Riflessioni economiche-sociali su Ilva di Taranto
Mi sembra interessante iniziare con una riflessione vitale. Il concetto di sviluppo sostenibile applicato alla relazione Ilva- città di Taranto. Da eclettico giovane economista mi sono chiesto: “Ilva garantisce la sostenibilità di Taranto, dei tarantini ergo del territorio ionico?Ilva può essere un indicatore,in senso lato, di sostenibilità per Taranto? ”. Innanzitutto analizziamo in via sintetica gli incrementi demografici della popolazione tarantina:
Dal grafico è possibile osservare che la popolazione tarantina negli ultimi 25 anni è diminuita di circa 50.000 unità fino a raggiungere le 195.000 unità nel 2008. C’è però da considerare nel ’92 l’autonomia di Statte (15.000 abitanti) da Taranto. Il saldo, quindi, sarebbe di 35.000 unità in meno in poco più di un quarto di secolo. Tale fenomeno è indicativo di mancanza di benessere sociale per una popolazione.
Quando l’impatto derivante dalla presenza di un colosso economico, su un territorio non porta sviluppo,benessere, e prosperità alla comunità si hanno delle variazioni della popolazione. Variazioni in diminuzione.
Tale dato è in antinomia con l’affermazione che “Ilva dà il pane ai tarantini” in quanto se un abitante x di una popolazione X trova stabilità economica e sociale,oltre che al benessere personale nel proprio territorio, non ha bisogno di scappare altrove. A Taranto è successo e succede questo. Il ‘pane’ viene e verrà mangiato altrove e non grazie ad Ilva.
Nel lungo periodo, il benessere iniziale portato dal siderurgico è andato via via stagnando. Ciò ha determinato parassitari effetti economici per la comunità tarantina che rischia di scomparire nelle prossime generazioni (fin quando lo status attuale Ilva - città non si modifica in termini di benefici socio-ambientali a favore della città).
Si assiste ad uno sconquassamento dell’economia tarantina. Quello che doveva essere un modello di sviluppo economico col passare degli anni si è manifestato come una falsa e pesante speranza. Una città che si spopola “lentamente muore”. Una città che fa scappare i cervelli “lentamente muore”. Cittadini che credono nella leggenda Ilva come fonte di occupazione e reddito per Taranto sono “strettamente arcaici”.
Su 13.011 unità lavorative ,stipendiate e salariate direttamente dal gruppo Riva, solo il 34,16% (4.444) ha la residenza a Taranto. È una percentuale troppo bassa rispetto alla popolazione di Taranto. Al 2008 il siderurgico sembra che faccia più comodo ai c.d. “forestieri”. Non bisogna certo discriminare l’operaio o l’impiegato in base alla residenza. Però questo è un dato che in termini economici dovrebbe far riflettere al tarantino in cerca di occupazione o cittadino normale:
- Ilva non soddisfa pienamente o in maniera preponderante l’esigenza occupazionale di una comunità frustrata dalla disoccupazione;
- Ilva non rappresenta per Taranto una fonte di reddito in quanto il 65,84% della quantità di moneta che Riva elargisce ai lavoratori (retribuzioni) vengono spese o circolano fuori i confini della Città dei due mari; tale situazione non favorisce certo commercio, economia ed affari che a Taranto potrebbero essere più fluenti e dinamici.
Taranto subisce davvero il ricatto occupazionale Ilva?..se si........per così poco…???
Inoltre l’indotto Ilva conta circa altre 7.000 unità lavorative ( forza lavoro delle ditte appaltatrici).
L’occupazione, quindi, è l’unico beneficio economico che Ilva dà alla città. E i costi? Quantificarli è difficile e molto complesso. In via sintetica,a livello macro, si può affermare che l’immagine globale di Taranto, dal punto di vista dell’inquinamento, ne esce distrutta. Il costo dell’immagine negativa di un territorio si riflette inevitabilmente sul Turismo (fonte economica dinamica per una comunità).
A livello micro sono davvero tanti: dal minerale che si deposita sul bucato o sulla carrozzeria di un auto….che costringe a un esborso monetario, in termini di consumo di acqua e energia, irrisorio nel breve periodo ma rilevante nel medio lungo(moltiplicato per n. cittadini). Oppure tutti i terreni di allevatori e contadini contaminati…per non parlare dei danni ai pescatori… Inoltre sono rilevanti tutti i costi che i cittadini sostengono per le spese mediche….ecc
A Taranto vige quindi l’economia del più forte. Ilva con la sua attività produttiva può danneggiare altre attività economiche…cercasi giurisprudenza… Questo è un sistema economico strano called Globalizzazione. L’economia più grande distrugge la microeconomia di una comunità.
In termini di sostenibilità è importante anche il danno genotossico. Questo è in contrasto con il concetto di sviluppo sostenibile. Generazioni future che hanno più probabilità di ammalarsi facilmente,a causa di modificazioni del dna, non sono compatibili con la sostenibilità di una popolazione.
