Iraq: care ong, dire no alla guerra non basta
Abbiamo deciso di restare in Iraq vicino ai bambini iracheni, ma dire no alla guerra, «che è stata un completo fallimento, non basta». La società civile deve trovare il modo di delegittimarla. Questo il succo di una lettera che Raffaele Salinari, presidente di Presidente Terre des Hommes International, ha scritto a Vita.
Ecco il testo completo della lettera:
Le guerre iniziano e non finiscono mai diceva Celine in “viaggio al termine della notte” e la notte dell'Iraq sembra estremamente fonda. A fronte della guerra aperta alle truppe d'occupazione, italiani inclusi, gli Usa ed i loro alleati stanno considerando di aumentare il numero dei soldati, ancora una volta con la giustificazione di sedare una rivolta che loro stessi hanno attivamente contribuito a creare.
Ancora più pericolosa è la spiegazione “realistica” che alla vigilia di un passaggio di poteri agli iracheni, le varie fazioni in lizza starebbero semplicemente mostrando i muscoli per ottenere più poltrone. Ci si avvita quindi in una serie demenziale di azioni e reazioni, incuranti delle reali volontà del popolo iracheno che vorrebbe, come tutti i popoli del mondo, pace ed autodeterminazione.
In questa situazione la nostra organizzazione ha deciso di restare al fianco dei bambini iracheni, svolgendo le attività che dall'inizio dell'occupazione portiamo avanti, senza particolare visibilità mediatica ma con costante convinzione. I problemi per i bambini iracheni infatti non fanno che aumentare e la percentuale degli abbandoni e dei minori spinti alla vita di strada è in continuo aumento. Se dovessimo misurare il grado di liberazione da questi semplici ma efficaci parametri potremmo dire, senza tema di essere smentiti, che la guerra è stato un completo fallimento se non un'aggravante maggiore.
A questo punto, va detto con chiarezza, senza una riforma profonda del sistema ONU ed in particolare del Consiglio di sicurezza , anche la presenza delle Nazioni Unite servirebbe solo a rendere maggiormente subalterno alla logica bellica il sistema multilaterale, e forse a tacitare qualche coscienza politica di pacifisti dell'ultima ora, immemori delle vere cause della rinata violenza in Kossovo o del fatto che da anni esistono in giro per il mondo missioni UN senza apprezzabili risultati in quanto a soluzione di conflitti o stabilizzazione di aree a rischio.
Ecco che allora per la nostra organizzazione il movimento pacifista deve porre al centro della sua azioni non solo il no alla guerra ma anche la contemporanea ricerca di nuove forme per delegittimarla definitivamente, nuovi assetti mondiali all'interno dei quali siano i popoli e non solo gli stati a potersi esprimere all'interno di una costruzione onusiana che li rappresenti. In mancanza di questo, il vero obbiettivo strategico del movimento per la pace, qualunque chiamata in causa dell'Onu serve soltanto a coprire una drammatica assenza di prospettiva politica, a non affrontare i nodi strutturali di una crisi oramai assunta al rango di paradigma delle relazioni internazionali, che senza una riforma profonda del sistema multilaterale è destinata soltanto a produrre, alla prova dei fatti, nuove divisioni e vecchie subalternità alla logica della guerra.
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