Conflitti

Da Padre Orazio. Un letto per i bimbi di strada di Luanda - Angola

21 luglio 2005
Laura Fantozzi

Un cerchio di plastica colorata e ammortizzata con
un manico profumato…una ruota ed un bastone. Lo
scheletro di un copertone e un ramo secco. Stessa
dinamica, controlli la corsa di un oggetto circolare,
lo spingi, rallenti e acceleri con lui, le gambe che
si muovono con lo stesso ritmo, quasi fossero ruote
della stessa locomotiva.Un cerchio di plastica
colorata e ammortizzata con un manico profumato…una
ruota ed un bastone. Lo scheletro di un copertone e un
ramo secco. Posti e tempi diversi. Un luna park a
Barcellona, 2003, campagne toscane, fine ottocento,
cortili angolani polverosi, luglio 2005. Che strano,
alcuni ritmi, alcune forme, alcuni suoni sempre ci
affascinano. Pedrito, 10 anni, uno dei tanti bimbi
anngolani accusati di stregoneria, costretto a
lasciare la famiglia per non essere ammazzato, e'
letteralmente rapito dalle carcasse delle ruote di un
vecchissimo 4per4 che da mesi stazionano nei 640 m del
centro di accoglienza Arnaldo Janssen (CACAJ=centro de
acolhimento de criancas Arnaldo Janssen), alla
periferia di Luanda. Pedrito è uno dei 130 bambini
ospitati da Padre Orazio nel centro, una delle poche
strutture che nella capitale angolana si prende cura
dei minori abbandonati, perseguitati, che vivono per
strada o sulla spiaggia (vedi progetto). Il centro è
un’istituzione filantropica senza fini di lucro, nata
nel 1993 per opera di un sacerdote argentino, padre
Orazio, che con il supporto di alcune suore iniziò a
prendersi cura dei bambini abbandonati di Luanda,
ragazzini che percorrevano e che percorrono le vie
cittadine cercando ogni giorno un modo differente per
sopravvivere, da soli.
Perché siamo qui, un sabato mattina, dopo una festa
internazionale finita alle cinque, ancora un po’
ubriache e decisamente assonnate? Ci siamo conosciute in
un paio di settimane, tutte donne e tutte con una
storia diversa, Kasia, polacca, da 4 anni in Africa
lavorando con i rifugiati, adesso all’UNDP come UNV;
Lara, veneta impegnata in progetti di una ONG italiana,
il Cies; Ilaria, veneta che dopo un anno di servizio
civile in Brasile é stata catapultata qui per UNDESA.
Ci siam consciute un po’ lavorando, un po’ saltando come
matte a ritmo di kizomba (uno dei balli locali...in
realtà si balla a 2 e non è così movimentato!)e nuotando
il fine settimana. Tutte in fase di discussione, donne
che vogliono capire il vero senso del loro girare...

Così, sfruttando le conoscenze di Lara, da più tempo in
Angola e direttamente impegnata per il Cies nei
barrios poveri e nel settore educazione, abbiamo
contattato Padre Orazio, e adesso, eccoci qui. Qui in
un cortile di terra e fango, con un po’ di timore e
molta curisità, pronte ad ascoltare i racconti e le
spiegazioni, la vita del centro, e poi ad immergerci,
per quel che ci si può immergere visitando un posto per
3 ore e poi tornando nelle nostre belle case,
immergerci un po’ in queste mura, in queste aule, tra
questi volti...

Accompagante da Padre Pablo, l'altro sacerdote che da
alcuni anni segue a tempo pieno il centro, entriamo in
cucina e nelle camerate. Ovunque mura scure e sporche,
tutto sembra avere più di 10 anni. Non ci sono mai
stati soldi per la manutenzione, tutto quello che
arriva al Janssen viene utilizzato per la formazione,
la salute dei ragazzi, la sopravvivenza quotidiana.
Nel modo di parlare, nello sguardo, Padre Orazio ci
ricorda il Che. Ti fissa e allo stesso tempo è un passo
piu in là. Chissà cosa pensa. Come lo hanno cambiato
questi dieci anni a Luanda, a contatto con i meninos de
rua, alla ricerca di aiuti, costruendo pezzo a pezzo il
Jassen....E cosa significa per lui ognuno di questi
ragazzini, come vive le loro vite, come soffre e
gioisce assieme a loro.

Un gelato, una malboro light, un giovedi sera riuniti
in casa. È quasi mezzanotte. Buttiamo sul tavolo idee:
Padre Orazio e Padre Pablo rispondono, suggeriscono,
sorridono, pensano, chissà, chissà cosa; mah, noi
intanto ci proviamo, insieme.......

Seconda visita
Ancora sabato, ancora al centro Janssen. Parcheggio e
già vedo degli occhi che sorridono. Però nessuno si
avvicina alla macchina, i ragazzini sul cortile sono
in attesa degli animatori e dei catechisti che
volontariamente, nel fine settimana, trascorrono qualche
ora nel centro. Divisi in piccoli gruppi si avviano
verso i containers, sì, i vecchi containers che servono
da piccoli magazzini. Allineati uno di fianco all’altro,
tra loro si sono ricavati piccoli spazi ''studio'' dove
durante la settimana si realizzano anche parte delle
attivitá di laboratorio.

