Latina

Grandi manovre al confine con la Colombia e preoccupa la presenza Usa a Panama

Venezuela: intervento militare alle porte?

Miraflores deve contrastare anche l’ostracismo del Gruppo di Lima, composto da paesi vicini alla Casa Bianca
23 febbraio 2018
David Lifodi

internet

Ancora una volta si torna a parlare di un intervento militare in Venezuela. Non è la prima volta che dagli Stati uniti giungono rumors o   minacce più o meno velate verso Caracas, ma ad oggi sono due gli indizi che fanno temere un possibile precipitare degli eventi. Il primo riguarda l’accordo militare tra Panama e Stati uniti, che permetterà ad oltre quattrocento militari a stelle e strisce di condurre esercitazioni in suolo panamense e il cui fine non è la cooperazione per prevenire immigrazione e terrorismo, come dichiarato ufficialmente. Il secondo riconduce al crescente ostracismo del cosiddetto Gruppo di Lima, i cui paesi aderenti non solo hanno messo alla porta Maduro, ma non passa giorno senza che sparino bordate contro Miraflores.

La presenza militare a Panama, programmata fino a luglio, rappresenta un altro passo verso il ritorno degli Stati uniti nel continente latinoamericano. A proposito dell’intervento Usa in Venezuela se ne vocifera almeno dal 2015, quando il Comando Sur sembrava pronto ad intervenire dall’Honduras. Nell’anno appena trascorso, Trump ha più volte fatto riferimento ad un eventuale intervento militare, soprattutto nel contesto della strategia di sicurezza nazionale che mira esplicitamente ad un cambio di governo in Venezuela e Juan Manuel Santos, presidente colombiano stretto alleato di Washington, pur dicendosi contrario all’ipotesi militare, non perde occasione per provocare Miraflores.

Finora, scorrendo gli articoli pubblicati sia su siti web di controinformazione sia sui mezzi di comunicazione decisi a sostenere l’opzione militare, pare che non ci sia accordo su come attaccare il Venezuela. Foreign Affairs da un lato auspica una sollevazione delle forze armate venezuelane contro Maduro, ma ritienel’intervento militare una via molto delicata, dall’altra Moíses Naím, uno dei falchi dell’Interamerican Dialogue, definisce il presidente Maduro il “Saddam Hussein” dell’America latina, spera fortemente nella salida, ma ritiene che l’intervento armato comporti non meno di duecentomila uomini. Sullo sfondo, le elezioni convocate da Maduro per il 22 aprile, prima invocate dall’opposizione e adesso boicottate da gran parte dell’eterogeneo movimento che si oppone al processo bolivariano. In molti hanno paragonato l’attuale situazione venezuelana a quella panamense pre-invasione del 1989 ed un rapido  intervento militare potrebbe essere la soluzione, anche a seguito del giro di consultazioni effettuato da Rex Tillerson in vari paesi dell’America latina, a partire dall’incontro con il presidente colombiano Santos e con il suo vice Óscar Naranjo, già esperto di operazioni di guerra di carattere contrainsurgente.

La Colombia giocherà un ruolo di primo piano nell’eventuale attacco statunitense in uno scenario di “crisi umanitaria” sul quale insiste da tempo l’opinione pubblica, che ha dato ampio spazio alla migrazione di molti venezuelani verso il paese confinante. Inoltre, sembra avere gran credito l’ipotesi che dietro alla lotta al narcotraffico della Colombia si nasconda in realtà un’operazione navale congiunta tra Stati uniti, Messico e la stessa Colombia nascosta, almeno ufficialmente, dalla volontà di bloccare le rotte della droga nel Pacifico. E ancora, mentre prosegue l’eliminazione dei leader sociali colombiani, le forze paramilitari continuano a fare ciò che vogliono e si parla di sconfinamenti in Venezuela dell’Ejército Paramilitar de Norte de Santander e delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia.

Quanto al Gruppo di Lima, sorprende che nessuno evidenzi come la sua credibilità sia pari a zero. I presidenti dei paesi latinoamericani aderenti  (Argentina, Brasile, Colombia, Costarica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay e Perù) si stracciano le vesti perché secondo loro in Venezuela non c’è democrazia, ma non avrebbero alcuna autorità morale per farlo. In Honduras, Juan Orlando Hernández è al potere grazie ad una evidente frode elettorale, ha represso con violenza le manifestazioni di piazza e le carceri sono piene di oppositori, eppure la sua unica ossessione sembra essere la “dittatura” venezuelana. Quanto al guatemalteco Jimmy Morales, che lo scorso dicembre si è allineato istantaneamente agli Usa sulla questione israelo-palestinese, è sospettato di aver finanziato la sua campagna presidenziale con i soldi del narcotraffico e si è sempre distinto per le sue posizioni negazioniste a proposito del genocidio degli indigeni maya nei primi anni Ottanta. Enrique Peña Nieto, presidente messicano il cui mandato sta per esaurirsi, sarà ricordato come il mandatario sotto  al quale è avvenuto il maggior numero di omicidi di giornalisti, per tacere del crescente numero di desaparecidos e di uno Stato ormai nelle mani del narcotraffico.

Scendendo in Sudamerica la situazione non cambia. Il peruviano Kuczynski è implicato nello scandalo delle tangenti della multinazionale Odebrecht ed è divenuto presidente grazie al vero e proprio mercato di voti con la bancada fujimorista, Michel Temer è giunto al Planalto tramite un colpo di stato sostenuto e approvato dagli Stati uniti e dai presidenti latinoamericani vassalli di Washington, oltre ad essere implicato, anche lui, in molteplici episodi di corruzione, mentre il suo omologo argentino Macri, pur avendo ottenuto la presidenza a seguito di elezioni legali, non passa giorno senza governare a colpi di decreti di “necessità e urgenza” e si è circondato di simpatizzanti del regime militare. Il macrismo ha dichiarato guerra alle Madres de la Plaza de Mayo, ai movimenti sociali e ai giornalisti, scegliendo la strada di mantenere l’ordine pubblico esclusivamente in maniera repressiva. Quanto al paraguayano Cartes, già prima che giungesse alla guida del paese, era chiacchierato per legami con il narcotraffico e ha comunque sfruttato il colpo di stato che ha spodestato Fernando Lugo e lo ha portato al potere dopo Federico Franco.

Questi sono i sinceri democratici che auspicano la salida di Maduro e hanno già svenduto la sovranità territoriale latinoamericana ai gringos.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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