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Ilva, ancora una vittima a Taranto

Paurowicz Zygmunt Jan non ce l'ha fatta per un solo giorno a sopravvivere alle disastrate condizioni lavorative all'Ilva di Taranto. Intanto la Regione Puglia si appresta a varare la sua legge regionale per obbligare l'Ilva a ridurre le emissioni tossiche e a rientrare nei parametri europei ignorati dalla legislazione italiana.
12 dicembre 2008
Angela Mauro
Fonte: Liberazione

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Paurowicz Zygmunt Jan non ce l'ha fatta per un solo giorno a sopravvivere alle disastrate condizioni lavorative all'Ilva di Taranto. Ieri avrebbe dovuto essere la sua ultima giornata di lavoro per la Pirson Montaggi, azienda belga che aveva preso in appalto lavori all'altoforno numero 4 dalla Paul Wurth Italia, altra ditta dell'indotto siderurgico. Non ce l'ha fatta, gli ingranaggi malati della sicurezza sul lavoro si sono abbattuti su di lui e ora Paurowicz, 54 anni, polacco, è la 45esima morte bianca nel colosso industriale tarantino da quando è stato acquistato da Emilio Riva a metà anni '90. Notte fonda tra mercoledì e giovedì. Paurowicz stava smontando alcune parti dell'altoforno 4, impianto fermo da luglio per lavori di rifacimento, quando è stato colpito dal braccio di una gru precipitato da un'altezza di 14 metri. E' morto sul colpo. La procura di Taranto ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo.

La Paul Wurth fa sapere di avere avviato un'indagine interna. I sindacati, confederali e non, hanno indetto uno sciopero di 24 ore, a partire da subito, delle aziende dell'indotto Ilva di Taranto. E oggi con loro incroceranno le braccia per l'intera giornata anche i dipendenti dell'ilva, un'agitazione che si aggiunge allo sciopero generale proclamato da Cgil, Fiom, Cobas a livello nazionale. Ma la morte di Paurowicz agita la città pugliese, che solo da due-tre anni sta vivendo la sua "primavera" in fatto di coscienza civica sia sugli incidenti sul lavoro che sulle responsabilità dell'Ilva nei reati ambientali. Insieme alla morte dell'operaio polacco («La terza, nel giro di un anno, tra i lavoratori dell'indotto: prima di Paurowicz è toccato ad un albanese», ricorda Margherita Calderazzi dello Slai Cobas di Taranto), arrivano le notizie sull'operazione dei carabinieri del Noe all'Ilva di Genova.

Ipotesi di reato: stoccaggio illecito di rifiuti. Denunciati nomi importanti del colosso siderurgico più grande d'Europa: il presidente del cda del gruppo, Emilio Riva; il direttore dello stabilimento di Genova, Giuseppe Frustaci; i responsabili dello smaltimento dei rifiuti Franco Risso e Enrico Calderari. Sequestrati residui dell'attività dell'altoforno (chiuso nel 2005) accumulati dal 1998 fino a tre anni fa: complessivamente, 100mila tonnellate di rifiuti speciali costituite da polverino d'acciaio e circa 5mila tonnellate di pasta di zolfo. Erano stoccate in un'area vicina all'aeroporto di Genova, l'ex Parco Minerali, all'aria aperta e senza protezioni, in quantità superiori a quelle consentite dalla legge.

I Riva avrebbero dovuto avere un'autorizzazione della Provincia, ma secondo il Noe - che hanno scoperto il sito con un'operazione aerea a bordo di elicottero - non l'hanno mai chiesta. Le polveri, che secondo i carabinieri non dovrebbero essere nocive, verranno analizzate se lo chiederanno i magistrati cui sono stati consegnati gli atti dell'inchiesta.

«Come si fa a dire che quelle polveri non sono nocive?». L'allarme è di Andrea Agostini, della Legambiente di Genova. «L'Ilva di Cornigliano si trova proprio sul mare, ci pensa la forza del vento a spostarle, gli stessi operai le respirano». Sia gli ambientalisti di Genova che quelli tarantini ricordano che quattro anni fa il Noe sequestrò all'Ilva di Taranto della pasta di zolfo arrivata probabilmente da Genova a bordo di navi e stoccata in una delle discariche di proprietà dei Riva.

Sarà questo il motivo per cui i proprietari dell'Ilva si affrettano a smentire di essere coinvolti in traffici illeciti di rifiuti, malgrado questa accusa non gli venga contestata nell'inchiesta sullo stoccaggio illecito di Cornigliano? Fa pensare poi l'altra operazione del Noe a Pescara. Cinque arresti tra le 36 persone denunciate per associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti, truffa, falso in attestazioni analitiche e certificazioni ambientali, frode processuale. Al centro dell'inchiesta, un imponente traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi portato avanti con la collaborazione di trasportatori, gestori degli impianti, intermedari vari. Sotto sequestro, la discarica di Chieti Scalo.

Collegamenti, forse. Intanto la Regione Puglia si appresta a varare la sua legge regionale per obbligare l'Ilva a ridurre le emissioni tossiche e a rientrare nei parametri europei ignorati dalla legislazione italiana. L'appuntamento è per martedì prossimo in consiglio regionale, gli ambientalisti si preparano ad accogliere l'evento con una manifestazione a Bari. E Alessandro Marescotti di Peacelink riflette su un altro risvolto del problema Ilva: le 1.600 pecore risultate positive ai test anti-diossina il cui abbattimento è in corso in questi giorni. «Chiedo al governatore Vendola di convocare gli allevatori per pensare ad un progetto alternativo. Qui il rischio è che la grande industria inquinante faccia il vuoto intorno a sè...».

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