Scienza ed esperienza nel secolo XVII

Quando la controinformazione si chiamava scienza

Nel corso del Seicento, come spiega lo storico della scienza russo Jurij Ivanovic Solov’ev, il mondo si aprí via via al progresso scientifico. Gli sconvolgenti risultati delle indagini astronomiche, naturalistiche e matematiche trovarono nelle attività delle Accademie, associazioni di scienziati e letterati aperti a nuove forme di collaborazione, fiorite in tutta Europa, la loro cassa di risonanza. In tale contesto la sperimentazione dei fenomeni, e le eventuali leggi che ne scaturivano, divennero le regole con cui dovette misurarsi ogni forma di conoscenza. Ciò che non poteva essere comprovato, sia che appartenesse a dogmi religiosi, o facesse parte della filosofia degli antichi, venne rigettata dai nuovi scienziati come materia incomprensibile.
14 dicembre 2003
Jurij Ivanovic Solov’ev
Fonte: Da: J. I. Solov’ev, "L’evoluzione del pensiero chimico dal ’600 ai giorni nostri", Mondadori, Milano, 1976

Nel secolo XVII le scoperte nel cielo si alternano a quelle sulla terra. La meccanica e l’astronomia hanno rivoluzionato i concetti di «terrestre» e di «cosmico» e hanno esercitato una forte influenza su altre scienze sperimentali, particolarmente sulla fisica e sulla chimica. Le spedizioni in terre lontane, perseguenti solitamente fini non scientifici, hanno messo a disposizione degli studiosi molti fatti nuovi, e lo svilupparsi della corrispondenza tra studiosi di differenti paesi ha permesso di meglio assicurare la verifica critica di innumerevoli osservazioni ed esperienze.
Con l’allargarsi dell’interesse per le scienze naturali, nasce una nuova forma del lavoro scientifico. Nel secolo XVII si inizia infatti l’unione delle forze scientifiche in accademie, aventi per scopo lo sviluppo delle scienze naturali, la discussione, la valutazione, e la pubblicazione dei risultati ottenuti. Nel 1603 il marchese Federico Cesi [naturalista], con Francesco Stelluti [naturalista e letterato], Anastasio De Filiis [storico] e Jan Heck [medico e naturalista olandese], fonda a Roma l’Accademia dei Lincei, di cui Galileo fu socio. Nel 1652 il medico J. L. Baush crea in Germania l’Accademia degli scrutatori della natura, la quale si occupava all’inizio prevalentemente di medicina. Nel 1657 il cardinale Leonardo de’ Medici [ultimogenito del granduca Cosimo II] organizza a Firenze l’Accademia del Cimento, vissuta dieci anni. Nel 1662, sulla base di un Invisible College nato a Oxford nel 1645, viene fondata la Royal Society di Londra, tuttora esistente, che aveva per divisa le parole di Orazio nullius in verba e il cui statuto diceva cosí: «La Società non riconoscerà nessuna ipotesi, sistema, dottrina di filosofia naturale proposti o accettati dai filosofi antichi o contemporanei... ma esaminerà e giudicherà tutte le opinioni non accettandone alcuna fino a che, da maturo giudizio ed esame delle prove date da esperienze rigorosamente impostate, non verrà inoppugnabilmente dimostrata la verità di ogni affermazione».
Nel secolo XVII cambia il modo di lavorare, non solo degli uomini di scienza, ma anche degli artigiani, nell’attività dei quali cominciano a manifestarsi elementi di creatività collettiva. Fino ad allora i dati della esperienza pratica accumulati dagli artigiani non venivano di regola descritti e resi pubblici. Nella loro creatività individuale essi avevano talvolta raggiunto risultati sorprendenti (esempio di ciò i colori degli antichi, la ceramica, l’acciaio delle lame di Damasco, ecc.); tuttavia il segreto professionale gelosamente mantenuto rendeva difficile l’accesso alle conoscenze di questi esperti. Ma quando nelle imprese metallurgiche e minerarie, nelle fabbriche di colori e di vetri cominciarono a crearsi gruppi di artigiani di una stessa specialità, nacque l’esigenza di un piú largo scambio di esperienze. Lo sforzo diretto al perfezionamento della produzione non poteva piú limitarsi a una raccolta di ricette tradizionali. Come risultato della concorrenza economica sorse la necessità di affrancarsi dai vincoli della tradizione, di uscire dai limiti della ricetta, per imboccare la strada della generalizzazione e della motivazione tecnica dell’esperienza. Acquistò forza l’idea che i perfezionamenti tecnici e le scoperte risultati da prove casuali, solo con l’aiuto della teoria, possono trasformarsi in frutti dell’indagine scientifica. Come disse Francesco Bacone [filosofo inglese, vissuto fra il 1561 ed 1626]: «gli assiomi correttamente scoperti e riconosciuti veri armano la pratica in modo non superficiale, ma profondo, e generano un grande numero di applicazioni pratiche».
