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Desiati e il dolore della provincia pugliese

E' in libreria il nuovo romanzo dello scrittore martinese, «Il paese delle spose infelici», opera bella e importante. Sullo sfondo di un triangolo amoroso c'è la Taranto degli anni di Cito, l'Ilva, i morti, l'inquinamento.
10 settembre 2008
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

- Ad aprire l'ultimo romanzo di Mario Desiati (Il paese delle spose infelici, edito da Mondadori) c'è una scena surreale. Sotto un sole mite, una sposa vestita di bianco si immerge nelle acque limacciose del Taras, il torrente che scorre tra il paese di Massafra e lo stabilimento siderurgico dell'Ilva, mentre alcuni operai che sono nei paraggi in pausa pranzo, stracchi dal lavoro, si lanciano goffamente per cercare di raggiungerla.

Quella donna è la «regina delle spose infelici», la dea sovrana di tutte quelle donne «con le stimmate dell'insoddisfazione » ingabbiate in matrimoni che non hanno voluto e a cui non riescono a ribellarsi. Sono tante, sono molte, e a volte decidono di farla finita. Delle loro gesta sono piene le storie orali di ogni paese, anche in anni recenti. «Ciascuno di noi», scrive Desiati, «poteva contare nel proprio albero genealogico una sposa infelice».

Il paese delle spose infelici ha il merito raro di raccontare la sofferenza umana che si annida nelle pieghe di una parte della provincia pugliese (Martina Franca e i paesi della Valle d'Itria) in genere descritta come ridente e opulenta. Desiati ci dice invece che una sofferenza meno evidente, eppure non meno dolorosa, affonda nelle menti, nelle carni, nei vissuti di tanti uomini e soprattutto donne ai margini. Di quelle esistenze, i suoi personaggi sono uno specchio fedele.

Il dramma delle spose infelici (quasi un affresco post-demartiniano sulle nevrosi femminili meridionali) è lo sfondo di un triangolo amoroso che corre verso il disastro. C'è Francesco Rasoschi detto «Veleno » (un piccolo borghese fallito, incapace di scelta e di rivolta, che è l'io narrante del romanzo); c'è il sottoproletario che finisce male Zazà (suo amico di infanzia, ma di quelle amicizie che non riescono mai a fondersi veramente); e poi c'è lei, Annalisa, la dea sovrana delle viscere di Martina, una ragazza dal «profilo fulminante» e un po' svitata, una sorta di paria del sesso, il cui corpo è abusato, senza amore, da centinaia di uomini e giovinastri. «Veleno» ama follemente Annalisa, senza essere ricambiato, e Annalisa ama a modo suo Zazà, che invece si perde di detenzione in detenzione.

Il loro rapporto si snoda tra la metà degli anni Novanta e il nuovo secolo, conclude l'adolescenza e incide la loro giovinezza, senza sboccare però in alcuna forma di maturità o di reale conoscenza. Solo alla fine, ad esempio, «Veleno» verrà a sapere del fondo nascosto della vita di Annalisa. Accanto a loro intanto si raccoglie una pletora di personaggi tragicomici che attraversa le giornate tediose dei paesini bianchi delle Murge: tra calcio giocato nelle serie inferiori e calcio tifato furiosamente su spalti che non saranno mai ripresi dalle tv nazionali, tra piccole truffe per sbarcare il lunario e dicerie che hanno il potere della leggenda.

Con Desiati questo grumo di tensioni e insoddisfazioni raggiunge una sua piena dimensione letteraria, attraverso una prosa che sembra evocare più la letteratura novecentesca (Brancati, Siciliano, Arbasino) che non allinearsi alla frastagliata galassia del post-moderno. E poi c'è Taranto, la città degli sterminati falansteri e delle mille crisi che a coloro che vivono in provincia finisce sempre per incutere un certo timore: «Mi sembrava così miracoloso che Martina fosse tanto vicino a un luogo tanto catastrofico ». Gli anni delle spose infelici sono anche gli anni dell'ascesa e caduta di Giancarlo Cito (le cui gesta altrettanto surreali ogni tanto appaiono nel romanzo), delle morti in fabbrica, dell'inquinamento che si rovescia sulla città in nuvole di polveri rosse e grigie. Nel rapporto irrisolto tra Taranto e la sua provincia c'è una potente miccia che fa detonare la storia che Desiati racconta.

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