Il Sudan sollecitato ad agire per controllare il conflitto nel Darfur
In Sudan si avvicina l’ora della resa dei conti. Innanzitutto quelli delle perdite inflitte alla popolazione civile del Darfur, nell’ovest del Paese, dai janjawid (cavalieri), miliziani pro-governativi. Questi ultimi sono accusati di avere ucciso, nel corso di una campagna di terrore organizzata nel corso del 2003 per schiacciare i ribelli, tra i 10'000 e i 30'000 civili e provocato l’esodo di più di un milione di altri, ammassati in “campi-prigione” nel Darfur o rifugiati nel vicino Ciad. Poi e ugualmente, i conti dello stato d’avanzamento della ”più importante crisi umanitaria del pianeta” annunciata dai responsabili delle Nazioni Unite, risultato di questa situazione di caos. Infine i conti che attualmente reclama dal governo sudanese la comunità internazionale, Stati Uniti in testa, che esige che siano neutralizzati i “cavalieri dell’Apocalisse”, ai quali Kartum ha subappaltato la campagna di repressione contro l’Esercito di Liberazione del Sudan (SLA) e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM).
Sul piano umanitario, la stagione delle piogge temuta dalle organizzazioni umanitarie è appena cominciata, trasformando il Darfur, vasto come la Francia, in un immenso rosario di isolotti di potenziale carestia isolati dai fiumi in piena. Sul lato della “sicurezza”, l’impegno preso per iscritto dal governo sudanese, in occasione della visita di Kofi Annan a Kartum, il 3 giugno, di avviare ”immediatamente” il disarmo dei janjawid e di inviare nel Darfur una forza di 6'000 poliziotti e soldati dell’esercito regolare per ristabilirvi la ”sicurezza”, tarda a fare seguire i fatti. Nessun progresso è stato constatato a questo riguardo, ha riassunto mercoledì 21 luglio al segretario generale delle Nazioni Unite il suo inviato speciale per il Sudan, Jan Pronk, pur riconoscendo che Kartum aveva aperto il Darfur all’aiuto umanitario internazionale.
Elementi a carico
Su un effettivo totale stimato, in misura imprecisa, in molte diecine di migliaia di uomini, dieci janjawid sono stati giudicati lunedì in Darfur. Oltre a una pena di sei anni di prigione e a un’ammenda di cento dollari, i miliziani, riconosciuti colpevoli di omicidio, sono stati condannati, applicando le leggi eccezionali in vigore nella provincia, ad avere una mano e un piede tagliati. È la risposta, paradossale, all’esigenza formulata da Colin Powell, il segretario di Stato americano, di passare ”ai fatti” per mettere fine alle malefatte dei janjawid.
Il governo sudanese, a questo proposito, ha ormai il tempo contato. In mancanza di un cambiamento radicale nel Darfur, le Nazioni Unite si apprestano a indurire le loro pressioni su Kartum. Colin Powell, giovedì, si doveva recare a una seduta a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, per sostenere un progetto americano di sanzioni contro il Sudan, che potrebbe includere il divieto di viaggiare e il congelamento dei beni dei responsabili janjawid, e perfino di personaggi ufficiali sudanesi, ma anche un embargo sulle armi con destinazione Sudan. Questo progetto, al quale si sono opposti Algeria e Pakistan, è sostenuto in via di principio da Parigi, anche se, come sussurra una fonte diplomatica francese: ”Occorre usare le sanzioni con precauzione. Una volta lanciate è impossibile fare marcia indietro. Nel caso del Darfur, il rischio è quello di braccare il governo sudanese mentre ha perso il controllo su una parte dei janjawid, negligendo al contrario di domandare conto ai ribelli”. Mustapha Osman Ismail, ministro sudanese degli Affari esteri, era a Parigi mercoledì per incontrarvi il uso omologo francese, Michel Barnier, prima di andare a Bruxelles per difendere la causa di Kartum.
