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mare=H20+URANIO

Tre ecologisti italiani e quattro francesi si sono immersi per
misurare i livelli di radioattività delle acque che ospitano sommergibili
nucleari Usa
18 novembre 2004
Gianni Lannes
Fonte: www.Dweb.it
La repubblica delle donne
15.11.04

. L’immersione è fissata per l’una del mattino. I tre ecologisti italiani e i quattro colleghi francesi hanno i nervi a fior di pelle. Ci imbarchiamo sul gommone a mezzanotte. Antonio e Lucien conoscono a memoria la rotta per Santo Stefano. Da alcune settimane l’isola è di nuovo al centro della bufera, dopo che il Governatore della Sardegna, Renato Soru, facendosi interprete di proteste diffuse, ha pubblicamente chiesto che gli Stati Uniti d’America “abbandonino la base che ospita i sommergibili nucleari”. Ci siamo: un ultimo controllo alle bombole e agli erogatori. In mare è calma piatta, c’è un filo di brezza, la luna è oscurata dalle nubi. Scivoliamo silenziosamente nel buio, per gettare l’ancora a circa 500 metri dal porto presidiato dai marines, su cui sventola la bandiera a stelle e strisce.

A sei miglia da qui e a tre da Caprera il 25 ottobre 2003 il sommergibile Hartford della Us Navy andò a sbattere contro gli scogli granitici della secca dei Monaci. E stanotte il nostro obiettivo è prelevare sedimenti sabbiosi e alghe sotto la nave-balia dei sommergibili atomici statunitensi, per verificare il livello di radioattività e di pericolo. La difficoltà sta nell’eludere la sorveglianza: è paradossale dover mentire per transitare nelle acque del proprio Paese, ma certo se venissimo scoperti dovremmo direche stiamo semplicemente facendo un’innocente battuta di pesca. Anche se,date le nostre attrezzature e il luogo in cui ci troviamo, l’affermazione sarebbe poco credibile.

All’alba, la missione è compiuta, nessuno si è accorto di nulla: siamo stati bravi noi o inefficienti loro? Un caffè bollente e due risate scrollano di dosso la tensione. Poi il saluto agli amici còrsi che volano a Parigi per recapitare ai laboratori specializzati della Criiad, Commission de récherche et d’information indipendentes sur la radioactivité, i campioni raccolti.

Gli esami del prestigioso istituto francese evidenziano tracce al di sopra dei livelli di sicurezza di torio 234, un elemento che rientra nella catena dell’uranio. In alcuni punti del mare la concentrazione si attesta tra i 3900 e i 4700 becquerels per kg: i valori normali non dovrebbero superare qualche decina. I ricercatori d’oltralpe sostengono che "i livelli di radioattività aumentano quanto più i campioni si raccolgono vicino alla base americana, per l’assistenza ai sottomarini di Santo Stefano". Il risultato non solo smentisce ancora una volta le rassicurazioni giunte, anche ultimamente, dalle autorità italiane, comprese quelle del ministro Carlo Giovanardi, ma diventa particolarmente inquietante se messo in relazione a ciò che ci aveva detto prima dell’immersione il medico-patologo Salvatore Cossu: "È solo in questa zona che registriamo un’alta incidenza di focomelia, rachischisi e tumori ipofisari". Non solo. Il registro tumori della provincia di Sassari rileva “un aumento abnorme delle neoplasie maligne, con percentuali del 200 per cento superiori alla media nazionale”.

E pensare che l’arcipelago della Maddalena, dove ci troviamo, è parco nazionale dal 1994. Un’area protetta (sulla carta), che coabita però con la base di sommergibili a propulsione e armamento nucleare della marina militare Usa. Un insediamento bellico nato qui dal 2 agosto 1972, mai
autorizzato dal Parlamento italiano e dal Presidente della Repubblica, ma reso evidentemente possibile da un accordo che ora il governatore della Sardegna chiede sia reso pubblico.

Quella giunta dai francesi del Criiad, del resto, è solo l’ultima conferma a quanto molti vanno denunciando da tempo. Il deputato verde Mauro Bulgarelli ha presentato un’interrogazione urgente in cui si chiede che “le autorità italiane e quelle americane dicano la verità sui risultati delle rilevazioni sulla radioattività effettuate dopo l’incidente dell’Hartford. Nessun segreto di Stato vale la sicurezza e la salute delle popolazioni”. Altre conferme ai peggiori sospetti sono giunte dai ricercatori dell’università della Tuscia, che hanno riscontrato “forti concentrazioni di plutonio 239 lungo tutta la costa dal Nido d’Aquila alla Maddalena. Le massime concentrazioni si trovano lungo le coste settentrionali e orientali della rada di Santo Stefano, nei pressi della base dei sommergibili nucleari”. E ancora: “Potrebbero verificarsi gravissimi problemi di mutazioni genetiche a partire dai primi anelli della catena alimentare, causando quindi danni irreparabili all’ecosistema dell’arcipelago della Maddalena”.

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«Il passaggio del comando navale per l’Europa da Londra a Napoli e la costruzione di una terza base navale a Taranto sono solo due delle mosse del Pentagono per ridisegnare la presenza militare Usa nel mondo. Questa scelta riguarda direttamente l’Italia e il suo mare, il Mediterraneo, divenuto il luogo della minaccia concreta». Lo rivela Gregory Johnson, comandante delle truppe Nato in Europa e delle forze navali Usa nel vecchio continente.

