La città al tempo della crisi vista dai suoi scrittori
Non è dunque un caso che in questo periodo siano usciti tanti romanzi con sullo sfondo la città e la sua provincia. Nell´emergenza spesso si crea un vuoto, un vuoto che a volte è anche un vuoto di immaginario.
In quello spazio bianco si inseriscono gli sguardi degli scrittori. Andai dentro la notte illuminata di Giancarlo Liviano D´Arcangelo (peQuod, 2007), Adesso tienimi di Flavia Piccinni (Fazi editore, 2007), La guerra dei cafoni di Carlo D´Amicis (Minimum Fax, 2008), Maschio adulto solitario di Cosimo Argentina (Manni, 2008) e infine Il ragazzo che credeva in dio di Vito Bruno (Fazi editore, 2009) sono alcuni dei titoli più discussi in questi due anni.
Ma è solo un elenco parziale, accanto alle opere sono tanti gli scrittori della provincia jonica nella scena di questi tempi: da Girolamo De Michele, a Lorenzo Laporta, a Omar Di Monopoli, a Donato Carrisi, a Giuse Alemanno sino ad Alessandro Langiu che racconta attraverso la scrittura drammaturgica.
Dice il tarantino Alessandro Leogrande, l´autore di successo del reportage Uomini e caporali (Mondadori) e che esordì con Il mare nascosto, primo libro importante di questa Nouvelle tarantina: «Si tratta di un numero rilevante, tenendo presente la densità demografica della provincia. Anche sotto il profilo sociologico- letterario è un dato quasi inspiegabile e fa impressione se lo confrontiamo a città come Catania meno raccontate oggi, ma che hanno problemi simili a quelli di Taranto, una popolazione non molto diversa, e una tradizione letteraria più potente«.
Per Leogrande, l´aspetto più interessante è che un tempo c´era una Taranto classica borghese, quella che apparteneva a una sorta di sinistra illuminata, che si raccontava in relazione alla città. Era la Taranto di Sandro Viola, di Giancarlo De Cataldo, passando dal giudice Spataro sino allo stesso Leogrande. Era, quello, un ceto intellettuale che si era formato quasi sempre sui banchi del liceo classico "Archita". "Una sorta di Eton nostrana", chiosa Leogrande. Oggi, accanto allo sguardo di coloro che erano cresciuti nella Eton tarantina, c´è un altro sguardo, è quello che viene dalla periferia, dalla provincia. Manca forse oggi il grande racconto dell´Ilva dal suo interno, una riproduzione trasfigurata come solo lo sguardo letterario può, e che è riuscito nelle poche, ma molto significative pagine di Ornella Bellucci uscite sul Corpo e il sangue d´Italia (Minimum Fax).
Risposta ulteriore a perché Taranto è diventata una terra di frontiera e di scrittori sta nel titolo in copertina del recentissimo romanzo di Vito Bruno. Lì la parola "dio" è scritta in minuscolo, mentre in frontespizio e nel corso del romanzo torna maiuscola. Padre Carmine, il protagonista del romanzo, è un prete atipico, pieno di incertezze che vive avvolto da una coltre di nostalgie: nostalgia per il suo paese di origine, Martina Franca, solo venti chilometri dalla parrocchia, eppure quasi irraggiungibile; nostalgia per un flirt liceale che chissà poteva diventare qualcosa di molto più che un ricordo sbiadito; nostalgia per una vocazione che inizia a sparire e che viene messa in discussione dalla spietatezza di una città. Una spietatezza che viene raccontata con clinica precisione. Bruno la racconta con una patina di malinconia, con un senso di impotenza che il sacerdote Carmine Bianco fa trasparire quando è l´uomo Carmine Bianco.
Lo sfondo della città sembra senza possibilità di redenzione, il simbolo di questo è la giovane prostituta montenegrina Alena obbligata a "fare la vita" da feroci papponi. Alena non è altro che il lato più debole di una catena fatta da ragazzini pieni di vita, ma senza maestri, genitori disorientati, istituzioni lontane. Padre Carmine cerca di salvare quella ragazza, ma cerca di farlo con l´inadeguatezza di chi è stato toccato e maledetto da questa terra e resta senza forze davanti a una ragazzina pura, che fino a pochi mesi prima di conoscere Taranto nei suoi aspetti più cupi e corrotti, raccoglieva mirtilli nei boschi dei Balcani. Alena ripete più volte "Perché Dio mi fa questo?" "Perché permette questo?", domande a cui Carmine non dà risposte, perché il suo Dio non ha la lettera maiuscola, non è meritevole di richieste e implorazioni. Taranto è la città da raccontare proprio per questo, perché è una città in cui il suo dio ha perso la lettera maiuscola.
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