Europa sì, Europa no
È difficile ribattere alle lamentele del governo Berlusconi sul mancato aiuto dell’Unione Europea all’Italia sommersa dai profughi magrebini. Si resta perplessi. Non solo perché fondi consistenti sono stati già stanziati dall’Unione all’Italia: più di 120 milioni negli ultimi due anni per le politiche di cooperazione, immigrazione e integrazione (altri sono a disposizione). Non è questo: si resta perplessi ogni volta che un governo europeo invoca l’aiuto dell’Unione o ne denuncia l’inefficienza. Ci si chiede che cosa abbiano fatto i governi quando si è trattato di rinforzare le strutture comunitarie. Che cosa fanno i governi per l’Europa? Se voglio che la mia automobile funzioni, devo prima dotarla di un motore. Poi devo assicurarmi che nel suo serbatoio ci sia sempre un po’ di benzina. Nessuno si è preoccupato di dare all’Europa un motore (un governo federale) e nel suo serbatoio (il bilancio comunitario) ci sono solo poche gocce. Ha senso pretendere che corra in pista?
Resta naturalmente il problema, o meglio i problemi: problemi vasti, complessi, tali da mettere in imbarazzo qualsiasi stato nazionale. L’immigrazione è uno di questi. Non è un problema da poco: è il genere di problemi su cui, talvolta, inciampano le civiltà. Lo squilibrio socio-economico fra il nord e il sud del Mediterraneo, tra Africa ed Europa, è alla radice dei fenomeni migratori ed è un fatto planetario, che richiede di essere affrontato, come minimo, su scala continentale. Il fatto che il governo italiano si rivolga all’Europa dimostra la pressione insostenibile a cui il nostro sistema nazionale si vede sottoposto. Ma non è un’emergenza improvvisa: è una questione aperta da decenni, e gli stati interessati (a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo) hanno avuto tutto il tempo per correre ai ripari approntando strumenti adatti a gestirla: una politica europea per l’immigrazione, l’integrazione e, soprattutto, lo sviluppo dei paesi africani. Un’inspiegabile distrazione ha invece impedito di affrontare il problema: l’Unione Europea non ha una politica comune per l’immigrazione, né un piano per avviare e sostenere la crescita delle economie africane.
Questa assurdità dovrebbe cessare. Di una cosa sarebbe bene che cittadini e governanti dell’Unione si rendessero conto una volta per tutte: avere insieme la sovranità assoluta degli stati nazionali e un’Europa forte ed efficiente, che all’occorrenza possa togliere i governi dai guai, è chiedere troppo. Le due cose si escludono e, quand’è così, bisogna scegliere. Se esistono problemi che i governi nazionali non riescono a gestire in maniera soddisfacente vuol dire che occorre un governo europeo per affrontarli: ma questo governo va costruito, e l’unico modo per costruirlo è delegare sovranità all’Unione Europea. Trasferire competenze e risorse a un livello superiore di governo è l’unica maniera per creare istituzioni in grado di affrontare sfide globali come i processi migratori.
Se vogliono che l’Europa si faccia avanti, i governi dell’Unione devono fare un passo indietro. Ma devono farlo concretamente: potenziando il bilancio dell’Unione, permettendo che sia finanziato con risorse proprie (ad esempio con una tassa sulle emissioni di gas inquinanti o sulle transazioni finanziarie, come il Parlamento Europeo sta già chiedendo, e con un debito pubblico europeo); permettendo che in materie come l’immigrazione e le politiche economiche si possa deliberare a maggioranza e non all’unanimità – dunque spazzando via una buona volta la trappola del diritto di veto; infine, rendendo più democratico il funzionamento dell’Unione: perché un vero e proprio governo europeo – un’Europa che funzioni e che intervenga quando necessario – dovrà essere sottoposto a un controllo democratico maggiore di quanto oggi non accadrebbe: con un parlamento dotato di maggiori prerogative e un governo (la Commissione) espresso dal parlamento e responsabile di fronte ad esso. Per questo occorre un’Europa federale, e non un’Europa intergovernativa.
Se tutto ciò non piace, se si ritiene di poterne fare a meno, si rinunci una volta per tutte al governo europeo, a un’Europa politica: e allora, buona fortuna! Ma almeno finiamola con questo indegno balletto.
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