"Stanno distruggendo l'intero Libano!"
La guerra attacca ogni cosa, brutalmente.
Mentre il Libano sanguina e la crisi umanitaria laggiù sprofonda tra i crateri lasciati dalle bombe israeliane, coloro che hanno potuto sono fuggiti – soprattutto verso la Siria.
Al confine settentrionale del Libano, folle di persone, con fare diffidente e lo sguardo fisso nel vuoto per aver vissuto nel terrore per giorni, si sono riversate in Siria.
Spingendo carriole cariche di tutto ciò che si poteva portare, sono giunti da ogni parte del Libano; dal nord, dalla città costiera di Tripoli, da più a sud, vicino a Batroun, fino a Byblos – città un tempo meravigliosa, dove una volta presi un tè con i miei cugini libanesi (di cui dobbiamo ancora avere notizia dall’inizio dell'offensiva israeliana).
La maggior parte di queste persone, naturalmente, proviene da Beirut. Il resto, comprese le automobili con i bagagli legati in cima, venivano dalle terre devastate del Libano del Sud – dalle città di Sidone, Tyre, Marjeyun e da numerosi villaggi vicini al confine meridionale.
Più di 140.000 rifugiati libanesi hanno ora attraversato le dogane verso la Siria. Mentre l’ONU esorta invano un cessate il fuoco da parte di un Israele fomentatore di guerra, spalleggiato dal proprio più grande alleato “che permette tutto” e che usa l’arma del diritto di veto – gli Stati Uniti – due soldati a Tyre sono rimasti uccisi da un attacco aereo israeliano.
"[Gli israeliani] se la stanno prendendo con coloro che non sono Hezbollah", racconta un americano mentre scappa con la madre. Hanno trascorso le vacanze a Beirut assieme alle proprie famiglie là. "È una catastrofe, le loro bombe piovono dappertutto", aggiunge il venticinquenne insegnante di studi sociali mentre asciuga il sudore dalla fronte nell’afoso valico di confine. "Stanno distruggendo l’intero Libano!"
Delle oltre 350 vittime del Libano, più di un terzo sono bambini. Avrebbero potuto contribuire al futuro del proprio bisognoso paese.
Dopo aver intervistato diversi rifugiati, assieme al mio interprete Abu Talat ci siamo incamminati verso un taxi per poi dirigerci ancora più a nord, verso il confine con la Siria. Il nostro autista, Abdo al-Hamre, un contadino di 32 anni, ci dice di aver trasportato per giorni rifugiati dal confine. "Ogni giorno piango per il popolo libanese", dichiara a voce alta, "Tutti loro piangono in auto mentre guido. È davvero troppo da sopportare".
La guerra blocca qualsiasi cosa. La guerra uccide un paese – sia che si tratti di coloro che le bombe le sganciano, sia di coloro che ne vengono lacerati. I paesi che muovono guerra, come Israele ora sta facendo in Libano, o come gli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, scelgono di vendere le proprie anime… forse ad un prezzo tanto alto quanto quello che pagano coloro le cui vite sono annientate dall’aggressione mossa.
La guerra ferma tutto: scuole, consegne di cibo, trasporti pubblici, gite fuori porta, balli, lanci d’aquilone, momenti felici con i propri cari… tutto si arresta mentre la battaglia per la sopravvivenza regna sovrana. Non conta più nulla. Solo sopravvivere. Gli esseri umani sono ridotti al livello base della sopravvivenza, non c’è spazio per nient’altro.
Oggi [22 luglio, NdT] ci trovavamo nelle sedi centrali della Mezzaluna Rossa a Damasco per intervistare i rifugiati. Un uomo anziano, con la testa tra le mani, è appena arrivato dopo essere fuggito dal proprio villaggio nel Libano meridionale. Gli ho chiesto se il piano d’Israele di bombardare il popolo libanese per costringere Hezbollah ad andarsene dal Sud del loro paese stesse funzionando. Il piano israeliano, in sostanza, sta davvero facendo insorgere il popolo libanese contro Hezbollah? Si è alzato subito in piedi, costringendomi ad indietreggiare."Sempre più libanesi ora stanno con Hezbollah, molto più di prima", ha urlato indicando il cielo, con gli occhi colmi di collera. "Che Dio maledica gli israeliani per aver distrutto il Libano! Non distruggeranno mai il nostro spirito! La resistenza è un ideale e gli ideali non si possono distruggere!" Era pazzo di rabbia. In fondo, perché mai non avrebbe dovuto esserlo?
Quest’uomo, un uomo che dovrebbe custodire un terreno, giocare con i propri nipoti, cenare con la propria moglie al tramonto, si è infuriato con un giornalista a Damasco perché tutto quello che ha sempre conosciuto ora sta bruciando sotto le macerie.
La guerra ferma la vita. La guerra ferma tutto.
Dahr Jamail è tra gli autori dell’antologia Tutto in vendita – Ogni cosa ha un prezzo. Anche noi, Nuovi Mondi Media, 2005.
Traduzione a cura di Arianna Ghetti per Nuovi Mondi Media
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