Emi, brani liberi su iTunes

Dai Rolling Stones ai Coldplay, l'etichetta si accorda con Apple e rinuncia ai sistemi di protezione anticopia sul proprio catalogo. Ma il prezzo sale a 1.29$ per file
3 aprile 2007
Gabriele De Palma
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

È ufficialmente iniziata la fine dell'era Drm (Digital rights management). Emi ha rotto gli indugi e, nello stesso tempo, il fronte delle major della musica, fino a ieri compatte nel sostenere l'imprescindibilità dei sistemi di protezione anti-copia dai files musicali. In una conferenza stampa congiunta Emi-Apple, l'amministratore delegato della casa discografica Eric Nicoli ha pronunciato le parole che in molti attendevano da tempo: «Niente più Drm sui files audio e video del nostro catalogo».
I primi a beneficiare della novità saranno i clienti di iTunes, lo store multimediale online di Apple, che dal prossimo mese vedranno comparire accanto al tradizionale formato incatenato dal Drm - ironicamente battezzato da Apple FairPlay - anche una versione libera. Aumenterà anche la qualità dei files musicali, il formato di compressione passa a un bitrate più elevato (da 192 a 256kps). Il risultato di questo togli-metti (via le protezioni, dentro più dati) lascia però l'utente finale con un saldo negativo. Non molto comprensibilmente il prezzo dei file liberi sarà di 1,29 dollari. Il 30% in più di quelli incatenati.
Le discussioni sull'opportunità o meno di proteggere i brani musicali con Drm risalgono al secolo scorso, dopo che il formato di compressione mp3 vide la luce e permise alla musica - un po' mutilata ma pur sempre fruibile - di viaggiare libera sulla rete. Troppo libera secondo chi basava il proprio business sulla scarsità delle risorse. Una scarsità improvvisamente venuta meno (i cd andavano stampati, stoccati, distribuiti, restituiti etc e i beni fisici sono per definizione limitati a differenza di quelli digitali). I Drm sono stati il compromesso, fallace, tra la rivoluzione digitale e il tentativo controrivoluzionario dell'industria musicale di proteggere i propri interessi. Un compromesso fallace perché, essendo affidato a un software dava sempre la possibilità di essere aggirato da un altro software. Tutti i Drm sono stati infranti, nonostante una disposizione apposita nelle nuove leggi sul copyright germogliate in Usa e propagatesi in Europa tra il 1998 e il 2003. Non è stato questo però il motivo per cui Emi ha preso la storica decisione. Come riportato da più ricerche e confermato anche dai dati distribuiti con preoccupazione dalla Fimi, oggi le vendite continuano a calare. Il mercato di musica digitale, che dovrebbe sostituire il calo di quello dei cd, non basta. Non cresce con lo stesso passo con cui precipita quello «tradizionale». È un mercato frammentato proprio dai Drm e ancora di più dai formati proprietari che questi hanno, cosa non imputabile alle case discografiche, ma a chi ridistribuisce le canzoni sui propri negozi online.
Fu proprio Steve Jobs, approfittando dell'equivoco Drm-formati proprietari, a rilanciare due mesi fa il dibattito e chiedere alle major che eliminassero dai contratti per la rivendita delle canzoni la clausola Drm. L'iniziativa del boss di Apple, smascherata della dose di ipocrisia, oggi ha dato i suoi frutti. Potrebbero però essere più indigesti del prevedibile. A una domanda dell'inviato di Newsweek sul motivo per cui sui vecchi file con formato a 192kps non venissero rimossi i Drm Jobs ha risposto: «La vita è un equilibrio tra la libertà e la semplicità» lasciando trapelare da queste sue parole a effetto più di quanto volesse intendere. La semplicità è Drm, nel senso che visto come si è evoluto il mercato i Drm ci sono, e ora toglierli ha un costo. La speranza è che la concorrenza contribuisca a riportare i prezzi a cifre più ragionevoli. O quantomeno che si capisca meglio il ragionamento che sta dietro all'aumento di 30 centesimi a traccia.

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