Gli artigiani e ingegneri del XVII secolo sapevano già non solo sperimentare ma altresí formulare i risultati della loro esperienza in regole empiriche e interpretazioni quantitative. Al tempo della nascita della scienza chimica, la maggioranza degli studiosi era conscia della verità fondamentale che tutti i fenomeni della natura sono soggetti a leggi e a regole e che, per questa ragione, nonostante la tradizione ecclesiastica, non si debbono spiegare questi fenomeni come una manifestazione della volontà di Dio. [...]
In questo periodo, non piú solo come affermazione, ma come programma d’azione, suonano le parole di Leonardo da Vinci: «Quelli che si innamorano di pratica sanza scienzia sono come il nocchier ch’entra in naviglio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada». E ancora aggiungeva: «E questa sperienzia si faccia piú volte, acciò che qualche accidente non impedissi o falsassi tal prova, che la sperienzia fussi falsa e ch’ella ingannassi o no il suo speculatore».
Al principio del XVII secolo F. Bacone entrò in lizza come campione dello studio sperimentale della natura. Egli dichiarò che «l’uomo è l’interprete della natura e il suo dominatore» e che «... quando l’esperimento procede secondo una legge definita, in modo conseguente e ininterrotto, allora vi è da aspettarsi qualche cosa di buono per la scienza». [...]
Il principale significato dell’opera di Bacone si racchiude nell’affermazione dell’esperimento come argomento decisivo nelle controversie scientifiche e nella diffusione di nuovi principi per l’organizzazione della scienza. La dottrina sostenuta da Bacone che la conoscenza è fondata sull’esperimento acquista nella seconda metà del secolo XVII particolare significato.
Al giudizio della ragione e dell’esperimento vennero sottoposti non solo fatti, ma anche le dottrine religiose degli scolastici [filosofi che conciliavano la dottrina cristiana con il sapere di Aristotele], i dogmi degli antichi filosofi e, in particolare, la filosofia naturalistica aristotelica. Dalla fine del XVII secolo le posizioni ideologiche originarie non vennero piú considerate come soluzioni già pronte dei problemi, ma servirono solo da filo conduttore per l’impostazione delle esperienze. Per lungo tempo i risultati delle osservazioni ed esperienze che erano in contrasto con affermate concezioni filosofiche non erano addirittura prese in considerazione dagli studiosi, convinti della infallibilità dell’autorità di Aristotele o di Platone. A eliminare questo errore provvide nel XVII secolo la convinzione che solo l’esperimento può trasformare una ipotesi in teoria scientifica: si accrebbe cosí l’interesse degli studiosi e dei filosofi per le conoscenze sperimentali, complementi indispensabili della pratica.
Non appena l’esperimento prese il posto che gli spettava, si scoprí che molte delle idee scientifiche fino ad allora accettate erano inconsistenti. Queste concezioni cominciarono a essere considerate come «incomprensibili». Una ipotesi deve essere chiaramente espressa e non deve contenere nulla di evidentemente falso e assurdo e, sotto questo aspetto, la filosofia di Aristotele non soddisfa a nessuna di queste condizioni. Nella letteratura scientifica della seconda metà del secolo XVII è frequente l’accusa: Aristotele è incomprensibile. [...]
Accanto alle proteste contro gli scolastici, veniva espressa l’esigenza della creazione di una filosofia «realistica», basata cioè sugli insegnamenti della natura stessa; i ragionamenti dei peripatetici [seguaci della scuola di Aristotele] danno solo una ingannevole «teoria delle chimere o di cose inesistenti. Le loro spiegazioni sono fatte assai piú di concetti e di sottigliezze logiche e metafisiche, che di osservazioni e considerazioni fisiche basate sui principi e i fenomeni della natura», scriveva Robert Boyle [chimico irlandese, vissuto fra il 1627 e il 1691], uno studioso i cui lavori ebbero una parte fondamentale nell’affermazione della chimica come scienza.

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