Tragedia Eureco
LA STORIA: Il 4 novembre 2010 a Paderno Dugnano (Milano) presso lo stabilimento di lavorazione di rifiuti infiammabili denominato Eureco, da un container di rifiuti speciali pericolosi (setacci molecolari) si è sprigionata una nube di gas che, venuta a contatto con le parti surriscaldate di un muletto a motore, ha provocato una prima fiammata che si è poi diffusa fino al predetto container e che subito dopo si estendeva ad altri materiali infiammabili (solventi e vernici) di cui gli operai stavano effettuando il travaso. Le fiamme hanno avvolto sei uomini cagionando loro gravissime ustioni e provocando a Meshi Ferit, che tentava di soccorrere i colleghi, ustioni alle mani e a Shuli Lulzim, che tentava anch’egli di soccorrere i colleghi, un disturbo psichiatrico post traumatico da stress dal quale è derivata una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 78 giorni. In conseguenza delle fiamme morivano Sergio Scapolan, Salvatore Catalano, Harun Zeqiri, Leonard Shehu. Erjon Nezha riportò ustioni di secondo grado profondo, estese al 50% del corpo dalla quali è derivato pericolo di vita e incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 235 giorni. Kasem Xhani ha riportato ustioni di secondo e terzo grado estese al 40% del corpo dalla quali è derivato pericolo di vita e incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 253 giorni.
LE ACCUSE a carico dei titolari Giovanni Merlino e della figlia Elena Merlino sono: omicidio colposo plurimo, incendio colposo, imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e di sicurezza nella gestione speciale di rifiuti pericolosi.
IL PROCESSO è iniziato lo scorso 9 luglio. Oltre ai familiari delle vittime ed ai lavoratori sopravvissuti hanno presentato richiesta di costituzioni di parte civile anche il “Comitato a sostegno delle famiglie delle vittime e dei lavoratori Eureco”, A.I.E.A. (Esposti amianto), Medicina Democratica, il Comune di Paderno Dugnano e i sindacati. Fuori dal tribunale un presidio a cui hanno partecipato i cittadini di Paderno Dugnano, i rappresentanti di Rete Nazionale per la Sicurezza sui posti di lavoro di Milano oltre alle associazioni sopracitate.
Oggi (16 luglio) si è tenuta l’udienza per la comunicazione di accoglimento delle parti civili. Il GUP di Milano dott.ssa Bertoja ha decretato di ammettere come parte civile soltanto i familiari delle vittime e i lavoratori Eureco e soltanto per due capi d’accusa: omicidio colposo e incendio colposo. Non sono stati ammessi per gli altri capi d’accusa che vanno dalla frode fiscale all’inosservanza degli obblighi sulla sicurezza, dall’illecita gestione di rifiuti alla falsificazione dei documenti nel trasporto dei rifiuti, dalla mancanza di fornitura di dispositivi di protezione individuale all’omissione di informazioni adeguate inerenti agli agenti cancerogeni o mutageni presenti (cromo esavalente, idrochinone, cloroformio, tricloroetilene, percloro etilene, amianto).
IL GIUDICE ha spiegato la sua scelta sostenendo che troppe parti civili creano competizione per il risarcimento, fanno lievitare la somma e possono portare ad un nulla di fatto poiché il datore di lavoro potrebbe non disporre di una somma sufficiente. Inoltre il giudice Bertoja ha aggiunto che auspica un accordo tra le parti prima del 28 settembre, data della prossima udienza.
La sensazione è che si stia puntando ad un rito abbreviato. In poco tempo avremmo una condanna per Merlino ed un risarcimento per le vittime. Il rito abbreviato consentirebbe uno sconto di un terzo della pena per Merlino che però è recidivo. Nel 2005 ha patteggiato un anno e quattro mesi per i reati di omicidio colposo, incendio colposo e violazione delle norme relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Nell’incidente, avvenuto in uno stabilimento – la CR in provincia di Pavia - di cui era titolare, morì Vincenzo Gargiulo e rimase ferito Claudio Rodella.
Questi sono i dati e i fatti di questa terribile vicenda e solo su questi si è basato il giudice.
Possiamo raccontare i fatti anche in un altro modo.
Possiamo parlare di quattro lavoratori morti in nome del profitto, lasciati colpevolmente soli da un datore di lavoro senza scrupoli che faceva miscelare e triturare - ben consapevole delle conseguenze - svariate tipologie di sostanze ed al tempo stesso non forniva nessuna informazione ai propri dipendenti lasciandoli all’oscuro dei pericoli che stavano correndo. Lavoratori che più di una volta, dopo aver spento incendi minori, si sono sentiti dire che se non condividevano le scelte dell’azienda potevano andarsene. Un giudice non dovrebbe indirizzare tanto nettamente il cammino del processo, dovrebbe rimanere sopra le parti. Non dovrebbe pensare solo a monetizzare la vita dei lavoratori ed accelerare il processo. Così facendo spinge i lavoratori e i familiari delle vittime, che vertono in condizioni economiche assai difficili, ad accettare un risarcimento subito anziché aspettare un lungo processo. Dalla decisione del giudice si evince che gli imprenditori possono operare nell’illegalità fino a causare la morte dei lavoratori: quello che conta è che l’assicurazione risarcisca i danni.
Sia fatta giustizia.
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