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Elezioni in Iraq. Un salto nel buio?

Sono imminenti le elezioni in Iraq. Ed ecco alcune note, a metà tra l'analisi politica e storica, e la cronaca "in positivo" di un progetto che continua, nella regione del Kurdistan, Iraq del nord.
4 marzo 2010
Andrea Misuri

In Iraq la campagna elettorale è ormai entrata nella fase finale. Il 7 marzo si vota per il rinnovo del parlamento nazionale e per il nuovo presidente della repubblica.

Il nuovo centro di oncologia a Sulaimaniya

Oggi, nella regione autonoma del Kurdistan, c’è anche un po’ di Regione Toscana, tra i risultati che il governo porta a casa. Dal 2006, infatti, le nostre istituzioni hanno impegnato risorse umane e diplomazia della salute, allo scopo di realizzare un risultato che quasi miracolosamente ha il proprio compimento in questi giorni. L’Assessorato alla Salute di Enrico Rossi e il Comune di Firenze hanno portato avanti, con efficace sinergia, un progetto che riunisce il sapere della nostra ricerca, tecnologie avanzate e formazione di operatori sanitari. Bastò la percezione del bisogno di salute evidenziata in una missione di Pace della quale facevamo parte, a mettere in moto la macchina che ha mosso la politica istituzionale e al contempo i rilevanti investimenti economici del governo locale. Proposte semplici e concrete, spesso difficili da realizzare. Oggi, a Sulaimaniya, sono sorti quattro ospedali, mentre sta sviluppandosi una cultura sanitaria e della salute sul modello toscano.

Il vessillo del partito "Goran" fondato da Nawshirwan Mustafa

In Kurdistan, nel frattempo, queste elezioni si presentano anche all’insegna di uno scontro politico decisamente dirompente. Ai due tradizionali partiti che controllano il nord del Paese, questa volta si è aggiunto un terzo incomodo, un raggruppamento fondato da Nawshirwan Mustafa, fino a poco tempo fa vice di Jalal Talabani. Che fin dal nome, Goran (Cambiamento), si pone come forza innovativa, contrapponendosi al presunto conservatorismo dei leader storici. Quei Barzani e Talabani che hanno dedicato una vita intera a combattere per la libertà del loro popolo e che ora che il sogno si è concretizzato, non sarebbero più in sintonia – secondo i sostenitori di Goran – con le aspettative di tanti curdi, in particolare dei giovani. E indicano i ragazzi che ritroviamo in gran numero schierati con i vessilli blu e il simbolo della candela. A loro si contrappongono i sostenitori dell’Alleanza che riunisce il PdK, l’UdK e il partito comunista, rosa rossa in campo verde.

Chi sarà il vincitore? In questi giorni ho rivolto la domanda a molti osservatori locali. Le risposte esprimevano il desiderio di non sbilanciarsi. La difficoltà, forse, di intercettare le pulsioni più profonde di vasti strati della popolazione.

Quello che appare evidente, in particolare a Sulaimaniya, la grande città del sud est del Kurdistan, è l’entusiasmo dei sostenitori delle due fazioni. Alle prime ombre della sera di questa primavera anticipata, nel frastuono dei clacson e delle musiche a tutto volume delle auto, in migliaia si riversano sulle strade principali, dirigendosi verso le sedi dei due raggruppamenti. Illuminate a giorno da potenti riflettori, fasci di luci fluorescenti e fantasmagoriche dei rispettivi colori, fin da lontano indicano il luogo dell’incontro. Una scenografia accattivante, che fa gli astanti partecipi di un comune sentire. Si canta, si grida slogan, si discute sotto l’occhio vigile della polizia. Il traffico improvvisamente impazzisce. I tassisti si allontanano dal caos, scartando nelle buie strade laterali. Prevale però la voglia di partecipazione, la scoperta della ritrovata possibilità di scegliere, protagonisti del proprio futuro.

Sostenitori del partito "verde" dell'Alleanza

A Sulaimaniya l’entusiasmo dei blu vince per numero. Più a nord, nella capitale Erbil, e ancora più su, nei villaggi montani dell’interno e nelle valli, dove spesso l’uomo dissoda ancora la terra arcigna con l’aiuto dell’aratro, a Deralok, a Shiladzae, a Ble, la forza elettorale dell’Alleanza appare soverchiante. Così come a Baze, da dove proviene la famiglia Barzani. Fino a Dahok, città moderna ed ordinata, ad una manciata di km. dalla Turchia, al di là dei monti Zagros che delimitano il confine.

