MASSMEDIA USA

Il piccolo schermo degli orrori

Baghdad e' in fiamme sui monitor tv, ritirata la pubblicita'. Cancellata la passerella delle star, Oscar incerti
21 marzo 2003
Giulia D'agnolo Vallan
Fonte: Il Manifesto - 21 marzo 2003

da New York

E' partita a tutto campo la copertura televisiva delle guerra. Network e canali via cavo "svuotano" i loro palinsesti per far posto alle news dall'Iraq. Persino la pubblicita' si adegua, con inserzionisti che ritirano spot da milioni di dollari o, peggio ancora, li ridisegnano per l'occasione. Dopo essere state colte quasi di sorpresa dall'inaspettato lancio dei missili Cruise, poco dopo la scendenza dell'ultimatum di Bush, mercoledi' sera, le tv hanno inagurato dirette non stop: collegamenti con il Medio Oriente, con Washington, montagne di grafici e cartine che sembrano ridurre il tutto ad un grosso videogame, reportage sulla sicurezza in Usa - con particolare attenzione alle misure straordinarie adottate a New York - e le manifestazioni contro la guerra che, anche dopo queste prime fasi dell'intervento militare sembrano continuare un po' dovunque. C'e' consenso tra tutti sul sospendere la programmazione regolare almeno per i primi due o tre giorni a partire dall'attacco. Ma sono gia' stati ipotizizzati altri aggiustamenti: il futuro immediato di serie con trame a sfondo politico o militare, come The Agency, The West Wing (in cui il pacifista Martin Sheen, attaccatissimo in questi giorni, interpreta il presidente Usa), 24 Hours...viene messo in questione. La Fox di Rupert Murdoch ha gia' cancellato dai palinsesti di domenica sera il previsto Die Hard (in cui un gruppo di terroristi fa saltare un edificio) sostituendolo con Jurassic Park. E le televisioni erano talmente "pronte" all'entrata in guerra, avevano creato una tensione drammatica cosi' forte che qualche giornale, ieri mattina, ha osato definire il primo lancio di missili su Baghdad, dal punto di vista mediatico, "un anticlimax".

Come se stesse parlando di fuochi artificiali, il quotidiano Usa Today ha lamentato che le esplosioni che hanno squarciato il cielo durante la prima notte della prima Guerra del golfo erano molto piu' spettacolari di quelle dell'altro ieri sera. Da parte sua il New York Times ha immediatamente istituito un pezzo quotidiano dedicato al "tv watch" in cui, ieri, Alessandra Stanley ha fatto notare che, nel suo discorso, Bush sembrava "teso e improvvisamente giovane e vulnerabile" e il generale Haig ha dichiarato che in mancanza di un attacco americano massiccio, "la contraerea irachena sembrava stesse sparando a un branco di pipistrelli".

Insomma, per quanto pianificare e parlare si sia fatto del coverage di questa invasione irachena, per ora c'e' poco di sostanziale. Il programma creato dal Pentagono, secondo cui i giornalisti sono stati praparati militarmente e embedded, cioe' "incastonati" tra i ranghi dell'esercito, fino ad ora ha prodotto solo l'impressione che i reporter stessi si sentano un po' degli attori. Con le riviste piene di pezzi su cosa si prova a respirare da dietro ad una maschera anti gas. Paradossalmente, l'eccesso di attivita' mediatica fa sentire tutto molto irreale e lontano. Il vero "reality check" sulla situazione del momento, infatti, non arriva dal piccolo schermo, ma e' trovarsi la guardia nazionale con le mitragliette all'entrata della metropolitana di Manhattan, vedere la Fifth Avenue molto meno affollata del solito durante la rush hour o sentire il padrone di un ristorante dire che si chiude prima perche' tanto non ci saranno clienti. Le immagini televisive di quello che sta succedendo, a Washington, in Iraq o nei paesi circostanti, dopo essere state per ore essenzialmente anonime - lunghe inquadrature di angoli di Baghdad in cui passava una macchina solitaria, collegamenti con basi militari Usa confortevolmente lontane dalle zone calde, stanno via via sempre piu' drammatizzandosi....ma gli esperti continuano a parlarsi addosso e giocano a interpretare i pensieri dell'elusivo Rumsfeld, aspettando il prossimo briefing dalla casa Bianca.Intanto la strana terminologia coniata dalla Casa Bianca "penetra" il linguaggio delle news - "armi di terrore", "asse del male", "obiettivi leadership", "giornalisti incastonati" e "la coalizione di coloro che vogliono"...

Sulla costa orientale continuano, intanto, le perplessista' nei confronti del secondo evento televisivo piu' seguito dell'anno, la diretta degli Oscar che si svolge nel palazzone, in stile falso babilonese, Kodak Theatre... L'attore Will Smith, invitato a presentare alcuni dei vincitori, si e' scusato dicendo che non gli sembrava il momento adatto ("disagio personale: non voglio lanciare nessun messaggio politico"). Cosi' Cate Blanchett, l'attrice australiana che avrebbe dovuto spalleggiarlo, e che si e' ritirata "per problemi di lavoro". Dalla Finlandia, Aki Kaurismaki (nominato per il miglior film straniero) ha annunciato che non verra' in segno di protesta e anche Peter Jackson se ne stara' in Nuova Zelanda. Dopo la cancellazione del rituale del tappeto rosso - la solita sfilata di star che entrano e che inizia circa un'ora prima della cerimonia - e' saltata anche la solita e serguitissima trasmissione per Oscar di Barbara Walters (da 22 anni intervistava divi e celebrita' varie). E il no al tappeto rosso ha gia' provocato lo scontento di parecchi stilisti che, puntualmente, ne traggono i vantaggi di una pubblicita' gratuita in mondovisione.

Ma almeno un gruppo antiguerra ha deciso di capitalizzare sulla serata degli Academy Awards offrendo alle star la chance di indossare spilline pacifiste con sopra una colomba. Avrebbero gia' accettato di farlo Daniel Day Lewis, Pedro Almodovar, Meryl Streep e Adrian Brody. Mentre Ben Affleck starebbe aspettando il responso del suo stilista per decidere se la vuole in oro bianco o giallo.

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