Ucraina, la guerra erode la democrazia, la libertà e i diritti dei lavoratori
Al di là delle chiacchiere e delle belle parole, sia in Ucraina che in Italia, il nostro lavoro gode di scarsa considerazione sociale e la causa è facile da trovare: in un sistema come il nostro il successo economico è il primo e il principale metro di giudizio delle persone: “Un mafioso conta più di un bravo insegnante” ho detto a un certo punto.
Alcune informazioni mi hanno stupito: le donne vanno ancora in pensione a sessant’anni, invece che ai nostri sessantasette. In Ucraina non esistono classi pollaio: il numero massimo di alunni per classe è venti e, immagino nei villaggi rurali, può scendere fino a cinque alunni.
Mi hanno chiesto se da noi è possibile un anno sabbatico retribuito, un miraggio anche di molte mobilitazioni in Italia.
A proposito di salario: io nella scuola primaria, dopo 39 anni di servizio, sono arrivato a prendere circa duemila euro. Qui sembra un’enormità, ma quando ho spiegato che ho speso circa centomila euro per comprare un appartamento in un quartiere popolare della periferia di Roma e che devo pagare circa 400 euro mensili di mutuo…tutto si è ridimensionato.
In Ucraina il salario medio di un insegnante non raggiunge i trecento euro. Una famiglia monoreddito sarebbe alla fame ed essendo un lavoro anche qui prettamente femminile la classe sociale di appartenenza dipende dal lavoro del marito: se il marito ha perso il lavoro, se la famiglia ha figli non economicamente autosufficienti, un affitto o un mutuo da pagare, si finisce sotto la soglia della povertà. Insomma, gli insegnanti ucraini vivacchiano o sopravvivono in una società in cui una nutrita minoranza si sta addirittura arricchendo grazie all’economia di guerra.
Per il grande amore che tutti nutrono per l’Italia, un vero dispiacere è che un viaggio da noi risulta proibitivo, a meno di non essere ospitati da parenti che lavorano qui.
“Come vacanze ci possiamo permettere quindici giorni in tenda in Moldavia o in Romania” ha detto una collega. Da noi non va poi tanto meglio, ho pensato.
Il vero problema è la guerra: la legge marziale taglia le gambe al sindacato, che non può organizzare proteste con manifestazione di massa, né tanto meno scioperare.
Il risultato è che l’ultimo aumento di stipendio risale a prima della guerra e che da allora l’inflazione ha eroso in maniera sensibile il potere di acquisto dei salari, in un Paese in cui affluiscono “generose” risorse economiche da tutto l’Occidente. Peccato che finiscano in armi e più in generale in spese militari, arricchendo chi fabbrica armi, chi le vende e chi viene corrotto per comprarle.
Alla fine ho chiesto se potevo fare una domanda scomoda e me l’hanno accordato: “Cosa potete dirmi sulla strage del 2 maggio del 2014 alla Casa del Sindacato?”.
Una delle sindacaliste ha risposto in russo, dicendo che gli uffici del sindacato erano chiusi e che non vi sono quindi testimoni diretti dei fatti tra chi lavorava lì.
Non ho raccolto quindi altre notizie oltre a ciò che già sapevo e che ho raccontato in un articolo del gennaio scorso, quando ho visitato Odessa per la prima volta.
Ho domandato se la sede sindacale è ancora utilizzata e ho scoperto che in realtà due ali laterali (il palazzo ha la forma di una C) non sono state distrutte dal fuoco e che tuttora ospitano gli uffici delle diverse categorie dei lavoratori, compresa la Federazione del Sindacato degli Insegnanti. Ho chiesto di poterla visitare e ci siamo dati appuntamento per il 28 agosto.
Rispetto a gennaio trovo una novità che considero cinicamente provocatoria: una serie di carri armati è schierata su Campo Kulikovo con i cannoni che puntano sulla sede sindacale e la scritta indipendenza!
Mi sembra un monito che esprime minaccia e disprezzo per la memoria di ciò che è accaduto qui; ben altro significato avrebbe avuto disporre i carri armati sul lato opposto della piazza, come a volerla difendere.
Del resto una minoranza aggressiva e violenta di ultra destra, con organizzazioni e partitini finanziati dai servizi segreti di una potenza straniera attraverso un’agenzia tristemente nota nel nostro Paese ha rivendicato senza mezzi termini la strage. Il sito banderista di Pravyj Sektor, Settore Destro, descrisse i fatti come “una pagina luminosa della nostra Storia nazionale”, mentre la parlamentare Svoboda Iryna Farion scrisse: “Lasciate che i diavoli brucino all’Inferno. I tifosi del calcio sono i ribelli migliori. Bravi!” Costoro sono quelli che condizionano il presidente, il governo e le amministrazioni locali. A Odessa sono arrivati a imporre la rimozione della statua di Caterina la Grande, fondatrice della città.
Una delle dirigenti del Sindacato di Odessa, di cui ometto il nome, mi ha accolto nel suo ufficio, che ho raggiunto non senza difficoltà in questo labirinto di corridoi e stanze. Abbiamo parlato di un sindacato a cui hanno legato le mani e che fa il possibile e l’impossibile per difendere i diritti dei lavoratori.
Mi ha confidato che non ha nessun rimpianto per l’era sovietica, che ha conosciuto e vissuto. L’indipendenza e soprattutto la democrazia e la libertà sono state conquiste importanti ed irrinunciabili, ma tutto è irrimediabilmente compromesso con la guerra e la legge marziale.
Ho chiesto notizie del sindacalista Gregory Osovyi, ex Segretario della FPU, la Confederazione Sindacale Ucraina forte di tre milioni di iscritti, accusato in modo assolutamente pretestuoso di associazione a delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio, per la vendita di proprietà del sindacato, ma in realtà per la ferma opposizione manifestata fin dal 2019, quando il governo approvò una riforma del lavoro iperliberista scritta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Ora Gregory è libero, ma ha dovuto lasciare il suo posto a un sindacalista più moderato.
Ho visitato con la guida della dirigente la grande sede del sindacato, che sta provvedendo a proprie spese a ristrutturarla e a renderla via via agibile, anche per poter affittare spazi e ricavare nuove risorse per i lavori.
Ho visto l’androne di ingresso, i primi piani e le ali laterali ristrutturate, già utilizzate o da affittare ad uffici, poi mi ha aperto una porta che nasconde tutto l’orrore di quel giorno: muri anneriti, finestre divelte e vetri lungo le scale. Tutto è rimasto come il 2 maggio del 2014, quando la cosmopolita Odessa capitolò e iniziò la lunga guerra tuttora in corso.
La lenta ma risoluta ristrutturazione di questo luogo della memoria da parte del sindacato fa onore alle lavoratrici e ai lavoratori che non temono di mostrarsi bilingue d sono uniti nella difesa dei propri diritti irrinunciabili e nell’aspirazione a una pace giusta e vera.
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