È ancora possibile parlare di sviluppo sostenibile a Taranto? ..questo è un concetto che applicato al contesto tarantino tende inesorabilmente alla saturazione. Cioè le condizioni di sostenibilità di un territorio vengono via via a scomparire. Si passa così ad una saturazione delle componenti sostenibili. Il fatto che la popolazione è in diminuzione o che i cervelli scappano perché non c’è offerta concreta sul territorio sono preoccupanti indicatori di insostenibilità crescente di un territorio.
SOLUZIONE AL PROBLEMA: SVILUPPO ALTERNATIVO AREA ILVA
Pensare ad uno sviluppo alternativo di un area siderurgica, così grande, è possibile nel caso in cui la sostenibilità non è garantita, oppure, ha raggiunto dei livelli di saturazione ambientale, economica e sociale. Per la tutela delle future generazioni di un territorio risulta strategicamente vitale un nuovo processo di rinnovamento E RISTRUTTURAZIONE ECONOMICA. Tutto ciò si può ottenere attraverso uno sviluppo diverso di un area ambientale compromessa.
Una delle motivazioni di sviluppo alternativo è che il settore siderurgico è uno dei settori industriali più debole perché esposto a notevoli rischi per la sovrapproduzione, per le incompatibilità ambientali e per il progressivo spostamento verso nuovi mercati più competitivi . Tale competitività è basata sul costo della produzione e del lavoro che influenza il prezzo finale. La crisi del settore siderurgico, per Taranto e i tarantini, potrebbe rappresentare un rischio. Infatti, tale settore negli ultimi trenta anni è stato colpito da diverse crisi.
La prima fase operativa di un processo di sviluppo alternativo dell’area Ilva è legato al fermo degli impianti e alla contestuale bonifica dell’intera area.
La procedura di bonifica è molto costosa. Allo scopo di pervenire ad una caratterizzazione chimico – ambientale, geomeccanica e litostratigrafia dei terreni di interesse dell’intera area, è necessario effettuare una serie di indagini geognostiche, mediante carotaggi superficiali e profondi, campionamento del sottosuolo, campionamento di acque e indagini geofisiche. Molta attenzione deve essere fatta nello studio e nell’analisi degli aspetti idrogeologici e delle falde acquifere.
Oltre alla bonifica è necessario seguire un processo di dismissione nel quale coinvolgere i dipendenti Ilva. Dismettere è costoso e comporta tempi medio – lunghi considerando l’estensione della superficie e le vaste dimensioni degli impianti e degli edifici ( acciaierie, cokerie, treni di laminazione…) . Però occorrerebbe dismettere in modo intelligente: cioè sarebbe conveniente inserire dei programmi di conservazione e musealizzazione di parti del centro siderurgico in modo da sviluppare una archeologia siderurgica. In tal caso si parla di valorizzazione di area siderurgica dismessa. Con questa musealizzazione si avrebbe una ricaduta occupazionale positiva e certamente pulita in quanto basata sulla storicità di un’epoca che ha condizionato Taranto.
Nella restante area si potrebbero fare investimenti, come ad esempio:
• costruzione di centrali fotovoltaiche ed eoliche in modo da fornire energia pulita al quartiere Tamburi che ha da sempre subito costi e svantaggi relativi alla presenza del siderurgico; effetti occupazionali bassi ma ecosostenibili;
• insediamento di nuove aziende. L’area è alquanto strategica in quanto è sita nei pressi del porto di Taranto e rappresenta certamente una attrattiva per gli imprenditori. Naturalmente dovrebbero insediarsi aziende con impatto ambientale minimo e garantiste di sostenibilità; ad esempio potrebbero investire essere interessate ad investire aziende che producono impianti di energie alternative(ma non solo): queste potrebbero aprire il loro mercato esportando in tutto il Mediterraneo, dai Paesi Nord – africani arrivando ai Paesi medio – orientali. Tale considerazione è valida per qualunque tipo d’impresa; inoltre la chiusura del siderurgico libererebbe buona parte del porto di Taranto utilizzata da Ilva; porto come risorsa economica-commerciale dinamica.
• costruzione di un grande parco urbano;
• creazione di un campus universitario, in modo da assemblare le facoltà presenti nel territorio ionico.
L’immagine di Taranto sarebbe davvero pulita. Si punterebbe tutto sul turismo con il rilancio delle strutture alberghiere e ricettive cittadine. E l’area liberata dal tumore chiamato Ilva sarebbe sicuramente attrattiva di capitali mondiali per la vicinanza col porto e la posizione strategica di Taranto nel mediterraneo. Maggiori ricadute occupazionali rispetto alle esistenti. Senza considerare una risorsa non pienamente sfruttata da noi tarantini..il mar piccolo, Yes we do, no dobbiamo farlo!
2) Molti impianti hanno chiuso fin dalle prime crisi siderurgiche ed energetiche della fine degli anni ’70.
3) Per lo sviluppo alternativo di un’ area così vasta è necessario un progetto che possa sintetizzare e raccogliere gli interessi comuni dei vari attori sociali: dagli ambientalisti agli imprenditori, dai politici ai cittadini … .
4)Secondo alcuni scienziati le operazioni di bonifica non consentono di ripristinare la condizione primitiva dell’ambiente inquinato o contaminato.
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