Salvare gli uomini, abbandonare Pokrovsk

La pressione militare russo su Pokrovsk è ormai schiacciante: decine di scontri al giorno, bombardamenti continui, linee di rifornimento quasi interrotte. I droni russi massacrano sistematicamente chi porta rifornimenti ai soldati ucraini. Le arterie chiave che collegano Pokrovsk alla logistica sono delle "killing zone". Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha dichiarato che le forze russe nel settore di Pokrovsk superano le forze ucraine con un rapporto di circa 8 a 1.
Eppure, da Kiev arriva un solo messaggio: resistere.
Davanti a questo scenario, la domanda diventa ineludibile: dobbiamo dire qualcosa come pacifisti o aspettiamo l'epilogo?
La retorica ufficiale parla di “eroi”. Ma possiamo davvero chiamarli così, quando vengono mandati a combattere sapendo che la battaglia è ormai già persa? Tutti gli esperti militari concordano: Pokrovsk è destinata a cadere, e la sua difesa è destinata a trasformarsi in un sacrificio inutile.
Non solo: sarà un sacrificio controproducente. Alla fine di questa storia l'esercito ucraino avrà meno uomini. Fra catturati, mutilati, uccisi e feriti il bilancio sarà decisamente negativo oltre che terribilmente doloroso. E tutti coloro che ragionano potranno accorgersi quanto la stupidità militare aiuti il "nemico" ordinando la ritirata troppo tardi.
C'è una straordinaria similitudine fra questo insensato sacrificio a Pokrovsk e gli inutili sacrifici dal generale Cadorna, ossessionato dall’onore militare durante la prima guerra mondiale. Fra Cadorna e Zelensky vi è una similitudine su cui abbiamo già detto qualcosa. E forse dovremo ritornarci.
Di fronte a questa assurda situazione a Pokrovsk, i pacifisti non dovrebbero assistere in silenzio.
Occorre dire “salvare gli uomini, abbandonare Pokrovsk”. Occorre schierarsi. Il che non significa schierarsi con la Russia ma significa affermare il diritto alla salvezza dei soldati ucraini che hanno tentato - in questi giorni - di rompere disperatamente il silenzio, facendo giungere le informazioni su una una situazione irrecuperabile, celata dai vertici politico-militari di Kiev per ottuse ragioni di propaganda e di onore militare.
Quei soldati non vogliono morire inutilmente e noi dobbiamo essere la loro voce. Proprio perché siamo pacifisti.
Nel linguaggio bellico, “resistere fino all’ultimo” suona nobile. Ma dietro le parole si nasconde spesso una realtà disumana: persone mandate a morire per difendere una città che non può più essere salvata. Continuare a chiamarli eroi significa legittimare il sacrificio come destino.
Tacere oggi su Pokrovsk per timore di essere fraintesi significa rinunciare a dire la verità.
Pokrovsk non è solo una battaglia: è un bivio morale.
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