A fine giugno l’ambasciatore itinerante americano per i crimini di guerra, Pierre-Richard Prosper, ha comunicato una lista di sette responsabili janjawid suscettibili di rispondere delle accuse di crimini contro l’umanità. In seguito gli elementi a carico dei janjawid e del governo si accumulano.
In un rapporto pubblicato lunedì, l’organizzazione Human Rights Watch mette in evidenza i legami fra i responsabili sudanesi e i capi delle milizie. Da parte sua, Amnesty International, in un rapporto pubblicato nello stesso giorno, afferma che i “cavalieri”, molti dei quali portano le uniformi dell’esercito sudanese, hanno violentato ”molte migliaia di donne”, facendo degli abusi sessuali ”un’arma di guerra”.
L’operazione umanitaria, per la quale gli Stati Uniti hanno sbloccato un po’ più di 100 milioni di dollari (circa 80 milioni di euro) e gli Europei, sommando tutti i contributi, il doppio, ”aumenta la sua intensità di giorno in giorno”, malgrado le difficoltà e i considerevoli ritardi, nota Carlo Piccini, portavoce della delegazione per il Sudan della Croce Rossa Internazionale (CICR). Ma, avverte il responsabile di una delle principali organizzazioni umanitarie presenti nel Darfur, ”Fin da adesso alcune organizzazioni umanitarie vengono sollecitate dalle autorità locali a distribuire il nutrimento ai janjawid prima di potere, in seguito, darne ai profughi dei campi”.
Diciassette mesi di ribellione nel Darfur
Darfur: nell’ovest del Sudan, la regione ha la stessa superficie della Francia. È popolata da circa 7 milioni di persone.
I ribelli: il primo movimento, l’Armata di Liberazione del Sudan (ALS), prende le armi nel febbraio 2003, seguito nei mesi seguenti dal Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM).
Un cessate il fuoco è stato firmato fra i due gruppi ribelli e il governo sudanese a N’Djamena, in Ciad, in aprile. In seguito esso è stato costantemente violato.
I combattimenti e le violenze dei miliziani janjawid hanno fatto da 10'000 a 30'000 morti. Circa un milione di persone sono fuggite dai loro villaggi e si trovano in Sudan. Circa 150'000 altre si sono rifugiate in Ciad. Più di 400 villaggi sono stati parzialmente o totalmente distrutti dagli attacchi dei janjawid:
Una missione dell’Unione Africana è in corso di dispiegamento in Darfur per sorvegliare l’applicazione del cessate il fuoco.
Articoli correlati
- Affollata assemblea preparativa a Roma
Il 20 maggio i lavoratori e le realtà sociali di tutta l’Italia scioperano per dire NO alla guerra
“Il padronato vuole comprarci col bonus governativo di €200? Se li metta in quel posto”, ha tuonato un rappresentante sindacale. “Noi, il 20, scioperiamo contro la sua guerra che causa inflazione, aumento di prezzi, cassa integrazione nelle industrie vulnerabili, tagli alla sanità e ai servizi".8 maggio 2022 - Patrick Boylan - Scomparsi i negoziati e la parola "pace"
Dolci, terribili scivolamenti del discorso pubblico sulla guerra in Ucraina
Il discorso pubblico sulla guerra in corso si va modificando in modo rapido e sostanziale ma, al contempo, poco visibile e perciò “indolore”. Questi cambiamenti così rilevanti raramente sono oggetto di discussione in quanto tali e questo può contribuire a renderli invisibili ai nostri occhi.1 maggio 2022 - Daniela Calzolaio - Estradizione di Julian Assange
Il caso va archiviato
L’Occidente giustamente condanna il bavaglio ai media russi. Sarebbe tuttavia più persuasivo se il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, fosse libero22 marzo 2022 - Bernd Pickert - Ricercatori e giornalisti si interrogano sulle ripercussioni della guerra in Sudamerica
L’ America latina di fronte al conflitto Russia-Ucraina
A prevalere, nel sostegno all’una o all’altra parte in causa, sono ragioni strategiche, di sopravvivenza, o di posizionamento verso gli Stati uniti17 marzo 2022 - David Lifodi
Sociale.network