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Racconto di un invitato italiano nella Capitale dell'Ucraina

Kiev, la guerra c’è, ma non si vede

Mauro Carlo Zanella, inviato dell'agenzia internazionale Pressenza, è da due giorni a Kiev, da dove ci racconta le sue impressioni -- sorprendenti -- della vita quotidiana degli ucraini sotto la guerra.
19 agosto 2024
Mauro Carlo Zanella

Donne in un parco a Kiev.  Gli uomini stanno al fronte.

Kiev è una città molto grande e molto bella, ordinata, pulita, con chiese, palazzi antichi, altri di chiara impronta sovietica e infine modernissimi grattacieli.

Sono arrivato sabato 17 agosto alle 5.30 del mattino, dopo che l’autista, non riuscendo ad arrivare prima del coprifuoco, ha fatto una lunga sosta notturna alle porte della città e ha raggiunto la stazione dei pullman, che si trova accanto a quella dei treni, esattamente al termine del coprifuoco. La stazione era già in piena attività, con molti pullman e pulmini in arrivo o in partenza.

Pochi parlano inglese, ma abbiamo tutti imparato a utilizzare le applicazioni del cellulare per tradurre, se i segni non bastano.

Non trovo il mio alberghetto; un signore mi accompagna e quando capisce che il mio telefono è ormai pressoché scarico vorrebbe andare a prendere il suo per prestarmelo. Lo dissuado ringraziandolo calorosamente perché c’è un bar di fronte, dove mi fermo svariate ore per caricare telefono e PowerBank ormai scarichi. Due giovani gentilissime gestiscono il bar con annesso negozietto di prodotti orientali tipo New Age. I prezzi sono circa un terzo o poco più dei nostri.

La vita scorre nell’assoluta normalità: traffico privato sostenuto, tram e autobus regolari, bici elettriche e monopattini a noleggio, rider in bicicletta, la gigantesca stazione dei treni affollatissima. Tutto appare assolutamente, e per me irrealmente, tranquillo: mercati, negozi e supermercati forniti, gente che fa la spesa, che mangia il gelato, che va a passeggio nel parco dove i bambini giocano nell’area attrezzata. Un volantino annuncia la scomparsa di un gatto, tre ragazzine tatuate e con i capelli colorati vanno a fare un picnic sul prato… La guerra c’è, ma non si vede.

Paradossalmente a Roma si vedono intorno ai monumenti, ai palazzi del potere e alle ambasciate molti più militari in mimetica con armi da guerra, peraltro assolutamente inutili e inutilizzabili in città.

Qui ci si ricorda della guerra perché a differenza di quanto successo durante il viaggio gli uomini si vedono, ma la maggioranza è vestita in mimetica e forse è in licenza, perché è pieno di negozi dove molti in procinto di partire o già arruolati preferiscono rifornirsi privatamente per il proprio equipaggiamento militare e infine per i manifesti di propaganda che spesso sostituiscono quelli pubblicitari. Oltre ai militari, si vedono lavoratori in divisa (poliziotti, operatori ecologici ecc), oppure ragazzi e anziani, troppo giovani o troppo vecchi per essere arruolati.

A questo devo aggiungere che un paio di volte ho sentito in lontananza e brevemente il suono della sirena. Forse si trattava di un falso allarme, ma comunque nessuno se n’è curato e prima che potessi decidere alcunché era già finito.

Certo, anche a Roma e in Italia la vita scorre normale e tranquilla, come se la guerra in Ucraina e il genocidio a Gaza non ci riguardassero, come se la degenerazione, anche per errore, di questa guerra combattuta in Ucraina tra la Nato, che fornisce le armi, e la Federazione Russa non esponga anche le nostre città europee a essere possibile bersaglio di rappresaglia e come se la mattanza di Gaza non avvenisse con il nostro supporto, visto che non votiamo all’Onu per il cessate il fuoco e invece riceviamo con tutti gli onori il presidente israeliano, criminale di guerra.

E’ per questo che anch’io “Odio gli indifferenti” come ci ha insegnato Antonio Gramsci. Poi, sia chiaro, vivere bisogna, e la mente anche ad altro deve pensare, perché fortunatamente la bellezza, la musica, le risate dei ragazzi e la gentilezza sono un antidoto all’orrore e una sfida alla morte.

Ben venga dunque la voglia di vivere sempre e comunque che in mille modi si impone, ma possibilmente con la consapevolezza della sfida contro la morte e contro la guerra, senza rimuovere alcunché, ma per ricaricarsi e fare, o almeno provare a fare, qualcosa per non essere complici.

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