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Patrimonio Unesco e Capitale della Cultura, due progetti per un solo destino

La vicenda della candidatura territoriale di Taranto a Capitale europea della cultura, ci racconta di un canovaccio miseramente identico a quello del Borgo antico candidato a Patrimonio Unesco dell’umanità
8 luglio 2013
Valentina Castronuovo e Massimo Ruggieri (Targato Ta)

 

Lo scollamento fra politica locale e fermento cittadino è sempre più evidente, tanto più se si parla di nuovi scenari economici. Da una parte un sistema vecchio e corrotto, arrogantemente ancorato a un modello di sviluppo deleterio e fallimentare, dall’altra una città che chiede di far rotta verso le sue vere vocazioni naturali. Ne consegue che lo scontro si acuisca proprio sui temi della cultura e del turismo, invocati dai tarantini e osteggiati dalle amministrazioni locali. La vicenda della candidatura territoriale di Taranto a Capitale europea della cultura, ci racconta di un canovaccio miseramente identico a quello del Borgo antico candidato a Patrimonio Unesco dell’umanità. Due progetti proposti svogliatamente da un’amministrazione assolutamente disinteressata e incompetente, priva di un disegno alternativo di città. Importantissime occasioni di rinascita per un territorio che ne ha tutti i requisiti, sebbene si preferisca insabbiarli. In entrambe le ‘avventure’ ne hanno fatto (o ne stanno facendo) le spese la città e i soggetti coinvolti nella loro realizzazione. Ripercorriamo i due cammini.

Taranto capitale della Cultura

Per Taranto nell’Unesco”. Il gruppo di lavoro "Per Taranto nell’Unesco" è stato istituito con determina n.170 dalla Direzione Urbanistica Edilità Risanamento Città Vecchia il 4 ottobre del 2011. Da un lato, personalità ed enti inclusi ad “honoris causa” nei processi di studio e documentazione necessari ad istruire la candidatura. Dall’altro, professionisti scelti con bando di evidenza pubblica sulla base delle

esperienze già accumulate e delle competenze certificate dai curricula, unitamente a quelli che il bando ha reclutato, forse troppo genericamente, come 'appassionati'. Una squadra comunque ben assortita, tra architetti, archeologi, storici, progettisti: professionisti affiancati da conclamate intelligenze dall’importante curriculum accademico come i rappresentanti delle soprintendenze ai beni archeologici della Puglia e ai beni architettonici e monumentali. Affiancati si, ma solo su carta. I nostri rappresentanti dalla conclamata esperienza accademica, infatti, hanno garantito la loro presenza e partecipazione solo durante la conferenza stampa di presentazione del progetto, seguita da un pranzo offerto dalla pubblica amministrazione per festeggiare l’evento. Da quel momento, mai più un contatto, mai più una forma di partecipazione, se non quella richiesta molteplici volte dagli altri componenti della commissione per il reperimento del materiale utile all’impresa: anche in questo caso, tempi biblici per documenti a portata di mano. I professionisti (i semplici mortali per intenderci), invece, hanno lavorato per ben due anni su ricerche, progettazioni e “cambi di rotte” per seguire al meglio il percorso non facile di candidatura. Il tutto a costo zero per la pubblica amministrazione che ha riconosciuto un contributo spese (una tantum) di euro 300 (dai quali devono essere detratte le spese del bonifico a carico del professionista, ovviamente) all’intera commissione, dunque anche alle menti illustri entrate di diritto. Poi, il cambio di assessore al borgo antico, l’istituzione degli assessorati brevi (un assessorato della durata di 6 mesi non basta a rendere continuativa anche solo una della azioni intraprese) e il lento e discontinuo boicottaggio di una commissione che non riceve più notizie sul da farsi da mesi. Che fine hanno fatto le buone intenzioni della pubblica amministrazione? Che fine farà il lavoro svolto e il materiale prodotto dalla commissione (operativa) in tutto questo tempo? Di sicuro, le nostre istituzioni lo conserveranno gelosamente…si, in un cassetto.

 

 

Taranto capitale della Cultura 2019. Non tutti sanno che il progetto, ora definito improbabile, era stato caldeggiato all’amministrazione comunale ben due anni fa dall’associazione Eutaca. Cioè quando c’era tutto il tempo di programmarla per bene. Ne seguì una delibera che andò a scaldare i cassetti degli uffici comunali per oltre seicento giorni. Poi ci è voluto il sindaco di Bari, Emiliano, pur coi suoi possibili ma leciti ritorni, per farla tirar fuori e costringere Stefàno ad aderire al programma congiunto. Più per imbarazzo che per convinzione. Da allora, la folle e improvvisata corsa di associazioni, cittadini e comitato promotore. Senza un euro, senza legittimazione formale e senza il benché minimo sostegno della Giunta. Un peccato perché, a volte, avere pochi quattrini in tasca, costringe ad ingegnarsi e dà l’imperdibile opportunità di allontanare gli avvoltoi. Sostegno e dedizione, però, non possono mancare. Con il primo si può provare ad attrarre investitori privati, magari sedotti dall’energia di una comunità in cerca di riscatto e che è sulla bocca di tutta Europa; con la seconda si può provare a intercettare fondi comunitari. Ma niente. Non una parola, non un soldo bucato e neppure una stanza e un telefono. La città che sta inseguendo questa follìa fra entusiasmo e frustrazione, avrebbe tutto il desiderio di scavalcare la politica per andarsi a prendere questo sogno, ma da sola non può farlo e forse non ce la farà. Però deve prepararsi a gestire il dopo nomina, senza consentire che questa energia vada perduta. Magari tenendo serrate le fila per tornare a pretendere, con forza, la ripresa della candidatura dell’Isola a bene Unesco, riconoscimento indelebile per l’immagine della città. Gli altri, tutti gli altri, non attacchino chi ci prova, non sarà mai motivo di pentimento, come invece può esserlo la resa aprioristica. Sono cammini in grado di arricchire in consapevolezza e senso comunitario, sempre. E non pensino neppure per un istante che Taranto e il suo territorio non possano ambire a traguardi importanti. La materia prima c’è, sono le persone che devono fare la differenza. C’è anche la brutta cartolina dell’inquinamento, ma qui non si tratta di mettere la polvere rossa sotto al tappeto, ma di coltivare alternative. Per dare potere contrattuale a una città che vuole ricollocarsi altrove. Da padrona e non da schiava.

 

 

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