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«Ma l’integrazione non si valuta con un test»

Speranze, paura e preoccupazione fra i migranti che sperano nella cittadinanza italiana.. Restano migliaia le pratiche inevase: nel 2004 sono state solo 12 mila le persone che l’hanno ottenuta
17 settembre 2006
S. G.
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

«E come imparo l’italiano ora?». Olga è giovane, viene dalla Moldova e lavora come collaboratrice domestica. E’ in Italia da 4 anni, vive in provincia di Roma ma ha lavoro in varie case sparse per la capitale. Trascorre buona parte della sua giornata in autobus fra un lavoro e l’altro, la sera, con il marito tenta di capire qualcosa guardando la televisione. Il suo vocabolario di italiano è ristretto ai termini legati al suo lavoro: “lavatrice” “polvere” “Riocasamia”. Ha imparato a sue spese a conoscere alcune trappole della burocrazia. Ha capito bene che con la cittadinanza per lei potrebbero cambiare molte cose, è tentata ma ne ha anche paura, teme di non essere all’altezza, forse a volte accarezza con il marito il sogno di tornare a casa. Olga comunica molto con gli sms, in una traslitterazione dell’italiano comprensibilissima per i nostri teen agers ma che farebbe tremare eventuali esaminatori, così pieni di simboli e consonanti incongruenti. Islam, pachistano, è più fortunato. Lavora in un bar, al banco. E’ perennemente sorridente e pronto alla battuta: «L’italiano l’ho imparato servendo caffè e cappuccini. C’è chi mi fa domande, chi scherza, chi discute con i miei padroni italiani. Ora conosco il calcio e anche qualcosa di politica. Certo che del Pakistan, quì si sa poco. E qualcuno se sente che mi chiamo Islam mi guarda male». Ci fa una risata sopra, poi continua: «Io ci voglio diventare cittadino italiano ma resterò sempre uno straniero. Mi guarderanno la pelle e se giro la notte mi chiederanno i documenti. Comunque scrivilo: io non voglio due mogli». Il punto di vista di Paula, giornalista cilena che è in Italia da quando era bambina la riflessione è articolata: «La frequentazione di un corso di italiano deve essere un vincolo importante. Anche chi ha i figli nati in Italia che parlano benissimo italiano non possono essere utilizzati come mediatori. Sono gli adulti che debbono capire l’importanza di rendersi indipendenti attraverso una conoscenza della lingua. Non ritengo invece importante un vincolo come l’esame e penso che l’apprendimento della lingua vada separato dalla conoscenza della cultura. Questa può avvenire in mille modi e più che agli esami ritengo più importante pensare a luoghi di aggregazione in cui si possano socializzare le diverse appartenenze e possano avvenire scambi che coinvolgano anche gli italiani». Hamadi, tunisino, responsabile romano immigrazione per il Prc è preoccupato soprattutto per il fatto che la concessione della cittadinanza venga ancorata ad un reddito: «E’ l’eredità culturale di un impianto che nasce da diversi governi di orientamento politico opposto ed è ingiusta. Tutte le storie sulla lingua e la cultura sono solo un pretesto per accontentare i moderati: in America basta che sai lavorare, ci sono ancora italiani con la cittadinanza americana che parlano solo in italiano».
Ma in attesa che l’iter parlamentare si svolga, restano migliaia di pratiche inevase: nel 2004 sono state solo 12 mila le persone che hanno ottenuto la cittadinanza, in gran parte mediante matrimonio. Chi ha rispettato i tempi della legge ancora in voga, che risale al 1992 - e che richiede un tempo non inferiore ai 10 anni più le formalità burocratiche - è spesso rovinato dalla discrezionalità degli organi preposti all’esame delle domande. Le loro pratiche portano la sigla AK seguita da un numero progressivo. Molti rinunciano e si arrendono, altri tentano di capirci qualcosa, altri si disperano. AK 102364 è un cittadino dell’africa sub sahariana, si è laureato in medicina in una città del nord. Un professionista che ogni tanto torna nel suo paese. Si è sposato ma ha trovato ostacoli per il ricongiungimento familiare, la sua domanda per la cittadinanza, presentata 14 anni è ferma, perché AK102364 risulta essere indagato per reati commessi in italia…. 9 mesi prima di esserci entrato. Probabilmente un caso di omonimia. La moglie stanca di aspettarlo vuole il divorzio, e la sua vita, per l’ennesimo errore burocratico, è rovinata. Riuscirà la nuova legge a sanare anche gli errori del passato?

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