Il paese delle betulle
Nel fumetto “Il paese delle Betulle” (ed. Printamente Snc) GIANLUCA SERRATORE, fumettista, illustratore e ritrattista romano, racconta il dramma della Shoah in una storia che commuove, fa riflettere e al contempo sorridere ma che prima di tutto narra quell’orrore che ancora oggi è difficile comprendere.
Alla Sala Santa Rita di Roma lunedì 12 maggio alle ore 17.00 sarà presentato il cortometraggio di 15 minuti tratto dal fumetto e saranno esposte le tavole originali che raccontano l’incontro tra un clown di strada e un bambino di 5 anni che sta per essere inghiottito da una camera a gas. Una narrazione ispirata dai libri, dalla radio e da un viaggio tra le ceneri dell’inferno ad Auschwitz-Birkenau.
“Questa – racconta Serratore – è una di quelle storie che nascono lente, che hanno bisogno di tempo per sedimentare, per crescere, ma che, dal momento in cui vengono pensate, prendono vita inesorabilmente. Sono partito molti anni fa accostandomi a questo argomento a piccole dosi, non capendone la portata emotiva e piano piano mi sono ritrovato così coinvolto, che quella della Shoah sembra un’esperienza vissuta da uno dei miei conoscenti, anche se nella realtà, nessuna delle persone che conosco ha mai subito tanta violenza. Questa storia nasce definitivamente durante il mio viaggio ad Auschwitz-Birkenau nel dicembre del 2008, davanti a quell’edificio con tetto a spiovente dove 70 anni fa si fermavano i treni che trasportavano i deportati. In quella fredda giornata polacca ho immaginato di venire circondato dagli sguardi gelidi degli ufficiali e dalle grida di comando dei soldati nazisti, di veder scendere dai vagoni centinaia di prigionieri che, esausti, affamati, sporchi, increduli, impauriti, persi, andavano incontro ad un’esperienza agghiacciante soltanto a pensarci. Tutto questo faceva contrasto con il tramonto, uno dei più belli che ho visto, acceso dietro il bosco di betulle.”
La storia verte su un parallelo che corre lungo la linea del tempo:
il viaggio di un bambino di 5 anni su uno di questi treni, dopo uno dei rastrellamenti che caratterizzarono la seconda guerra mondiale.
Il coinvolgimento di Zeto, il pagliaccio di strada protagonista di questa storia.
L’incertezza e la paura del bambino che non conosce cosa lo aspetta.
La curiosità e la spinta emotiva che Zeto segue senza esserne cosciente per conoscerne il motivo.
L’arrivo del bambino e di Zeto nel lager.
Il loro incontro nato a distanza di 65 anni, in modi diversi, ma che li porta a conoscersi per pochi istanti.
E così Zeto realizza che lo scopo del viaggio, questa esigenza ormonale cresciuta giorno dopo giorno, lo ha portato, in un tempo stabilito (da chi non riesce a comprenderlo), a far sorridere quel bambino, a strappargli di dosso gli artigli macabri dell’angoscia e farlo per un momento evadere da lì, dalla sua paura. Il resto è incredulità davanti a tanto devastante odio, a una psicologia deviata che va oltre ogni plausibile ragione. E quando tutto intorno a lui crolla, lui stesso crolla, impotente.
Infine il ritorno a casa, concesso dallo stesso Dio o dalla sua coscienza o dalla sua curiosità, in un mondo che, per un po’ o forse definitivamente, non sarà più lo stesso.
Così si riscopre un po’ ebreo, un po’ zingaro, omosessuale, vecchio, storpio, un po’ più pazzo e soprattutto vivo, davanti alle metastasi della morte aggrappata nella mente, negli occhi vuoti e nei gesti di quegli assassini.
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