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Nello Stato teocratico dell'Iran la lingua curda è proibita: Mahsa è il suo nome imposto!

Jina Amini. Un anno dopo

Oggi ricordiamo Jina Amini, la madre di questa rivoluzione, ma ricordiamo anche tutte le altre donne e uomini che sono stati annientati o carcerati prima e dopo la morte di Jina Amini, tutte le donne che ancora oggi rischiano la loro vita per ottenere la libertà e la giustizia.
16 settembre 2023
Gulala Salih (Presidente UDIK - Unione donne italiane e kurde)

Unione Donne Italiane e Kurde Il 16 settembre dello scorso anno, esattamente come oggi, Jina (Mahsa) Amini è partita da Sardash per andare a Tehran, esercitando il semplice diritto di ogni persona di spostarsi dove, come e quando desidera.

La giovane ragazza, Jina, non sapeva che il sistema dittatoriale l'avrebbe sradicata come un fiore e l'avrebbe uccisa a causa di una ciocca di capelli ribelli usciti fuori il foulard, non sapeva che il destino di questo viaggio l'avrebbe trasformata in una scintilla per accendere una rivoluzione, che diventava la voce, la forza e il coraggio per i popoli in Iran, uomini e donne.

Tutti i politici, i giornalisti, gli attivisti per i diritti e la gente comune hanno parlato e ancora oggi parlano della ragazza kurda, Mahsa, uccisa in Iran, ma non hanno ancora imparato a chiamarla con il suo vero nome, come sarebbe giusto, come avrebbe voluto lei.

Continuano a chiamarla ancora con il nome che le ha dato il regime sanguinario dall'Iran, a chiamarla con il nome che le ha dato il governo: Mahsa. La manipolazione delle parole è sempre il primo passo verso la negazione dei diritti. Non si può continuare a negarle il diritto di chiamarsi Jina anche dopo la sua morte.

Oggi ricordiamo Jina Amini, la madre di questa rivoluzione, ma ricordiamo anche tutte le altre donne e uomini che sono stati annientati o carcerati prima e dopo la morte di Jina Amini, tutte le donne che ancora oggi rischiano la loro vita per ottenere la libertà e la giustizia che non ha avuto Jina come nessuna donna in Iran, e non le avrà finché esiste questo dittatore al governo del Paese.

Madre

Madre mia, sento il tuo pianto, sento il tuo dolore,

sento la voce delle sorelle del mondo,

sento il grido delle ribellioni nella mia terra,

sento il grido della libertà,

sento gridare il mio nome e la mia origine.

Madre mia, accarezzami come una volta,

accarezza la mia tomba, come accarezzavi i miei capelli,

che hanno iniziato a ribellarsi prima di me, prima di tutte.

Madre mia, abbracciamoci ancora una volta.

Oggi mi sento più libera che mai,

abbracciami madre mia,

tu sei mia madre e io sono la madre di tutte le donne,

sono la madre della rivoluzione di Jin Jiyan Azadi.


Gulala Salih

Note: Unione Donne Italiane e Kurde: https://udikitalia.wordpress.com

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