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Il documentario sulla prigionia girato da Narges Mohammadi

Le loro voci non si placano

Quest’anno l’attivista Narges Mohammadi è stata insignita del premio Nobel per la Pace. Il suo documentario «White Torture» è dedicato ai prigionieri politici iraniani
23 ottobre 2023
Julian Sadeghi
Tradotto da Stefano Porreca per PeaceLink
Fonte: taz.de - 16 ottobre 2023

Premio Nobel per  la Pace 2023

Le stanze della sezione 209 del carcere di Evin di Teheran sono spoglie, intonacate di bianco, striminzite, grandi forse 2 x 2 metri e senza mobilio. Al loro interno il regime iraniano rinchiude i detenuti in isolamento. Ai prigionieri non è consentito di lasciare la propria cella per giorni, settimane, anzi, a volte per mesi - a meno che non debbano sottoporsi a uno dei tanti interrogatori. Alla fine, gli aguzzini riescono a sopraffare psicologicamente qualche detenuto: si dichiarano colpevoli di reati che non hanno mai commesso.

Nel momento in cui si confessa, «si prova solo odio verso sé stessi», afferma uno dei protagonisti del documentario della Premio Nobel per la Pace 2023 White Torture, così chiamato dal nome del metodo di tortura che prevede l’isolamento. È stato girato in Iran nel 2021, in condizioni oltremodo avverse.

Mohammadi stessa, infatti, vi si trova rinchiusa. Insieme ai filmmaker Vahid Zarezadeh e Gelareh Kakavand, durante una breve sospensione della pena detentiva, ha intervistato una serie di ex carcerati e si è fatta raccontare la loro esperienza dietro le sbarre. Le umiliazioni, la violenza e la solitudine.

Riconnettersi alla realtà

Nell’ambito dell’Human Rights Film Festival di Berlino, il documentario è stato proiettato al cinema Colosseum, su iniziativa della giornalista e attivista per i diritti umani Düzen Tekkal. Durante il suo discorso, Tekkal ha sottolineato l’attualità del tema e lodato Mohammadi, «per aver fatto sentire così chiaramente la sua voce, benché privata del contatto con la realtà».

Oggi non è di particolare attualità solo per via dell’assegnazione del Nobel per la Pace a Narges Mohammadi. Anche gli attacchi di Hamas ai danni di Israele della settimana scorsa dicono qualcosa sul regime dei mullah. Questo, infatti, non solo opprime la popolazione iraniana, ma sostiene anche finanziarmente Hamas.

Il documentario non trae la sua forza dalla forma, è la drasticità delle descrizioni e delle condizioni in cui è stato prodotto a renderlo speciale. White Torture svela il clima ostile all’arte che domina nel Paese governato, a partire dalla Rivoluzione islamica del 1979, da un regime teocratico e autoritario. Nei viaggi in macchina attraverso la città di Teheran la telecamera rimane parzialmente nascosta, il suono è confuso. Ciò malgrado, il film è coinvolgente.

Le interviste testimoniano anche gli effetti a lungo termine del trattamento disumano. Una persona torturata paragona l’isolamento a un tritacarne. All’inizio ancora un individuo, alla fine si sentiva solo «materiale umano». Parlare per il documentario a proposito delle torture, li espone nuovamente al pericolo: quattro dei protagonisti sono tornati in carcere.

In Iran i registi subiscono forti pressioni. Nel lungometraggio di Mohammadi, per qualche istante, vediamo camminare per le strade della capitale iraniana anche Jafar Panahi, il cui film, realizzato segretamente, Taxi Teheran si è aggiudicato l’Orso d’oro alla Berlinale 2015. Anche Panahi nell’estate del 2022 è stato arrestato, per poi essere rimesso in libertà solo lo scorso febbraio, dopo aver indetto lo sciopero della fame.

Il co-regista Vahid Zarezadeh dopo la proiezione ha raccontato come ha reagito il regime. Lo hanno minacciato: «Sei un pezzo di frutta che si è mischiato con della frutta marcia. Perciò marcirai anche tu».

Un’altra prigioniera politica rinchiusa nel carcere di Evin è la madre di Mariam Claren: Nahid Taghavi è attivista per i diritti umani e vicina di cella di Mohammadi. Claren ha descritto il momento in cui quest’ultima ha saputo che le sarebbe stato conferito il Nobel. «È stata modesta, erano tutt’e due felici».

La loro documentazione rispecchia lo slogan attorno a cui ruota il Movimento di liberazione iraniano. Slogan che riassume anche il lavoro di Mohammadi: «Jin, Jiyan, Azadi». Donna, vita, libertà.

Tradotto da Stefano Porreca per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
N.d.T.: Titolo originale: «Ihre Stimmen verstummen nicht»

Per consultare un piccolo approfondimento sulla tortura bianca, cliccare qui: www.bottegamistero.com/la-tortura-bianca/

Per una sintetica biografia della Premio Nobel per la Pace 2023, vedi:
www.spazio50.org/nobel-per-la-pace-a-narges-mohammadi-una-vita-per-i-diritti-umani/

Per consultare il profilo completo del traduttore, cliccare qui:
www.linkedin.com/in/stefano-porreca
www.proz.com/profile/2546108

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