l'intervento

Un morbo s'aggira per l'Europa colpisce le sinistre di governo

21 luglio 2007
Riccardo Petrella (Università del Bene Comune)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Quando una persona è «toccata» dalla Teologia Universale Capitalista (Tuc), il morbo offusca la capacità di vedere il mondo come è, e blocca ogni possibilità di pensiero autonomo, critico, evolutivo. Per Teologia Universale Capitalista intendo l'insieme delle credenze ed assiomi che hanno fatto del capitale (il Padre), dell'impresa privata (il Figlio) e del mercato (lo Spirito Santo) i soggetti fondatori del potere nell'economia delle società contemporanee. Secondo la Tuc, il solo valore che conta è la creazione di ricchezza - cioè, più capitale - per i detentori di capitale.
Negli ultimi anni, il morbo Tuc ha toccato la maggioranza delle classi dirigenti occidentali. In Italia ha colpito anche una larga parte dei dirigenti di sinistra i quali, peraltro, hanno cessato volontariamente di considerarsi di sinistra. Il caso dei dirigenti del Partito comunista italiano, poi trasformatisi in Democratici di sinistra e, recentemente, in Partito democratico tout court è fra i più emblematici.
Per illustrare la portata e l'ampiezza del fenomeno, utilizzerò due esempi, fra i tanti vissuti direttamente, relativi al settore della finanza.
La finanza è sempre stata - a partire soprattutto dal «trionfo» della finanza mondiale nell'ultimo ventennio del XIX secolo, un campo nel quale la sinistra ha sofferto di una netta mancanza di autonomia di pensiero teorico e di visione ideologica nei confronti dei gruppi dominanti, come se in una società capitalista il discorso sulla finanza fosse l'appannaggio naturale esclusivo della cultura della destra.
Il rating, che male c'è?
Una delle divisioni interne alla sinistra concerne il ruolo del finanziamento privato degli investimenti in beni e servizi di interesse pubblico generale, a forte densità in capitale, quali l'acqua, l'energia, le strade, le telecomunicazioni, la salute, l'educazione, i trasporti urbani, per non parlare della sicurezza nazionale (l'esercito) e collettiva (polizia...).
Negli ultimi venti anni, il grosso delle forze di sinistra (quella «moderna» alla Blair, alla Schroeder..) ha accettato come inevitable l'indebolimento crescente delle finanze pubbliche, in particolare della finanza «locale» (comuni, province, regioni) alimentata dalle entrate fiscali e dai fondi «statali». Ha quindi considerato come una evoluzione positiva la privatizzzazione, la liberalizzazione e la deregolamentazione delle banche, delle assicurazioni, compreso lo strumento della cassa depositi e prestiti.
Ha, inoltre, accettato come espressione di progresso e di innovazione il ricorso competitivo ai mercati nazionali ed internazionali dei capitali da parte delle istituzioni ed imprese pubbliche, ed all'indebitamento dei soggetti pubblici nei confronti di soggetti privati per finanziare i loro investimenti. Così facendo, i poteri pubblici si sono sottomessi in maniera crescente al giudizio dei prestatori privati di capitale ed alle scelte prioritarie dei mercati finanziari. In questo contesto, il rating è lo strumento principe con il quale oggi, attraverso il mondo, sei società private specializzate in servizi finanziari si sono arrogate, con il condiscendimento degli Stati, il potere di giudicare l'operato non solo delle imprese private ma anche dei poteri pubblici.
Così, in occasione di un conflitto sul cosa fare a proposito del prestito obbligazionario sottoscritto nel 2004 dall'Acquedotto pugliese per 250 milioni di euro e della consequente dipendenza dell'Acquedotto stesso dal rating per qualsiasi futuro bisogno di prestiti finanziari, mi son sentito dire: «Che c'è di male nel rating?».
Le patrimoniali delle acque, dov'è il problema?
La stessa domanda mi è stata fatta recentemente, questa volta in merito alla creazione negli ultimi tre-quattro anni, in alcune regioni d'Italia, di SpA patrimoniali delle acque e delle reti di «produzione dell'acqua». Queste società - in due casi, il capitale sociale è aperto a soggetti privati - «vendono» l'acqua «grezza» alle società di distribuzione. Il sistema di produzione dell'acqua grezza per altri usi, irrigui, industriali ed energetici, resta regolata a parte, essenzialmente secondo principi e meccanismi di natura privata.
Avendo manifestato la mia forte preoccupazione nei confronti di questo fenomeno, un'importante figura della politica idrica in Italia, con grandi responsabilità nel settore, ha chiesto «dov'è il problema?»
Per coloro che sono stati «toccati» (benedetti?) dal morbo Tuc non v'è, in effetti, alcun problema, né teorico, né politico, né culturale, allorché l'acqua - parte vitale del demanio pubblico incedibile - è trasformata in una risorsa patrimoniale di una società di diritto privato, che pertanto ricava da essa un profitto «vendendola» come «materia prima» a degli utilizzatori regionali o extra regionali ad un prezzo «commerciale», il prezzo dell'acqua grezza. Caso tipico, la vendita dell'acqua alla Puglia da parte della Basilicata. L'acqua in Basilicata è diventata l'acqua della Basilicata.
Il morbo Tuc ha prodotto nel campo dell'acqua gli effetti descritti. Altrettanto devastatori sono stati, e sono, gli effetti provocati nei settori della salute, delle pensioni, del diritto al lavoro, dell'educazione, del rapporto tra le persone.
La natura e l'origine del virus sono conosciute. Restaurare un sano stato immunologico sarà, però, un compito difficile, anche se non impossibile. Non si tratta di attendere che qualcuno o qualcosa faccia il miracolo. L'antidoto c'è. Sono i cittadini in stretta alleanza dialettica con gli eletti.
Nel caso dell'acqua, ci sono voluti quasi dieci anni per giungere dalle prime azioni di sensibilizzazione politico-culturale del Contratto Mondiale dell'Acqua degli anni 1997-2000 alla (quasi) moratoria degli affidamenti del servizio idrico a soggetti privati ed al successo, questo luglio 2007, della raccolta delle firme sulla proposta di legge d'iniziativa popolare, passando per i forum sull'acqua a Porto Alegre e poi quelli alternativi a Firenze ed a Ginevra.
Ma sono stati dieci anni nel corso dei quali i cittadini, gradualmente, sono diventati protagonisti delle lotte in continua interazione ed alleanza dialettica con i rappresentanti politici eletti in grado di far cambiare le scelte politiche delle istituzioni.
Espandere e rinforzare questa alleanza in tutti i campi dei beni comuni, della res publica, è una delle condizioni necessarie ed indispensabili per riuscire ad inventare un altro divenire e dare libertà al futuro.

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