Morderchai Vanunu venne sequestrato dal Mossad, il servizio segreto israeliano, a Roma il 30 settembre 1986. Finché Vanunu rimase a Londra non gli accadde nulla.
Il tecnico nucleare israeliano, reo di aver detto al mondo che lo Stato di Israele si stava dotando di armi di distruzione di massa, in piena violazione del trattato di non proliferazione nucleare di cui oggi quello stesso Stato chiede il rispetto ai suoi Paesi limitrofi.
L'allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi pronunciò le dure parole che - nel bene e nel male - l'avrebbero contraddistinto per sempre [come per Sigonella]: "Una protesta sarebbe il minimo. E anche il massimo... perché di più non potremmo fare".
Era il 9 dicembre 1986. Un uomo sotto processo in Israele mostra dal finestrino del cellulare le sue mani ai fotografi. Sui palmi ha scritto in un inglese approssimativo: "Mi hanno rapito a Roma". Il tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu rivela così al mondo la sua storia. Una spy story. Una bionda agente segreta del Mossad l’ha attirato in una trappola, è stato rapito nella capitale italiana, dopo aver rilasciato una lunga intervista ai giornali inglesi.
Le sue rivelazioni riguardano il possesso da parte di Israele, fino allora ufficialmente negato, di un arsenale nucleare, nella centrale di Dimona, dove lo stesso Vanunu lavorava. Una sentenza durissima, diciotto anni di carcere per ridurre tutto al silenzio. Il movimento antinuclearista e pacifista ne ha fatto una bandiera. Vanunu ci ha raccontato la sua vicenda, ancora attuale in un’area del mondo che vive altri sussulti di guerra...
L'autrice, Stefania Limiti, è nata a Roma dove si è laureata in Scienze Politiche. Giornalista professionista, collabora con varie testate su temi di attualità politica: ha curato per le edizioni Sinnos "I fantasmi di Sharon".
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