Europa che fare? Le proposte di Urlich Beck per l'altra Europa

In contemporanea alle analisi di Jurgen Habermas per rilanciare il processo costituente europeo dopo il NO francese e olandese alla Costituzione europea anche Urlich Beck propone un referendum europeo su un testo costituzionale, drasticamente ridimensionato, da tenersi in tutti gli Stati membri nello stesso giorno.
30 marzo 2006
Urlich Beck
Fonte: La Repubblica - 28 marzo 2006

Il signor K. e una nuova Europa
URLICH BECK

Beck

Il rapporto di molti cittadini con l'Ue può senz'altro essere definito come kafkiano. Le persone si vedono confrontate con un potere crescente, che presenta i caratteri di un immenso labirinto: non arriveranno mai alla fine degli infiniti corridoi e non scopriranno mai chi ha formulato il funesto giudizio.

Numerosi cittadini sono nella stessa situazione di Josef K. di fronte al tribunale o dell'agrimensore K. davanti al castello: sono tutti confrontati con un mondo che non è altro che un'unica istituzione labirintica, alla quale non sono in grado di sottrarsi e che non riescono a comprendere. Dal punto di vista di Kafka, la situazione è ancora più radicale: i cittadini europei non sono altro che ombre delle loro cartelle nello schedario dell'Ue. Anzi, anche meno di questo: sono ombre di un errore in un incartamento, ombre che non hanno più diritto alla loro esistenza umbratile. E la realtà paradossale della vita politica vuole che molti europei nell'attuale momento storico rispondano con il grido d'aiuto di un «no»: proprio ora, quando sono chiamati, come cittadini attivi, ad approvare una Costituzione europea che tenta di trasformare la loro esistenza umbratile in diritti di libertà. A questo rifiuto si contrappone il "sì" ripetuto milioni di volte dagli abitanti dei Paesi ai margini dell'Ue: essi sarebbero felici di fare la vita dell'ombra di un errore in un incartamento. C'è
una via d'uscita dal labirinto dell'Ue? Kafka - come gli elettori di Francia e Olanda - non potrebbe che rispondere di no. Per lui l'Ue sarebbe il modello di un'istituzione che ubbidisce alle proprie leggi, programmate chissà da chi e chissà quando, prive di qualsiasi relazione con gli interessi umani e quindi incomprensibili. Questa situazione chiama in causa il fallimento degli intellettuali, che finora non sono stati capaci di una grande narrazione dell'europeizzazione.

Tuttavia, la situazione non è affatto priva di uscite. La questione centrale sta nell'individuare un'alternativa: in che modo si può intendere e utilizzare la polemica sulla Costituzione dell'Ue come opportunità per creare un'altra Europa, un'Europa capace di affrontare i conflitti e di fare politica, un'Europa cosmopolita? «The time is out of joint: O cursed spite that ever I was born to set it right» («Tempi sconnessi, i nostri. E che maledetta beffa, che proprio a me toccasse nascere per rimetterli in sesto» - Amleto, I, 5). Potrebbe essere questo il motto della generazione Amleto, che si vede impegnata a ridefinire e a
riconfigurare il futuro dell'Europa. Ricordiamocelo: lo spirito del padre impegna Amleto a ripristinare il giusto ordine nella corrotta Danimarca - ben prima della polemica sulle caricature. La militanza religiosa su scala mondiale come reazione alla pubblicazione delle caricature in Danimarca: qualcosa che è andato al di là dell'immaginazione. Il mondo è diventato cosmopolitico in un modo nuovo, irrevocabile, gravido di conflitti. Nonostante la perfezionata sorveglianza dei confini, non c'è una Danimarca chiusa a chiave, una Germania chiusa a chiave, un'Europa chiusa a chiave. L'altro o lo straniero - per nazionalità e per religione - non possono più essere tenuti fuori. Chi però crede di potersi barricare nel proprio guscio a chiocciola si fa ingannare dai punti di vista e dai riflessi nazionali. Un simile modo di vedere finge qualcosa che non esiste più, ma che è diventato un'illusione diffusa nel mondo globalizzato: la finzione retroversa del nazionale. Improvvisamente gli europei nazionali si vedono coinvolti nella dinamica conflittuale di una «costellazione post-secolare» (Jürgen Habermas), entro la quale il secolarismo continentale deve ancora trovare la sua voce e il suo ruolo di sistema di credenze tra altri sistemi di credenze, in mezzo al contrasto, alla coesistenza, alla convivenza contemporanea e non contemporanea delle religioni mondiali. L'unità di modernità (intesa come un valore) e modernizzazione (che si realizza nell'economia) si frantuma - dando luogo, ad esempio, al dissidio tra l'irrinunciabile libertà di stampa e il potere tecnico-economico (del mercato) mondiale. E la domanda su cosa sia la modernità diventa essa stessa argomento di conflitti mondiali. A livello mondiale, la consapevolezza europea della modernità secolarizzata viene condivisa soltanto da una minoranza. È necessario che questa convinzione si affini e si affermi nel contrasto, ad esempio, con il pensiero religioso-politico degli Stati Uniti o con i progetti di una modernità mussulmana - e anche tracciando un confine rispetto a forme di fondamentalismo religioso, espressione di movimenti moderni contro la modernità -. Perciò molti europei sono prigionieri di un essenzialismo culturale che intende la nazione, la religione e l'identità nella loro definizione europea come qualcosa di incrollabile e immodificabile. In questa situazione, la domanda su dove andrà a
finire il viaggio dell'Europa non segnala affatto una crisi. Al contrario, il continente è arrivato alla concreta realtà dei conflitti culturali inter e intra-sociali (e questo non va confuso con l'essenzialismo da scontro di civiltà di Huntington!). È difficile immaginare qualcosa di più ridicolo, assurdo e pericoloso che annunciare la «fine del dialogo» e la «fine del multiculturalismo» in questa situazione stregata e preoccupante. Sarebbe come spingere la realtà fuori dei confini. Naturalmente, si può smettere di fare quello che comunque non si è mai fatto adeguatamente: parlare con l'alterità
interna dell'Europa - non ultimo, con i dodici milioni di mussulmani europei -. Ma ciò non toglie che siamo tutti condannati a vivere e sopravvivere - o no - gli uni accanto agli altri nella ristrettezza del mondo globalizzato. Il paradosso da comprendere è che chi pensa l'Europa in termini nazionali ridesta le ataviche paure nazionali degli europei con una falsa alternativa: o l'Europa o le nazioni europee - tertium non datur. Da questo punto di vista l'Ue e i suoi Paesi membri sono rivali irriducibili che minacciano l'uno l'esistenza dell'altro.

