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Scoppia la guerra degli sprechi

Gli assessori del Nord: dietro i costi folli un patto tra Ferrovie e lobby del cemento
11 aprile 2007
Pierangelo Sapegno

L’autostrada con vista è uno di quei viaggi da inventarti quando non hai un ben amato niente da fare. Perchè se devi lavorare, rischi di morirci anche solo per un attacco di bile. Torino-Milano, percorso a handicap, tutto compreso. La vista sul futuro è quell’incrocio di lavori, di tute e cantieri, di progetti faraonici e twin bridges, di strutture avveniristiche e cavalcavia che si sorpassano, Borgo d’Ale come se fosse New York, e soldi come se piovessero. Questa è la Tav, signori, «la più cara del mondo», quel monumento protetto da dune con pannelli fonoassorbenti e da parapetti colorati che corre fra tralicci e ponti sospesi dentro al futuro.

Le Ferrovie dicono che è costata così tanto perché hanno dovuto costruirla a fianco dell’autostrada e gli enti locali impongono lavori di adeguamento e spese straordinarie. Le Province, dove corre questa meraviglia del binario e del cemento, rispondono che si tratta di spese concertate che riparano solo in parte i danni subiti. Bruno Lattanzi, Novara, centrosinistra, assessore provinciale alle Grandi opere, dice che se uno viene a casa tua e ti rompe i mobili, è appena normale che ti ripari la perdita. Solo questo è successo, dice.

Uscite a girotondo
Il risultato è davanti agli occhi. Perché se uno parte da Torino - sempre se non ha un ben amato niente da fare - già a cominciare da Settimo non può non ammirare - sulla sua destra, prego - cattedrali inverosimili, megaponti, così massicci e imponenti da sembrare palazzi, che sorvolano in coppia strade e prati abbandonati, come se ballassero fra discese e risalite. Tutti regali delle Ferrovie. Con i soldi nostri, ma non importa. Andando avanti, a Chivasso, c’è un altro gioco di svincoli e peripezie, girotondi che chissà a che cosa servono, uscite chilometriche e ingressi col flamenco. Dev’esser per questo che Lattanzi annotava maligno come «tutti questi svincoli, a guardarli bene, magari servono molto di più agli interessi dei produttori di cemento che alle comunità».

Uscendo dalla provincia di Torino ed entrando in quella di Vercelli, altri giochi delle meraviglie. A Borgo d’Ale svincoli con tre ponti così massicci che sembrano fatti per carri armati, e poi un altro e un altro ancora, dove la carreggiata diventa a tre corsie. C’era davvero bisogno di tutta questa esagerazione? «Ma noi abbiamo chiesto solo un ponte», risponde Renzo Masoero, presidente della Provincia di Vercelli, centrodestra. «Poi ci siamo trovati queste statue del cemento. Mica le abbiamo volute noi così». Non importa, avanti. A Carisio, svincoli e risaie, travi sui campi e cemento piantato negli stagni. A Balocco altri ponti a cerchio e ponti che sembrano torri, con pecore al pascolo.

La concertazione
Alle ferrovie spiegano che in pratica questo è il frutto della concertazione, che in Italia i lavori si fanno così. Bisognerebbe vedere i progetti come entrano all’inizio delle trattative e come escono alla fine. Anche Masoero concorda: «Da noi è la prassi. Forse la filosofia della compensazione del territorio in altri Paesi non c’è, ma questa è una cosa positiva. Vengono risarciti i proprietari dei terreni, si ricompensano in altro modo le colture distrutte, si ripianano i danni arrecati». Certo, il risultato alla fine non è bello, alla faccia degli ambientalisti che prima alzano le barricate su tutto e poi accettano queste cattedrali dell’orrore. Ma, sottolineano alle Ferrovie, «il problema è proprio questo, che bisogna sempre venire a patti».

E i lavori collaterali, le spese che non c’entrano niente con la ferrovia, le cosiddette opere di mitigazione ambientale? Secondo Giovanni Barcellini, assessore ai Trasporti della provincia di Novara, «non esistono. Tutt’al più abbiamo fatto rifare il manto di una strada che avevano rovinato». Anche Lattanzi ribadisce che nel Novarese «non abbiamo imposto nemmeno una di quelle opere di contorno cui si fa accenno nella denuncia delle Ferrovie. Abbiamo chiesto invece un intervento di risanamento nell’oasi della Lipu di Agognate, semplicemente perché la ferrovia l’aveva devastata. O a San Pietro Mosezzo di ricostruire un laghetto che avevano distrutto».

Però se esci a Biandrate fai una circumnavigazione dell’autostrada, una salita al settimo cielo e una discesa con curva parabolica al casello. Poi c’è una grande rotonda e stradine perfette come se arrivassi in un paese delle fiabe. Biandrate, 2,5 chilometri. Ma non è niente in confronto a Borgo d’Ale. Chissà che invidia. Lì sembra New York.

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