USA: Vedove coraggiose

Quattro donne rimaste vedove dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 hanno cambiato la storia insistendo per la creazione di una commissione d'inchiesta indipendente su quegli attacchi. Ora vogliono anche cambiare presidente, nonostante due di esse abbiano votato per Bush quattro anni fa
4 ottobre 2004
Alessandro Ursic
Fonte: Peace Reporter http://www.peacereporter.net


le jersey girls


Se vedi tuo marito morire in diretta, sepolto chissà dove tra le macerie delle Torri Gemelle, puoi cercare di superare lo shock in diversi modi. Puoi lasciare che lentamente, col passare del tempo, la tua vita riacquisti un senso. O puoi lottare per capire com’è possibile che sia accaduto quell’orrore, per impedire che succeda di nuovo, per chiarire cosa chi di dovere avrebbe potuto fare per evitarlo. Quattro vedove dell’11 settembre, quattro donne che fino a quel giorno erano cittadine qualunque, hanno scelto questa seconda strada. E sono diventate il simbolo di quelli che cercano giustizia, un’icona a cui è stato dato pure un soprannome: le Jersey Girls, come quelle di una canzone di Bruce Springsteen.

Sono tutte del New Jersey Kristen Breitweiser, 33 anni, Patty Casazza, 43, Lorie Van Auken, 49, e Mindy Kleinberg, 42. I loro mariti facevano parte di quell’esercito di pendolari che vive nel New Jersey ma lavora a New York. Non si conoscevano prima dell’11 settembre. Ma negli ultimi tre anni hanno scandagliato Internet, hanno letto migliaia di pagine di documenti, hanno messo sotto pressione i membri del Congresso. “Volevamo semplicemente sapere perché i nostri mariti erano stati uccisi”, ha spiegato Breitweiser. La loro costanza ha colpito e affascinato vari esponenti dell’establishment di Washington: “Senza di loro – ha ammesso Thomas Kean, che ha presieduto la Commissione indipendente sull’11 settembre – credo proprio che la nostra inchiesta non sarebbe mai cominciata. Ci hanno controllato, hanno seguito i nostri progressi, ci hanno suggerito alcune delle migliori domande che abbiamo mai fatto”.

La più combattiva di tutte, la leader del gruppo, è stata fin dall’inizio Kristen Breitweiser. Avendo studiato da avvocato, la più giovane delle Jersey Girls non si fa intimidire dalla platea che la ascolta esporre la propria tesi. Al Congresso si ricordano ancora di quella volta in cui la donna, intervenendo nel dibattito parlamentare, mostrò l’anello di matrimonio del marito trovato nella polvere di Ground Zero ancora attaccato al dito, l’unica parte del corpo recuperata.

Le altre donne si sono calate nel ruolo di lobbiste senza avere mai avuto esperienze simili. Van Auken è una grafica, Kleinberg è ragioniera. Ma il desiderio di fare qualcosa, di trovare un perché a quella tragedia, è stato troppo forte. “Mi sentivo responsabile – ammette Kleinberg –, mi sono chiesta ‘Ho fatto quello che avrei dovuto fare da cittadina, ho protestato a favore dei parenti delle vittime di Lockerbie (l’aereo esploso nei cieli della Scozia nel 1988, per il quale la Libia ha ammesso la responsabilità, nda)? Se vogliamo vivere in una democrazia, dobbiamo partecipare. E non volevo che i miei figli un giorno pensassero che il loro padre fosse morto invano”.

Le conclusioni della Commissione sull’11 settembre hanno confermato in qualche modo la tesi delle quattro vedove: quegli attentati sono stati possibili anche per le gravi mancanze dell’intelligence e dell’amministrazione, chi doveva proteggere gli Stati Uniti ha commesso degli errori. Magra consolazione in questo caso, quella di avere ragione. “Non ci sono vittorie, qui – afferma Casazza –. Una vittoria implica che ci sia un gioco. E questo non è un gioco”.

Anzi: vedere che i presupposti sui quali si reggeva la guerra in Iraq – le armi di distruzione di massa di Saddam, i suoi legami con Al Qaida – vengono demoliti da una rappresentanza bipartisan del Congresso può solo far aumentare l’amarezza: “La mattina dell’11 settembre ero ancora una persona innocente – dice Breitweiser –. Credevo che il mio governo mi stesse proteggendo, pensavo di essere un’azionista del Paese America, pensavo che le mie tasse venissero spese in maniera saggia. Dopo aver visto crollare il grattacielo nel quale c’era mio marito, non ho più la mia innocenza. Tre anni dopo, ho perso la speranza di non assistere a un altro 11 settembre”.

Durante la loro lotta per la verità, le Jersey Girls non hanno ricevuto solo elogi. La stampa conservatrice, e in particolare il Wall Street Journal, le ha criticate in maniera dura, definendole “rock star del lutto”. E questo è successo quando le quattro donne stavano bene attente a non colorare la loro battaglia di riflessi politici. Ora la situazione è cambiata: due settimane fa, le Jersey Girls hanno deciso di fare un passo più in là, annunciando che d’ora in avanti sosterranno attivamente John Kerry nella campagna elettorale per conquistare la Casa Bianca, perché convinte che il senatore del Masschussetts sia più in grado di proteggere gli Stati Uniti di quanto lo sia l’attuale presidente. Non è per niente un appoggio scontato, perché due di esse – Breitweiser e Casazza – nel 2000 hanno votato per Bush, e si sentono ancora repubblicane.

“Nei tre anni passati dall’11 settembre, non avrei mai pensato di essere qui oggi, delusa dalla persona per la quale ho votato come presidente” – ha detto Breitweiser durante la conferenza stampa indetta per annunciare la loro scelta. “Non è stata una decisione facile – ha aggiunto Monica Gabrielle, un’altra vedova di una delle vittime dell’attacco al World Trade Center recentemente aggregatasi al gruppo –. Ci abbiamo riflettuto molto, siamo sempre state molto attente a non essere viste come di parte. Abbiamo sempre tentato di scoprire la verità, e il presidente Bush ha cercato di ostacolarci in mille modi. Se Bush fosse un democratico, voterei per l’altro partito”.

La molla che ha fatto scattare questo cambiamento, ammette Breitweiser, è stata la convention repubblicana di fine agosto, svoltasi a New York per ricordare agli elettori la priorità della guerra al terrorismo, iniziata proprio con gli attacchi dell’11 settembre. “Guardando la convention in tv non ero triste: avevo paura. Ho visto discorsi arrabbiati e bellicosi, e ho capito che l’amministrazione Bush è felice se c’è la guerra. Questa mentalità mi fa paura, non voglio che mia figlia debba vivere in guerra per tutta la vita. Non voglio che mia figlia sia uccisa tra vent’anni mentre vive o cammina in una grande città, in risposta alle nostre azioni in Iraq”.

E’ questo sentimento che ha fatto schierare le Jersey Girls con Kerry, esponendo ancor più il gruppo di vedove alle critiche dei media che parteggiano per Bush. Le ragazze del New Jersey lo sanno. Ma ormai hanno scelto, e si sono buttate nella mischia elettorale con la stessa tenacia con cui hanno tallonato i politici per istituire la Commissione. Tengono conferenze, parlano con gli elettori, viaggiano di Stato in Stato. Per Breitweiser è stato più difficile delle altre: da quando è morto suo marito non era più salita su un aereo. Ora è la Jersey Girl più impegnata nella campagna.


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