ARNETT L’INGLESE

2 aprile 2003
Alessio Altichieri
Fonte: Corriere della Sera

LONDRA - Peter Arnett, appena cacciato dalla tv americana Nbc , e' stato assunto dal tabloid inglese Mirror . Bene cosi', per la liberta' di parola, e bene anche per noi giornalisti: finche' c'e' qualcuno che ha il coraggio di assumerci, non temiamo i licenziamenti. Onore dunque a Peter Arnett, il cronista che fu la voce della Cnn durante la prima guerra del Golfo, dodici anni fa, e congratulazioni al Mirror . Ma i complimenti non risparmiano la constatazione che in tempo di guerra, quando si sospende perfino quel diritto fondamentale che e' il diritto alla vita, pure la liberta' d'opinione rischia grosso.

Non ne va di mezzo solo la verita', come s'usa dire con tono solenne, ma piu' semplicemente il diritto a un parere. Infatti Arnett non e' stato licenziato perche' "ha sbagliato a dare un'intervista alla tv di Stato dell'Iraq", come dice una portavoce di Nbc . E' stato invece cacciato per quello che ha detto, cioe' che "i piani di guerra americani avevano valutato male la determinazione delle forze irachene". E' infatti lecito pensare che, se avesse difeso il Pentagono, la Casa Bianca non avrebbe chiesto la sua testa. Volete la controprova? Arnett non e' stato preso al Mirror perche' la sua voce continui a essere libera, ma perche' continui a dire proprio cio' che il tabloid, fieramente schierato contro la guerra e contro George Bush, vuole. E' la morale di Voltaire, ma a testa in giu': caro Arnett, non m'importa che tu abbia liberta' di parola, ma mi battero' alla morte affinche' tu dica quello che voglio io. Chi abbia ragione tra un tabloid di Londra e il presidente americano, poi, si vedra'. O meglio: chi oggi impone la sua opinione, giusta o sbagliata, ha piu' possibilita' di vincere la guerra domani e, dopodomani, di scriverne la storia. Percio' e' cosi' importante la propaganda, che gli inglesi definiscono appunto con termine guerresco: e' infatti the battle for hearts and minds , la battaglia per i cuori e le menti, per passioni e idee, cio' che conta nel fronte interno. Esempio: gli iracheni non si batterebbero cosi' se Saddam, con le buone o le cattive, non li avesse convinti a rischiare la vita per lui. Oppure: gli anglo-americani non combatterebbero con ardore se sapessero che, in patria, la gente non appoggia la guerra in Iraq. E per vincere la battaglia "dei cuori e delle menti" l'arma piu' potente e' la piu' ovvia: la menzogna. Prendiamo Alistair Campbell, che e' il capo della comunicazione di Downing Street, cioe' di un governo che ha fama d'essere tra i piu' abili al mondo nel maneggiare le informazioni a proprio vantaggio. Questo raffinato spin-doctor (cosi' sono chiamati coloro che danno un "effetto", come a una pallina da cricket, alle notizie) s'e' lamentato del vantaggio che Saddam gode nella propaganda: nelle democrazie, ha detto, "non possiamo dire bugie nello stesso modo in cui le dittature dicono bugie di continuo, sia su di loro che su di noi". Rileggiamo bene queste parole: che intende Campbell? Vuole dire che Blair non puo' mentire, mentre Saddam puo'? O che Blair puo' mentire solo meno di Saddam, percio' e' svantaggiato? E' un punto importante, vi sto che la conquista del porto di Umm Qasr fu annunciata nove volte, prima che davvero accadesse, e che l'accusa a Saddam di avere giustiziato prigionieri britannici, lanciata da Blair a Camp David, s'e' rivelata una congettura, non ancora provata. Queste notizie erano uscite per sbaglio, o intenzionalmente? La lingua dei governanti batte dove il dente duole. Ieri Jack Straw ha dedicato un intero discorso agli equilibri tra media e governo Blair, in tempo di guerra. Va bene che Straw parlava alla Newspaper Society, ma perche' il ministro degli Esteri si cura tanto dei giornalisti? Perche', ha detto, se durante la Grande Guerra ci fosse stata la tv che diffondeva 24 ore su 24 "la carneficina delle Fiandre" chissa' se i governi britannici "avrebbero potuto continuare lo sforzo bellico". In parole povere, troppa ver ita' in tv scoraggia il morale della nazione. Chiaro a chi si riferisca Straw: la Bbc , che in questa guerra tenta di tener fede alla sua fama di televisione piu' credibile al mondo, e' sospetta di agire, secondo le parole di John Reid, presidente del Labour e importante ministro, "da amica di Saddam": eccessiva imparzialita', pare, aiuta i dittatori. Il dibattito e' complicato dal fatto che Bush e Blair hanno cercato, a loro volta, di sfruttare i media: Washington e Londra hanno aggregato ( embedded ) i giornalisti nei reparti militari, se li sono portati dietro, e ora, dice il principale commentatore della Bbc , Andrew Marr, "sono scocciati perche' possono controllare dove vanno i reporter, ma non possono controllare quello che vedono". Non sara' piuttosto, come dice Rageh Omaar, volto della Bbc da Bagdad, che "le aspettative della coalizione d'una vittoria rapida e telegenica si sono rivelate troppo ambiziose"? Domanda retorica: se i governi sbagliano, anche in quel gioco senza rete che e' la guerra, non e' bene che la stampa li controlli? Non e' questo l'unico modo d'evitare un cinico gioco di ombre, di false e opposte verita'? La prova sta in quell'espressione inglese, wishful thinking , che indica la tendenza a scambiare le proprie aspirazioni per realta'. Ieri il Financial Times criticava l'amministrazione americana, piu' ideologica che pragmatica, e le tv, come la patriottica Fox News , che hanno assecondato le illusioni di Washington. Il tema era la scoperta, amara quanto imprevista, che gli iracheni non accolgono i soldati anglo-americani come liberatori, ma come invasori: "Dobbiamo cambiare questa psicologia", asseriva serioso un commentatore della Fox . E il giornale chiosa: non sarebbe meglio comprenderla, quella psicologia, prima di volerla cambiare? Parole sagge: blandizie e wishful thinking non reggono a lungo, infatti, se basta un Peter Arnett a strappare le illusioni.

