XX settembre (nell'anniversario 1870-2010)

11 maggio 2010

XX settembre
(nell'anniversario 1870-2010)

(pubblicato su Tempi di fraternità, n.5, maggio 2010, pp. 24-25)

In un baule in cantina ho il materiale (in buona parte non utilizzato) che mi servì per la mia tesi di laurea (tanti anni fa) in giurisprudenza, discussa (per caso) quasi sotto la lapide dedicata ad Erasmo nella sede centrale dell’Università di Torino: una tesi in diritto ecclesiastico, che non è il diritto canonico, interno alla chiesa cattolica, ma l’insieme delle norme che regolano i rapporti tra chiesa e stato.
Era un tesi storica su Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona a cavallo tra Ottocento e Novecento. Fu uno dei “conciliatoristi”, cioè di coloro che cercavano, dopo il 1870, la conciliazione fra l’Italia e la sede papale. Erano malvisti dagli “intransigenti” che, tra l’altro, li accusavano di modernismo. Nel suo slancio verso la pace con l’Italia, Bonomelli esaltò anche le guerre coloniali di fine secolo. Glielo perdoniamo, visto che ebbe intuizioni molto avanzate sulla posizione della chiesa nella società e nello stato. Si impegnò per gli emigranti, e tenne rapporti aperti con la cultura italiana più viva.
Aveva proposto, nel 1889, un piccolo stato pontificio, residuo di quello caduto, che doveva comprendere il Vaticano e una striscia rivierasca del Tevere fino al mare (condizione, allora, di libertà di movimento del papa), Ma, nel 1906, arrivò a proporre una soluzione della questione romana senza concordato tra stato e chiesa, né territorio sovrano, ma con l’affidamento della chiesa e dei suoi diritti al “diritto comune” di tutti i cittadini e delle formazioni sociali. Pensava, con grande fiducia, che il nuovo secolo di libertà e democrazia avrebbe garantito alla chiesa i diritti e la libertà di tutti, senza privilegi né esclusioni né patti speciali.
Morì prima della grande guerra e non vide il fallimento delle illusioni ottimistiche di quegli anni, tra cui la sua proposta conciliatorista ma anticoncordataria, che ce lo rende simpatico e affine ancora oggi, dopo 80 anni dalla soluzione clerical-fascista del 1929. Pensare la chiesa immersa nella condizione di tutte le altre forme di associazione, che si fa ascoltare per la sola capacità propria di proporre “parole di vita”, è un modo molto “cristiano”, cioè proprio di Gesù Cristo e della maniera in cui visse, non più protetto di ogni altro uomo dalle violenze del potere, ma capace di vincere totalmente le sue seduzioni.
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Poi ricordo di avere ascoltato, in Campidoglio, una conferenza di Giovanni Battista Montini, non ancora papa, proprio sul Venti Settembre. È rimasta famosa questa sua conferenza (che immagino si trovi in internet), perché affermò chiaramente che la presa di Roma fu provvidenziale nel liberare la chiesa dal potere temporale. Certo, ne rimase a lungo la nostalgia e la pretesa, e la soluzione del 1929 era ancora debitrice alla concezione della chiesa come un potere statale, sebbene su piccolo terriotrio, tra gli altri stati della terra. Questa, del resto, è l’attuale condizione giuridica del papa, nel diritto internazionale. Egli è vescovo di Roma, ma non è cittadino di Roma. È un capo di stato.
Gli stati non sono i popoli, non sono le associazioni vive di persone vive, ma strutture che certo hanno un valore e una utilità, ma sono tuttora molto legati alla potenza come criterio decisivo, e sono fino ad oggi consustanziali alla guerra (si veda l’importante libro di Krippendorff, Stato e guerra, Edizioni Gandhi, Pisa).
Certo, il papa non ha un esercito per la guerra, ma le alabarde delle guardie svizzere (le hanno ancora? Non sono informato) non sono innocue aste per salti olimpici, vogliono significare le armi. E ho negli occhi una cerimonia in piazza San Pietro – non ricordo in quale anno, ma certo nel secondo Novecento – in cui reparti militari (italiani, immagino), schierati presso il sagrato della basilica, puntavano oscenamente verso il cielo i loro mitra, senza che il papa di quel momento (non ricordo chi era) li fulminasse con un anatema dal balcone, e invece accettava in silenzio quella immagine violenta come un omaggio. È così, fra stato e stato, e il Vaticano è uno stato come gli altri, giuridicamente, anche se parate militari come quella spero che non se ne vedano più. Però ... Però ho visto e sentito l’urlo bestiale “Folgore” scagliato dai parà sotto le volte della basilica di San Paolo ai funerali recenti dei soldati ammazzati in Afghanistan.
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Ci siamo detti mille volte, almeno dal Concilio in qua, che il “rimedio” al Venti Settembre coi Patti Lateranensi, è qualcosa di “straniero” al vangelo, al quale – pare ! – la chiesa dovrebbe riferirsi in tutti i suoi atti. Noi anziani quasi ci annoiamo a ripetere questa ovvietà, che però sembra ovvia solo a noi, cattolici critici, o del dissenso-disagio, o conciliari, o catto-protestanti (come preferite).
Il Concilio offre la base per rinunciare al privilegio statale: «La chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza» (Gaudium et Spes, n. 76). A volte vedo il dubbio, non vedo la rinunzia.
Ricchezza e garanzia della chiesa è la Parola dataci, e la carne vivente di chi la accoglie. Non è la terra o il diritto. Una chiesa senza terra - senza altra terra di quella che spetta ad ogni essere che poggia i piedi sul suolo e dalla terra trae alimento e sulla terra cammina ad intrattenere relazioni umane - sarebbe non angelica (senza piedi per terra) ma umana, sorella dell’umanità, come Gesù camminò sulle strade di Palestina, a fianco nostro, senza una pietra su cui posare il capo, e l’unica terra che prese per sé fu quella su cui piantarono la croce e quella del sepolcro, presto lasciato vuoto.
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I bersaglieri del Venti Settembre sfondarono un muro, la breccia è oggi sigillata in forma monumentale. Il guaio di quel giorno – a parte i poveri soldati uccisi (39 morti per il re, 19 morti per il papa) - fu che entrarono i bersaglieri, accolti in festa dalla gente di Roma, e va bene, ma non uscì la chiesa, per le vie del mondo, libera. Però, è sempre in tempo, siamo noi sempre in tempo, a riaprire la breccia, nell’altra direzione, senza schioppi in spalla.
Enrico Peyretti, 4 gennaio 2010

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