Gps e mappe di Google: la tecnologia aiuta l'Amazzonia
Suriname, Brasile, Colombia, Guyana... anche nel più profondo entroterra della foresta del Sud America la tecnologia può venire in aiuto delle popolazioni indigene, aiutandole a preservare la propria casa e la propria terra ma - soprattutto - la propria cultura. In questo caso, al servizio di storia e tradizione arrivano Google Earth, il software di Google che permette di esplorare il globo, e il Gps, il popolare sistema di localizzazione satellitare. Grazie a un progetto lanciato nel 2000 da Amazon conservation team (Act), un'organizzazione no profit, e dopo l'assenso dei governi locali, le tecnologie in questione hanno infatti reso possibile la prima mappatura partecipata della foresta pluviale, con tanto di toponomastica indigena. Ma quale è la novità del progetto promosso da Act (www.amazonteam.org)?
Per dirla con le parole di Mark Plotkin, presidente dell'associazione, l'elemento caratterizzante è il partenariato con i popoli indigeni delle foreste pluviali del Sud America. I quali, nella regione meno esplorata del pianeta, l'Amazzonia, collaborano a delineare mappe in tre dimensioni contribuendo a tramandare la propria cultura.
In un mondo che corre veloce neanche l'Amazzonia è infatti esente da trasformazioni, sociali e territoriali. Sarà anche uno dei pochi luoghi rimasti dove la maggior parte della popolazione indigena vive in modo tradizionale, ma anche da quelle parti le cose sono in rapida trasformazione. I più giovani, per esempio, sono attratti dalla città, e abbandonano oltre ai luoghi dove sono nati anche il legame con l'ambiente originario con conseguente perdita di conoscenza della foresta. Act cerca dunque di di rafforzare i legami tra ragazzi e i loro genitori o nonni. Ma cerca, allo stesso tempo, di usare l'hi-tech per proteggere le foreste.
Non c'è bisogno di ricordare come le terre del Sud America siano da sempre preda dei più devastanti saccheggi e come gli indigeni locali subiscano espropri continui da parte dei «colonizzatori» che attingono a mani basse alle risorse. Minatori illegali, per esempio, che cercano di sfruttare i depositi d'oro della regione o usurpatori di legname. Dai primi anni del 1990, ad esempio, nella regione che comprende parte della Guyana francese, Venezuela, Suriname, Brasile e Colombia, si è assistito ad un assalto selvaggio che ha portato in loco decine di migliaia di minatori a caccia delle risorse auree di quelle zone. Con conseguenze drammatiche: deforestazione, inquinamento da mercurio, contaminazione dei corsi d'acqua, violazione dei luoghi ritenuti sacri dalle comunità indigene. Per non parlare poi delle violenze verso le popolazioni locali e l'introduzione di malattie come l'Aids. Situazione così tragica che ha portato l'Associazione per la Biologia Tropicale e conservazione (Atbc), la più grande organizzazione scientifica che si dedica allo studio e alla protezione di ecosistemi tropicali, ad approvare recentemente una risoluzione per invitare i governi ad agire immediatamente per porre fine a questa illegalità.
E' in questo contesto che, come ci racconta la rivista New Scientist, in Brasile l'Act sta portando avanti un'attività di aggiornamento sull'uso dei computer portatili collegati al navigatore e delle mappe di Google. E se i più giovani sono quelli che, Gps alla mano, hanno pattugliato il territorio annotando coordinate, ai più anziani è toccato convogliare nelle mappe la cultura tramandata da secoli, localizzando aree sacre e luoghi significativi per la storia della popolazione, individuando zone pescose e quelle nelle quali cacciare e raccogliere con più profitto.
Grazie anche a Google Earth, utilizzato soprattutto per la vigilanza - come spiegava Vasco Van Roosmalen a capo della divisione brasiliana di Act - «le popolazioni amazzoniche che collaborano con questo progetto possono ora segnalare la variazione di colore nelle acque dei fiumi causate dall'accumulo di materiale e dall'inquinamento prodotto da una miniera vicina». Individuati minaccia e pericolo, si può procedere con la denuncia alle autorità competenti. Anche se nessuno - va aggiunto - garantirà che quegli sos satellitari che arrivano dall'entroterra amazzonico siano raccolti. Per questo, la tecnologia da sola non basta.
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