L'altra faccia di questo paradosso è che è necessario ripensare l'Europa, cioè ripensarla in termini cosmopolitici, per togliere ai cittadini la paura di compiere un suicidio culturale con la loro approvazione della Costituzione europea. L'Europa è pluralità. Su questa base potrebbe nascere una consapevolezza della comune appartenenza, che intende come una ricchezza - e non come un ostacolo all'integrazione - la diversità delle lingue, delle culture e delle tradizioni religiose. Questa Europa cosmopolita può smuovere o addirittura entusiasmare i cittadini? Per il momento sembra opportuno lo scetticismo.

Inoltre, nella grande narrazione dell'europeizzazione bisognerebbe chiarire che cosa offre l'Ue ai suoi cittadini, che cosa significa per loro. Per quanto è dato a vedere, tuttavia, le riforme sono ovunque concepite come circoscritte ai singoli Stati e si incagliano all'interno di un ristretto quadro d'azione nazional-statale. Si farebbe un passo importante verso l'uscita dal labirinto
kafkiano dell'Ue se si definissero i molti problemi attuali (il decremento demografico, l'eccessivo invecchiamento della società, le riforme dei sistemi di sicurezza sociale, l'immigrazione, l'esportazione di posti di lavoro, l'applicazione di salari minimi, la tassazione dei profitti delle imprese, degli interessi, delle speculazioni finanziarie; e la lista potrebbe continuare) come una sfida europea. Questo significa che lo sviluppo della cooperazione tra gli Stati, che potenzia le nazioni in forza dell'unione della sovranità, potrebbe entusiasmare i cittadini per l'Europa. Così, l'Europa potrebbe diventare un modello di governo nell'era della globalizzazione, secondo il motto: le soluzioni europee danno ai cittadini ben più che i percorsi solitari nazionali. Come si può trasformare l'insostenibile leggerezza del "no" di molti europei
nell'opportunità di un nuovo inizio, che consenta all'Ue di diventare nello stesso tempo cosmopolita e capace di affrontare i conflitti? La mia proposta è tanto semplice quanto radicale: il testo costituzionale, drasticamente ridimensionato, dovrebbe essere sottoposto ad approvazione un'altra volta, e non solo da parte di ciascuno Stato nazionale per conto suo, ma in tutti gli Stati membri nello stesso giorno. Il vantaggio di questa procedura sarebbe che se un Paese votasse contro la Costituzione, sceglierebbe anche un'adesione dilazionata all'Ue. Perciò, il "no" di uno Stato non impedirebbe l'entrata in vigore della Costituzione. Piuttosto, questo Paese si precluderebbe (almeno in parte) i diritti e i vantaggi comportati dalla Costituzione per gli Stati e per i cittadini europei. Manifestazione per il SI Non sarebbe più possibile dire "no", e dunque bloccare l'Ue, senza impegni e senza conseguenze. Niente approvazione, niente sussidi: questo criterio metterebbe fine di colpo all'insostenibile leggerezza del "no". Nello stesso tempo, una campagna elettorale su scala europea aprirebbe ai cittadini gli occhi su ciò che essi guadagnerebbero concretamente se si unissero nella sovranità europea. La Costituzione dell'Ue avrebbe una legittimazione democratica ed europea. I Paesi e i cittadini che con il loro «sì» facessero entrare in vigore la Costituzione potrebbero facilitare lo sviluppo del progetto della modernità europea in un quadro di Stato di diritto per i conflitti della società post-secolare e potrebbero mettere in grado l'UE, allargata politicamente, di prendere decisioni e di affrontare i conflitti.

(Traduzione di Carlo Sandrelli)

Note: - Europa che fare? Le proposte di Habermas per un referendum europeo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_15768.html

- Campagna: un referendum per l'Europa
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_15763.html

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