Sulaimaniya, allora, diviene il vero laboratorio politico dove Goran cerca di comprendere la sua reale presa sull’elettorato. Qui vicino è nato Jalal Talabani, a Koja, nei pressi del lago di Dokan, sulla strada che corre verso Erbil. Qui è la sede di Kurdsat, la televisione satellitare che raggiunge i milioni di curdi dispersi dalla diaspora. Qui siamo in prossimità dell’Iran, un confine che corre lungo i monti Shinerwe, permeabile a possibili infiltrazioni e potenziale focolaio di tensioni.

Per strada, i volti dei candidati, seri e determinati, campeggiano nei manifesti attaccati ovunque. Con 250 dinari (20 cent. di euro), si possono acquistare le bandierine blu e verdi. Nel bazar troviamo più di un banchino che invita a votare per l’uno o per l’altro candidato.

Sicuramente, gli osservatori americani seguono con attenzione l’andamento della campagna elettorale. A giro, comunque, neppure l’ombra. Un amico mi ricorda che è come quando c’è la nebbia, che le persone ci sono ma non si vedono. Così - conclude – è la presenza americana.

Il 7 marzo sapremo se i curdi avranno rinnovato la fiducia ai partiti che hanno conquistato l’autonomia politica ed intrapreso la modernizzazione del Paese. Oppure se avrà prevalso il desiderio di cambiamento di una nuova generazione che sta entrando nel mondo del lavoro e che non ha conosciuto i lunghi anni della guerra. Che rinfaccia ai governanti di parlare troppo di un eroico passato, dietro il quale nascondono lentezze e burocrazia.

A chiunque vincerà, spetterà il non facile compito di traghettare il Kurdistan, tra endemici conflitti geopolitici, verso i nuovi mercati internazionali che guardano a questa terra con crescente attenzione. Con la questione non risolta delle enclavi di Kirkuk e di Mosul alle quali, chi può, evita volentieri anche solo di avvicinarsi. Una terra che paga il prezzo di affondare le proprie radici in un sottosuolo ricco di petrolio. Quell’oro nero che attirò qui le compagnie americane, inglesi e francesi nel momento che si evidenziava l’importanza che stava assumendo nell’economia mondiale, sullo sfondo del declino del millenario Impero Ottomano.

Quello che tutti sperano, comunque, è che gli eletti al parlamento, una volta a Baghdad, lavoreranno di comune accordo nell’interesse dell’intera regione.

Il nostro augurio, nel frattempo, è che il condiviso progetto sanitario possa continuare a esportare, insieme ad un know how di eccellenza, i valori della cooperazione e della pace, come è stato fatto in questi anni. Certamente, se si pensa che in questo momento decine di pazienti, i primi di una lunga serie, spesso provenienti da villaggi lontani, stanno ricevendo cure sanitarie altrimenti inimmaginabili, tutto questo ci farà seguire con particolare attenzione i risultati elettorali. Facendo sentire anche noi toscani protagonisti della nuova fase, e vicini al bisogno di ricostruzione dell’intero popolo iracheno.

Andrea Misuri non è personaggio sconosciuto, per gli aficionados di Peacelink. Protagonista nel 2006, assieme ai membri della delegazione di IPB-Italia e Mayors for Peace, in una Mission nel Kurdistan iracheno per le celebrazioni dell'anniversario della strage di Halabja, vi è più volte ritornato, sempre nell'ambito di iniziative di pace, inoltre seguendo assiduamente la realizzazione del progetto di cooperazione sanitaria che ha visto impegnarsi la Regione Toscana, il Comune di Firenze e l'ospedale dei bambini "Meyer".

E' autore del libro "Cronache dal tappeto volante" di cui segnaliamo una recensione. Un libro facile da leggere e appassionante nel suo contenuto che trascende la cronaca e penetra nella storia.

E' in procinto di ripartire tra pochi giorni, nell'intorno della data fatale del 16 marzo, alla volta di Halabja e Sulaimaniya. Troverà un Iraq dagli equilibri politici diversi?

Roberto Del Bianco

Note: Certamente la cronaca ha descritto una situazione "anomala" rispetto all'usuale stillicidio di bad news provenienti dall'Iraq. E la visione di una vigilia così "pacifica" può portare un poco di confusione nell'attento lettore... La regione del Kurdistan iracheno è, sì, essa stessa "anomala" però la stessa propria maturazione civica, cresciuta nel corso degli ultimi anni, può far ben sperare in una nuova "ragionevolezza" nella vita delle popolazioni dell'intero Iraq.
Se solo si spegnessero i focolai estremisti, quasi unici punti "visibili" ai media occidentali ma tuttavia rappresentanti un'estrema minoranza rispetto a quanti, tra la gente comune, desiderano una sola cosa: vivere in pace.

Roberto Del Bianco

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