A Kiev un crimine di guerra

Oggi è il 6 agosto. Esattamente ottant’anni fa, nel 1945, gli Stati Uniti d’America sganciarono la bomba atomica che ridusse in macerie la città giapponese di Hiroshima e in polvere gran parte dei suoi abitanti.
6 agosto 2025
Mauro Carlo Zanella

Il palazzo colpito e, davanti, gli scivoli.

Evidentemente non ancora soddisfatto dell’operazione, il presidente statunitense Truman ordinò il lancio di un’altra bomba atomica che il 9 agosto distrusse la città di Nagasaki.

La memoria è importante: lo scorso anno il sindaco di Nagasaki fece sapere all’ambasciatore israeliano che per il rispetto dovuto alle vittime di Gaza la sua partecipazione alla commemorazione non era gradita.

Ovviamente gli ambasciatori di gran parte dei Paesi occidentali, complici del genocidio in corso, condannarono le inappropriate e sconsiderate parole del sindaco e disertarono la celebrazione, in primis quello statunitense e a seguire gli scagnozzi dei Paesi vassalli.

“Chi salva una vita salva il mondo intero”: è la parafrasi di un detto contenuto nella Mishnà ebraica.

Quanto vale dunque una vita umana? Vale il mondo intero.

La vita di un bambino quanti mondi vale? Bisognerebbe chiederlo alla mamma e al papà, se hanno avuto la fortuna o la sfortuna di sopravvivere a un attacco sferrato da chissà dove e da chissà chi, davanti a un monitor che aliena e disumanizza l’omicidio o la strage.

Dico questo perché dati alla mano volevo scrivere che Kiev non è sottoposta a massicci attacchi, né tantomeno a bombardamenti a tappeto, come affermato da diversi media. Da un punto di vista meramente razionale, descrivere le grandi città ucraine come Leopoli, Kiev e Odessa come città semidistrutte da massicci attacchi russi, per non parlare di veri e propri bombardamenti a tappeto, sarebbe una menzogna bella e buona.

Potrebbe essere anche un errore fatale, perché giustificherebbe la rappresaglia, renderebbe impossibili o ancora più difficili le trattative e infine favorirebbe la folle decisione di un riarmo europeo senza precedenti, giustificato da un nemico in realtà inesistente.

Razionalmente ho ragione: i 31 morti del 31 luglio non autorizzano a parlare di massicci attacchi su Kiev, però la razionalità è una cosa, l’emotività un’altra. L’aridità dei numeri non può sostituire volti, storie, vite stroncate per sempre.

Prima di scrivere il mio articolo ho voluto dunque andare sul luogo della strage del 31 luglio 2025. Yurii Sheliazenko mi ha dato il nome del distretto e l’indirizzo dell’ufficio che assiste le vittime dell’attacco che sono sopravvissute. Vittime perché hanno perso i loro cari, perché sono più o meno gravemente ferite, oppure perché hanno perso tutto, compresa la casa danneggiata o devastata e la macchina incenerita.

Stiamo parlando quindi di un migliaio di persone di un quartiere popolare dell’estrema periferia dell’immensa Kiev.

Nel centro di assistenza vedo soldati e poliziotti e allora preferisco chiedere alla ragazza di un bar. Lei gentilissima, come tutte le persone che ho incontrato finora, chiede agli avventori e così su Google Maps del mio cellulare ora c’è un indirizzo preciso… a “soli” 8 kilometri.

“Che saranno mai?” penso tra me e me e mi incammino. Poi saggiamente, dopo un’ora, trovo un tram che va nella mia stessa direzione e così arrivo nel luogo colpito dal missile.

Vedo grandi palazzoni di edilizia popolare, esattamente come in tutte le periferie del mondo. Qui i segni della guerra sono evidentissimi: vetri rotti, tetti parzialmente scoperchiati, macchine carbonizzate e non ancora rimosse.

Infine il crimine di guerra, l’orrore, l’inferno: un palazzone interamente sventrato, non danneggiato da un drone, ma colpito da un missile russo che ha ucciso trentuno persone, tra cui sei bambini.

Altalene e pelouche.

E’ stato straziante vedere lo scivolo semi-divelto del modesto parco giochi destinato ai bambini e alle bambine: due piccoli scivoli, due altalene. Mani pietose hanno sistemato pupazzetti e giocattolini trovati tra le macerie e hanno posato lì vicino dei lumini. Chi passa ha lo sguardo commosso e attonito di un sopravvissuto.

Mi siedo e provo a scrivere e sul telefonino, ma iniziano a cadermi le lacrime… Sono un maestro elementare e mi sento inorridito: lì sono morti sei bambini, insieme ad altre 25 persone e i feriti sono centinaia.

Mi sento anche in colpa: come ho potuto pensare “solo 31 morti”? Le aride cifre mi davano ragione, ma ogni vita è un mondo che muore, una stella che si spegne…

L’orrore senza fine del genocidio di Gaza seppellisce la nostra umanità. Davanti alle migliaia di bambini uccisi a Gaza, tra morti accertate e corpicini sepolti per sempre sotto le macerie, cosa saranno mai, avevo inizialmente pensato, i sei bambini uccisi il 31 luglio a Kiev?

Quelli di Gaza sono numeri così enormi che il nostro cervello non riesce neppure a elaborarli, eppure ogni vita è sacra. Lo dico da ateo: è il mondo intero che muore.

Attenzione: chi di qua o di là dal Dnieper fa ora strage di qualche decina di civili, ragiona come chi a Gaza ne ha uccisi oltre centomila e come chi ottant’anni fa ordinò di sganciare quelle due maledette bombe atomiche. Sono criminali assassini e governano la grande parte dei Paesi occidentali in nome nostro.

Dobbiamo liberarcene al più presto con la nonviolenza, che è azione e coraggio e non passività e viltà. E soprattutto “senza perdere la tenerezza”.

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