 2003)
peyretti@tiscali.it

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