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Il re è morto, evviva il re!

Riflessioni a seguito delle dimissioni di Angelo Bonelli
3 febbraio 2016
Gianmarco Tedesco

“Le roi est mort, vive le roi!” che tradotto vuole dire per l’appunto “il re è morto, evviva il re!”. È un’antica locuzione adoperata nella Francia pre-rivoluzionaria. Il ciambellano di corte, o chi per lui, annunciava al popolo il decesso del sovrano ma parimenti, con quest’affermazione, si intendeva tranquillizzare il popolo stesso che la monarchia avrebbe avuto un seguito, un successore, che non vi sarebbero quindi stati scossoni politici; almeno sino a quel momento. In Italia quest’affermazione si traduce nella ben più ecumenica frase “morto un Papa, se ne fa un altro”.

Ho riflettuto molto su quest’affermazione, chiamatemi pure scemo, e sono arrivato alla conclusione che la morte santifica tutti e quindi anche se quel monarca fosse stato il più sanguinario, il più crudele, il peggiore di tutti, avrebbe meritato lo stesso l’encomio di “evviva il re” alla pari di un suo omologo ben più lodevole e ben più benevolo. Non ho mai sentito nessuno, infatti, accusare o maledire qualcuno dopo la sua morte. Anche alla morte del sanguinario capitano delle SS Erich Priebke si alimentò un clima di ipocrita benevolenza, si cercò di velare i suoi stupri, i suoi omicidi, con uno squallido buonismo del tipo “Lasciamolo in pace, adesso è morto”; come se la morte abbia veramente il potere di rendere tutti più buoni, tutti più santi.

Io non ci credo. Questo modo di ragionare mi fa schifo. Io voglio sentirmi libero di criticare e accusare colui che in vita dà prova delle sue cattive azioni e, allo stesso tempo,  voglio lodare e stringere la mano a chi veramente, col suo lavoro, dà testimonianza delle sue virtù e voglio farlo nel momento stesso in cui mette in atto il suo buon operato. Non voglio aspettare che questo qualcuno non ci sia più per tesserne le lodi. Non voglio più aspettare che un brav’uomo esca di scena per riconoscerne i meriti. Voglio avere la coscienza pulita e poter dire un giorno: “Lui era il più bravo, io ero con lui”.

Non sto delirando, non ancora. Sono solo un pochino contrariato perché Taranto è terreno fertile per questo cattivo modo di fare. Negli ultimi anni Taranto ha visto i migliori uomini fare, a Taranto, la migliore politica degli ultimi cinquant’anni e non parlo, chiaramente, di coloro i quali siedono a Palazzo di Città ma parlo di coloro i quali, quotidianamente, giorno dopo giorno, nelle associazioni, sacrificano tempo, soldi, e affetto nei riguardi dei propri cari, per una causa più grande: la causa di Taranto.

Eppure Taranto non riconosce i meriti di questi uomini. Taranto dimentica i suoi talenti nel momento in cui questi danno prova del loro operato. Taranto non li custodisce. Taranto non li tutela anzi, se può, li affossa.

Taranto, la Taranto meschina, la Taranto più bassa, denigra i suoi uomini migliori, li delegittima, li schernisce come i Romani fecero con Gesù Cristo salvo dire alla sua morte “Davvero Costui era Figlio di Dio” (Matteo 27,54). A Taranto bisogna attendere che qualcuno esca di scena, dalla scena politica, per poter aprire gli occhi e dire: “Adesso che non ci sarà più, ci mancherà”.

Sembrerebbe che a Taranto abbiamo il masochistico piacere di tenerci stretti i politici peggiori (allontanando quindi gli uomini di valore) per poterci sentire migliori di chi ci governa, per poter andare a letto convinti del fatto che qualcuno peggio di noi esiste e che per tanto, il giorno dopo, vi sarà motivo per andare avanti, vi sarà motivo per continuare a urlare. E’ come se si fosse innescata la convinzione per la quale una volta toltoci il “governatore cattivo”, abbiamo paura di perdere il senso della nostra esistenza e non sapere, per tanto, più con chi prendercela. La politica fatta a Taranto è la politica “della rottura” o “di opposizione”.

Chi è migliore di noi, ci fa paura, ci annulla, perché contro di lui non potremo inveire, contro di lui non potremo lottare e allora alimentiamo quella che Saviano chiama: la macchina del fango. Iniziamo a buttare discredito su quell’uomo, lo vogliamo fare fuori, solo per il basso piacere di poterci sentire migliori di qualcuno.

Vi è stata una santificazione generale, appena una settimana fa, all’uscita di scena politica di Angelo Bonelli. Tutti ne hanno tessuto le lodi, proprio tutti, anche chi nel 2012 non aveva visto di buon occhio la candidatura del forestiero. Eppure Bonelli ha seduto tra banchi di Palazzo di Città sino all’altro giorno, eppure Taranto, la Taranto con la memoria corta, solo ieri si è accorta dei sacrifici e dell’operato di quest’uomo garbato (e sottolineo garbato) e competente.

Forse è il momento di abbandonare l’idea che la politica migliore si faccia con slogan e con adunate di piazza. Per  troppi anni, a Taranto, si è avuta la convinzione che la migliore politica fosse quella di un fascista che aveva confuso il “fare politica” con la “politica del manganello” ed è ancora presente, oggi, la convinzione che sia grazie a quella  “politica del manganello” che i Tarantini non parcheggino più le auto sui marciapiedi. Non sono d’accordo.

Sono convinto del fatto che la politica, quella vera, quella migliore, si faccia con l’informazione, con la conoscenza degli argomenti dei quali si parla, con le argomentazioni documentate e mai desunte; Bonelli in tutto ciò ne era esempio.

Vi è in me la paura che bisogna attendere l’uscita di scena di altri uomini perbene affinché Taranto possa aprire gli occhi e possa riconoscerne il merito. Vi sono tanti uomini di valore che stanno dando una speranza a Taranto, e la stanno dando adesso. C’è gente che sta dando prova, a livello trasversale, all’interno di tutto il panorama associazionistico tarantino, di tutto ciò che può essere il programma di riconversione della città.

Le associazioni hanno piantato il seme della “politica attiva”, della “politica della conoscenza degli argomenti” in opposizione alla politica “della rottura” alla quale la città era da sempre abituata.

Le associazioni hanno piantato il seme, i Tarantini devono far crescere la pianta.

Se solo si avesse il coraggio di decidere dove stare, dove schierarsi, prendendo decisioni di campo anche impopolari per la difesa e la tutela del diritto alla vita sarebbe tutto meno precario, sarebbe tutto molto più chiaro.

Destati Taranto! Vi sono ancora tanti uomini che stanno dando prova dell’amore per la propria città. Vi sono uomini che hanno deciso dove schierarsi. Vi sono uomini che, con la schiena diritta, non si piegheranno mai alle lusinghe dell’industria e non cederanno a soluzioni “all’italiana”.

Che vi sia la diffusione di un sentire e di un sentimento comune, che si abbia l’onestà intellettuale di riconoscere i meriti dell’operato altrui, dell’operato di chi sta dando l’anima senza secondi fini. Che si abbia l’intelligenza di riconoscere che le “brave persone” sono molto più presenti oggi di quanto non lo fossero un tempo.

Gli uomini perbene e onesti ci sono, lavorano quotidianamente al nostro fianco. Che cessi la macchina del fango, che non vi sia più discredito nell’operato altrui, che vi sia unità e maturità. Che non si attenda la totale disgregazione delle associazioni tarantine per dire un giorno: “Fecero la migliore politica che Taranto abbia mai conosciuto, peccato che non fossero unite”.

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