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BOX DI ACCOMPAGNAMENTO ALL'ARTICOLO

Cronkite: "Giusto cacciarlo e' vittima della sua spocchia"

"E' arrivato a sostenere che il Pentagono avrebbe dovuto ascoltare le sue corrispondenze"

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Turley: "Il rai's ora puo' dire che Bush dirige la stampa"

"La Nbc lo ha licenziato perche' temeva una rivolta pubblica fomentata dalla rivale Fox"

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - La decisione di mandare via Arnett? "Un favore al regime di Saddam Hussein, che rinforzera' la convinzione nel mondo arabo che i media occidentali ricevono dall'alto l'ordine su come coprire la guerra". Parla Jonathan Turley, consulente legale della Nbc durante l' impeachment del presidente Bill Clinton.
"Non sono mai stato un ammiratore di Arnett - scrive Turley sul Los Angeles Times - per questo posso affermare serenamente che licenziandolo la Nbc ha consegnato un'incalcolabile vittoria propagandistica al regime iracheno. Che additera' Arnett come esempio della censura americana. Cio' rendera' ancora piu' arduo il compito dell'esercito Usa che deve vincere, oltre che le citta', anche i cuori degli iracheni".
Secondo Turley e' grave che un giornalista sia punito "per aver ripetuto tesi identiche a quelle espresse persino alle conferenze stampa del quartier generale in Qatar da generali inglesi e americani". La Nbc , dice, "temeva una rivolta pubblica, fomentata dalla rivale Fox News che gia' soffiava sul fuoco: il network e' stato cosi' costretto a scegliere: far fuori il suo reporter o cedere un'altra fetta di share a Rupert Murdoch". L'amor patrio, insomma, non c'entra. "I dirigenti della Nbc purtroppo sono consumati dall'esito di un'altra guerra che stanno perdendo, quella per gli ascolti con la Fox e altri concorrenti"

A.Far.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - "Un licenziamento giustificato". Cosi' il decano dei giornalisti tv Usa Walter Cronkite, mezzobusto della Cbs dal '62 all'81, definisce la revoca del contratto decretata dalla Nbc a Peter Arnett che in un'intervista alla tv di Stato irachena ha definito "un fallimento" la campagna militare americana, elogiando la resistenza dei sudditi di Saddam. "In base alla costituzione americana, dare aiuto e conforto a un nemico di guerra puo' configurarsi come reato di tradimento - scrive l'87enne Cronkite in un editoriale sul New York Times - per quanto ne so, nessuno finora ha suggerito che egli venga incriminato di tale offesa capitale. Pero' - aggiunge - credo che Arnett sia finito impiccato da una corda da lui stesso intessuta".
Secondo il giornalista "Arnett ha commesso un errore imperdonabile: ha infangato la propria reputazione, offeso il Paese e giustamente perso il posto, anche se continuera' a scrivere per il britannico Daily Mirror ". Secondo Cronkite, Arnett e' vittima della propria spocchia, acquisita dopo essere diventato una star tv. "E' stato un reporter molto stimato per l' Associated Press nel Vietnam al punto da vincere un premio Pulitzer. Ma la sua leggendaria modestia ne ha sofferto quando e' diventato il volto celebre della Cnn a Baghdad nel '91". La riprova? "Il fatto che nell'intervista incriminata Arnett e' arrivato a sostenere che, se avessero ascoltato con maggiore attenzione i suoi reportage , i generali del Pentagono avrebbero potuto conoscere e arginare in tempo la forza dell'esercito di Saddam e la devozione del popolo iracheno".

Alessandra Farkas

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