C’è di più. «Il governo italiano ha autorizzato un sito per sommergibili
nucleari nel porto di Brindisi», documenta un’interrogazione parlamentare
presentata dal verde Mauro Bulgarelli. Il presidente del Consiglio e i
ministri della Difesa, Martino, e dell’Ambiente, Matteoli, dicono
di non saperne nulla. Eppure, «secondo informazioni
in nostro possesso», afferma il deputato, «sono in corso accordi tra la
Marina Militare, il governo e l’Autorità portuale di Brindisi per la
costruzione di un punto di attracco e rifornimento per sommergibili a
propulsione e armamento atomico sulla banchina di Capobianco, nella zona industriale di Brindisi». Il dato sconcertante è che il sito dovrebbe sorgere accanto al previsto impianto della British Gas e a breve distanza da una centrale termica. Secondo indiscrezioni che arrivano
dalla Commissione consultiva per il controllo delle armi (struttura
strategica del Ministero della Difesa), “al punto di rifornimento sono
interessate le flotte nucleari di Usa, Francia, Russia”. Dunque, è concreto
il rischio di una emergenza nucleare in numerosi porti italiani (Augusta, Brindisi, Cagliari, Gaeta, La Spezia, La Maddalena, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia) dove attraccano navi e sommergibili nucleari anglo-americani. Lo denunciano il Comitato italiano contro il rischio nucleare e l’associazione PeaceLink: che al governo italiano e al Presidente della Repubblica chiedono di rendere pubblici i piani di emergenza dei sottomarini nucleari.



Ma torniamo alle nostre immersioni e al torio 234, “figlio” dell’uranio impoverito. L’ingegner Francesco Polcaro, primo ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e membro del Comitato Scienziate/i contro la guerra, una spiegazione per queste alte concentrazioni ce l’ha: "Non mi meraviglia affatto. Sommergibili statunitensi a propulsione nucleare della classe Los Angeles, quelli che abitualmente tran-sitano e sostano alla Maddalena, usano come combustibile per il reattore nucleare una miscela contenente anche il torio 234. Non si può quindi assolutamente escludere che l'elevatissima concentrazione rilevata da analisi di diversa fonte sia conseguenza diretta dell'incidente avvenuto al sommergibile a propulsione nucleare Hartford".

A questo proposito, commenta Mariella Cao, portavoce dell’associazione Gettiamo le basi: "È evidente che in assenza di testimoni civili, questi incidenti, specie se non troppo gravi, difficilmente vengono resi noti. E non possiamo neppure dimenticare che gli standard di sicurezza impiegati negli impianti militari sono inevitabilmente più bassi di quelli richiesti per i reattori a uso civile, tant’è vero che nessun reattore per la propulsione navale militare otterrebbe l’autorizzazione al funzionamento come impianto per la produzione di energia a terra". Ma c’è anche un altro dato da non sottovalutare. Le strutture di controllo ambientale sulla radioattività in Italia sono ormai ridotte ai minimi termini. Il Rapporto annuale sullo stato della radioattività in Italia, che dovrebbe essere stilato per legge dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Apat), non viene più pubblicato. Perché? Semplice: il Governo Berlusconi ha smantellato l’Apat, cioè quella struttura che aveva curato, su mandato dell’Onu, le analisi sulla contaminazione radioattiva in Kosovo.

È ormai mattina, approdiamo sull’isola di Santo Stefano. Eccola la nave-balia, la Emory S. Land, 23 mila tonnellate di stazza, con il suo carico di ordigni atomici e scorie nucleari. "Imbarca le scorte di armi per la flotta sottomarini", rivela il comandante della Emory, Dave Volonino: "fino a 72 missili Cruise e 40 siluri pesanti". E può rifornire dieci
sommergibili contemporaneamente. A poca distanza sorgono i centri abitati di La Maddalena e Palau. Il molo d’attracco della nave-officina è al centro di una stretta fascia costiera, su cui gravitano due impianti dove si fa uso, all’aria aperta, di esplosivi e carburanti. Le unità marine sono mostri d’acciaio da 110 metri di lunghezza e 6930 tonnellate di stazza, con 115 uomini d’equipaggio e 12 ufficiali, e stazionano in loco per il rifornimento e le riparazioni. Secondo l’Almanacco navale dello Stato Maggiore italiano, su questi bestioni “le dotazioni d’armi arrivano fino a 26 Tomahawk, Sub-Harpoon, siluri Mk 48”.

L’autorevole pubblicazione Jane’s Fighting Ships attesta che i “sommergibili con due turbine, che alimentano un reattore nucleare, sono dotati di 12 tubi di lancio per missili Cruise con testata nucleare da 200 chilotoni e gittata di 2500 chilometri”. L’armamento atomico, sempre smentito dai governi italiani, è confermato da un gran numero di documenti dell’U.S. Navy declassificati nell’ottobre del 1988, da relazioni del Congresso Usa, dai resoconti dell’Assemblea Atlantica e da una copiosa letteratura internazionale in materia.

Prima di andarcene, chiediamo al comandante Volonino e al generale Carlo Jean, della Società gestione impianti nucleari dell’Enel e commissario straordinario per l’emergenza nucleare, dove e come la U.S. Navy ha stoccato e smaltito i rifiuti radioattivi prodotti dai sottomarini nucleari. In entrambi i casi la risposta è un secco: "No comment".

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