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Lettera al Corriere

«L'Italsider era un'altra cosa, non c'è alcuna continuità con l'Ilva se non nel tipo di processo produttivo"

Per tredici anni, Riva non ha tenuto in nessun conto la città, ora si rende conto che dovendo tutelare il cuore del suo impero industriale, l’area a caldo di questo stabilimento e quindi il suo ciclo integrale, lo deve fare pur rinunciando ai suoi principi e convinzioni
12 luglio 2010
Giancarlo Girardi
Fonte: Corriere del Giorno - 11 luglio 2010

Gentile direttrice,
davvero una bella e suggestiva immagine quella ricostruita dai grafici della Riva Fire spa e diffusa su alcuni quotidiani locali, ma la storia non è solo cronologia di eventi né può essere riscritta a seconda delle opportunità.

Si vorrebbero oggi ricordare i cinquanta anni del Quarto Centro Siderurgico ma, in effetti, lo si dovrebbe fare solo per i quindici anni di permanenza a Taranto della
proprietà Riva. Egli, infatti, con il nome dell’originaria azienda fondata nel 1905, l’Ilva, non ha alcuna continuità se non nel tipo di processo produttivo. Quella società, invece, si trasformò in Italsider proprio con la nascita del Quarto centro siderurgico nella nostra città, appunto cinquanta anni fa e fu sciolta con la vendita alla famiglia Riva.

Questo imprenditore il suo “ponte” più importante però non l’ha saputo costruire: quello con la città che lo ospita. Un collegamento che doveva unire due sponde separate da un lungo muro di cinta, fatto di rispetto per le popolazioni, le istituzioni locali, la salute e la dignità dei cittadini e dei lavoratori, lasciando che divenisse negli anni un mare in gran tempesta.

Tale barriera che circonda la sua attuale proprietà gli ha consentito uno “splendido isolamento” ed una vera discontinuità rispetto alla stessa azienda quando era pubblica. All’interno di quel suo nuovo mondo si è concesso e gli è stato concesso di costruire una fabbrica parallela volta a forgiare non solo l’acciaio ma le coscienze di
una generazione di giovani operai, oggi così poco rappresentati, in cui il concetto del bene comune viene considerato come servizio verso la “proprietà ” da tutelare emigliorare attraverso una organizzazione del lavoro interna pressoché unilaterale che ha anticipato di molti anni, nei suoi contenuti essenziali, la vicenda recente
della Fiat di Pomigliano.

Ora ci si aspetta in quella azienda la costituzione dei reparti confino per i dissidenti come fu per il Laf di Emilio Riva. Si sa tutto del quanto e come abbia pagato questa
grande fabbrica insieme al resto della siderurgia pubblica, un capolavoro politico- amministrativo all’italiana, una offesa alle leggi del mercato libero ed un danno alle casse dell’erario. Inoltre i suoi grandi utili conseguiti e riutilizzati in parte quando divenuto il maggior socio della proprietà Alitalia su richiesta esplicita dell’attuale premier che gli ha espresso gratitudine ed impegno da ricambiare.

Egli non può rivendicare in alcun modo il cinquantennio dalla fondazione dell’Italsider di Taranto, la sua visione del mondo è quella fatta dalla mera vendita dei prodotti, quindi dai guadagni e dai costi. I Danesi non hanno scelto l’acciaio italiano per costruire il loro ponte, ma è il mercato che lo ha determinato perché considerato un acquisto più conveniente. La campagna dell'Ilva per migliorare il "brand": "Una grande storia che sorge vicino a te".

Emilio Riva è da sempre uno straordinario commerciante di acciaio, egli in un’intervista, agli inizi dell’attuale crisi, ha affermato che quelle del settore siderurgico le ha attraversate tutte dal 54 in poi, che sono servite a suo dire per dismettere od acquisire nuovi impianti e rendere più forte la sua azienda. Ha affermato che non si lega a nessun impianto o realtà territoriale, né agli uomini o alle cose, questa è la sua regola. Ha conquistato con lo stabilimento di Taranto quote importanti del mercato europeo in virtù dei costi contenuti della manodopera peggio pagata della Comunità e della possibilità per almeno tredici anni, dal 95, di produrre inquinando di più.

Non c’è niente di ideologico nel giudizio verso questa proprietà perché non è vero che in cinquanta anni è sempre stato così.

Chi ha memoria o ha vissuto parte della sua vita in quella fabbrica sa bene che l’Italsider è stata altra cosa. Produttrice di cultura oltre che di acciaio, sostegni ad iniziative sul territorio, un rispetto per le Istituzioni cittadine e verso le organizzazioni dei lavoratori, attenzione al mondo della scuola, colonie per i figli dei dipendenti e, facilitando la presenza di circoli e dopolavori, un rapporto positivo per altre realtà.

L’attuale campagna di immagine volta a presentare un volto diverso alla città urta con l’arroganza e la presunzione dimostrata ancora una volta recentemente dal portavoce ufficiale dell’azienda nei confronti della società civile e della città tutta, segni contraddittori di forza o di cedimenti.

Per tredici anni, sino al 2008, Riva non ha tenuto in nessun conto la città, ora si rende conto che dovendo tutelare il cuore del suo impero industriale, l’area a caldo
di questo stabilimento e quindi il suo ciclo integrale, lo deve fare pur rinunciando ai suoi principi e convinzioni.
Grazie

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