Iniziamo cosi il secondo giro tra le mura del Janssen.
Questa volta non siamo sole, abbiamo coinvolto un
giovane inglese esperto di malaria, Angus, e un
italiano che da anni lavora in Africa, costruendo
edifici per rimesse alimentari, Primo Testi. Nei
braimstorming serali post lavoro, post corsa, post
yoga, insomma, nelle poche riunioni che abbiamo fatto
tra noi donzelle, in compagnia di una birra, una
pasta, una malboro, ci e' stato chiaro da subito: per
scrivere qualche progetto serio c’è bisogno di pareri
tecnici, gratuiti e professionali. Detto fatto,
infatti nulla accade per caso: Angus lavora da poco
più di un mese nelle Nazioni Unite, assieme a Kasia, nel
Global Fund, ed è un giovane e quotato biologo esperto
di malaria. Primo è un modenese simpaticissimo, 'ho
incontrato sull’aereo per Luanda, in Aprile, e oggi
scopro che il suo cantiere confina con il centro di
padre Orazio. Coincidenze casuali, forse. Forse non
porteranno a nulla. Eppure mi confermano che davvero
tutti abbiamo un essenza, uno spirito che ci può
allontanare o avvicinare. Energia, Spirito Santo,
anima del mondo, ognuno la chiama come vuole, ma c’è,
e vale la pena imparare ad ascoltarla.

Analizziamo gli scoli, le fognature. Molti solo
bloccati, in 10 anni le pulizie superficiali sono
servite a ben poco. Tubi scoperti e rotti, scoli
bloccati dall’esterno (certo a nessuno va bene
accogliere i resti delle latrine di 130 meninos de
rua), tombini che nascondono, letteralmente, tonnellate
di merda (scusate) sulle quali si erigono i due
capannoni con le camerate e le cucine.
Un giro attorno al pozzo, il pozzo da cui tutti i
giorni si attinge, a mano, l'acqua (il generatore che
dovrebbe pomparla è rotto da 6 anni. E non ci sono i
soldi per acquistarne uno nuovo. L'acqua dell
acquedotto arriva raramente al centro. E anche le
tubature non sono poi così ben tenute...). Le due
grande taniche d’acqua, in tutto 10mila litri, sono
interrate, soggette a infiltrazioni di sapone,
latrine, risciaquature ecc.

La lavanderia. Quando c’è acqua a sufficienza e
sapone i ragazzi lavano i propri vestiti, gli stracci
della cucina, gli stracci utilizzati come asciugamani.
Il problema è la disinfezione, praticamente nulla. Il
sogno? Una lavatrice con acqua bollente. Ma poi, dove
trovare l'acqua e dove l' energia? Forse basterebbe
poter pagare un paio di signore in più per pulire e
lavare ogni singolo cm del Jassen.

Le camerate. Vetri distrutti e mosquiteros tagliati.
Pareti umide, complici i buchi di cui il tetto di
lamiera ed eternit è pieno. Materassi ricoperti di
plastica, letti in ferro che si susseguono a gruppi di
otto, fino a raggiungere il centro della struttura,
dove la camerata si interrompe, sostituita dai bagni.
Bagni? Più o meno, più meno che più, latrine aperte, docce
che iniziano a cadere a pezzi, odori intensissimi che
testimoniano la presenza di una colonia di batteri su
piastrelle del pavimento e sui muri di cemento neri di
sporco e umidità.

La cucina scura, unta, sporca. Pulire e un'impresa,
le pareti assorbono tutto, l'acqua non c’è, il tetto è
bucato... le due cuoche fanno miracoli, miracoli che
non sono sufficienti. Gli scoli strabordano, rendendo
il pavimento un luogo perfetto per zanzare e batteri.
Piatti e pentole si puliscono a fatica, si cuoce tutto
su fornelli vecchissimi, unica opzione bollire o
friggere i cibi...
Il campo 80per80 ecco la dimensione della terra che il
centro da alcuni mesi ha a disposizione. Oggi è un
cumulo di sterpaglie circondate da un alto muro. Un
pozzo, nel mezzo del campo, è delimitato da pozze di
acque stagnanti letteralmente ricoperte da larve di
zanzare. Solo dopo una disinfezione radicale si
poterebbero erigere qui nuove strutture, per le
camerate e per la cucina. In ogni caso l’investimento
dovrà essere ingente. Ristrutturare il vecchio centro
o cercare di erigerne uno nuovo... Nel campo gli
educatori vorrebbero predisporre un’area per le
colture, dove produrre la verdura e la frutta
necessaria a tutti gli abitanti del Jassen, e dove
tenere regolari lezioni di giardinaggio e
coltivazione. E poi vere aree per giocare a calcio e
basket, muovendo in modo sano il corpo, abituando
tutti a stare in gruppo, ad unirsi per raggiungere un
obiettivo...

Molte le domande che rotolano nella mente. Gli occhi di
Pedrito, di Joao, di Paisino, ci dicono di fare
qualcosa. Il Jassen non e un centro perfetto. Molti
criticano i metodi spesso duri, quasi violenti. Altri
sottolineano che gli aiuti ricevuti non sono stati
amministrati bene. Difficile giudicare. Quel che è
certo e che 2 sacerdoti presenti quasi a tempo pieno,
alcuni educatori, un paio di guardie, due cuciniere,
non possono fare miracoli. Cercano di amalgamare
ragazzini completamente differenti, un 60% che da anni
vive per strada, fuggito da casa per le violenze
sessuali subite dai familiari, per le botte, per la
fame, per semplice mancanza di spazio nella baracca;
oppure arrivati dalle province ancora in fasce,
fuggiti da campi minati, dagli eccidi dell’
Unita. Improvvisamente soli in una Luanda immersa nel
traffico, nei rumori, nel caos.... Questo 60% di bimbi
e ragazzi minori impara a fatica a convivere con minori
spesso piccolissimi, 5/6/7/8 anni, accolti nel centro
perché accusati di stregoneria. Cosa abbiano di
demoniaco queste trottole che saltellano nel centro di
Padre Orazio, e difficile capirlo.
Non vogliamo giudicare, non ha senso. Solo cercare di dare una
mano. Insieme.

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