Palestina

Lettera da Gerusalemme

Gerusalemme... l’ombelico del mondo!

Questa lettera è stata scritta pochi giorni prima di Natale 2008, parla già della situazione che poi è sfociata in questa assurda guerra. È indirizzata ad amici e simpatizzanti dei Missionari Comboniani
9 gennaio 2009

 


"La nostra situazione è segnata dal conflitto e dalla violenza, dall’insicurezza e dalla paura, dall’occupazione militare, dal muro di separazione, da città-prigioni, da umiliazioni. E noi diciamo che questo è durato troppo a lungo!"
Michael Sabbat, Patriarca latino emerito di Gerusalemme (Natale 2004)

 

Carissimo/a amico/a!! Jambo!
SHALOM, SALAAM, PACE, AMANI, PEACE, PAX, PAIX, PAZ, VREDE, PACO, FRIEDE...

Gerusalemme, il muro del pianto

Come stai? Spero tutto bene per te e per la tua famiglia. Sono felice di scriverti dopo soltanto 4 mesi dall’ultima mia lettera da Korogocho. Probabilmente è un record per me visto che quando ero a Koch non riuscivo quasi mai a scrivere due lettere all’anno. Ma stavolta sono qui in un altro continente e in un altro mondo o per meglio dire altri mondi. Infatti sono qui a Gerusalemme e ti devo confessare che tutti i giorni quando vado in città, specialmente nella parte vecchia mi sento come avvolto, affascinato e attratto da un turbinio di gente, culture, rumori, lingue, religioni, colori, vestiti e comportamenti diversi. Insomma una confusione sana e piena di vita. E poi io che vengo anche da Korogocho che vuol dire caos, confusione mi ci trovo a casa. Ci sono già abituato alle grida, alla confusione, al mormorio continuo, al muoversi affrettato di tanta gente su è giù per i suq (stradine) della città vecchia.

Ora vivo qui in Israele. Precisamente a Betania quasi 2 km dalla città, nella Gerusalemme Est. Questa parte della città e così pure tutti i territori occupati della Palestina sono ormai più che noti alle cronache italiane e internazionali per le divisioni, guerriglia, per i tanti check points della polizia ed esercito, per il muro che corre per tantissimi kilometri a Gerusalemme e così pure ai confini con i territori dell’autonomia palestinese.

Vivo nella casa delle suore comboniane a 50 metri da uno dei centinaia e centinaia di posti di blocco permanenti dell’esercito israeliano. Ogni giorno passo il check point e così fanno tanti palestinesi adulti, giovani e bambini. A volte i soldati forzatamente rifiutano il passaggio a chi non vedono di buon occhio o che non hanno il permesso per entrare a Gerusalemme. Ma a volte rifiutano anche a bambini che si recano o tornano da scuola dall’altra parte del muro costringendoli a fare un giro di 13 km con il bus. Il tutto creando ancora più frustrazione, divisione e odio reciproco. E così in tantissimi altri posti di blocco nel paese dove la forza delle armi e dell’autorità mette in scena il dramma del sopruso, dell’oppressione e della vergogna. Molto spesso non c’è rispetto per la persona, per la gente, per gli anziani e i bambini. A volte nemmeno per noi stranieri... ma questo non importa perché sono convinto che anche chi viene come pellegrino o di passaggio in questo paese deve vedere, ascoltare, sperimentare, soffrire ciò che molto spesso in silenzio gente innocente deve subire tutti i giorni. Una via crucis in silenzio quotidianamente! Poi cercherò di spiegarvi meglio anche se ritengo che sia difficile in poche pagine scrivere di ciò che questi due popoli stanno vivendo da decenni.

Vivo a Betania che qui sulle mappe d’Israele e Palestina viene conosciuta come Al Azariya ed è parte dei territori dell’autonomia palestinese. Al di là del muro c’è Gerusalemme, cioè Israele.

Ora Betania ha perso il suo bellissimo nome che per noi cristiani ricorda degli appuntamenti stupendi di Gesù. Beit Anania o Beit Anawim, che vuol dire Casa di Anania o Casa dei Poveri. E’ il villaggio dell’amicizia. La casa dell’amicizia con Lazzaro, Maria e Marta. Il luogo della “risurrezione di Lazzaro” dopo la sua morte. Dell’incontro di Gesù con Marta e Maria dove il Maestro faceva notare a Marta che sua sorella aveva scelto la parte migliore! E ancora la guarigione di Simone il lebbroso!

Sono arrivato nella casa delle comboniane in ottobre e proprio in quei primi giorni nella liturgia eucaristica la Parola di Dio ci ricordava proprio il paese di Betania. L’ho sentito come una Parola di accoglienza qui. Proprio dal Signore nel luogo dove anche Lui era stato accolto da Marta e Maria. Tanta storia evangelica in questa terra dove viviamo con una decina di suore comboniane che sono davvero straordinarie per la loro accoglienza ma anche per la loro esperienza di vita missionaria e di preghiera. Sono certo di aver fatto la scelta giusta per questo anno sabbatico ad essere qui in Terra Santa e a maggior ragione con le nostre consorelle comboniane, che già mi testimoniano tutti i giorni il loro amore per Gesù e la missione. Loro sono qui come comunità comboniana da oltre 60 anni.

Cosa faccio io in questo tempo che mi è dato? Seguo dei corsi allo Studio Biblico Francescano sulla via Dolorosa a Gerusalemme. In questo semestre ho frequentato diversi corsi interessanti e partecipato alle escursioni archeologiche in Gerusalemme e in tutta Israele. Sono stato anche al Sinai in Egitto a ripercorrere le orme di Mosè e il Popolo d’Israele. Esperienza e studio molto profonda che mi aiutano ad apprezzare le nostre radici di fede e ad arricchirmi culturalmente e spiritualmente in un mondo così variegato e multireligioso. Essere qui nella Terra di Gesù e sulle sue orme mi fa gioire e mi fa andare al motivo del mio essere profondamente cristiano. Ho visitato parecchio in questi due mesi e mezzo insieme ad altri studenti di tanti paesi. Anche loro sacerdoti, suore o laici che stanno facendo approfondimenti per licenza o laurea in bibbia o tempi sabbatici. Più avanti magari scriverò qualcosa di più relativo a questo tempo di Grazia vissuto qui per crescere nell’amore e nella conoscenza della nostra bussola quotidiana: la Bibbia!

 

Gino ad-Dio! Per un compagno che "parte"

Verso la fine del mese di Novembre ho ricevuto una notizia improvvisa e triste: Gino, il volontario che viveva con noi a Korogocho da 15 anni era morto in un ospedale vicino a Brescia. L’ultima volta che lo avevo sentito per telefono di passaggio per l’Italia mi diceva che stava facendo le cure mediche ma che c’era un problema ai polmoni: un cancro. Credo che tu sappia ormai che Gino ci ha lasciati proprio alla fine del mese di novembre. Era tornato improvvisamente da Korogocho qualche settimana dopo di me. Non sapeva nessuno di questa malattia scoperta proprio qualche giorno dopo la mia partenza per l’Italia a metà settembre. E’ stata una notizia così improvvisa e fulminante che ci ha colpiti tutti. Non mi sarei mai aspettato che in poco tempo, circa 2 mesi, Gino se ne andasse così in punta di piedi e velocemente. Al telefono mi diceva che era contento dei suoi 40 anni in Africa che aveva celebrato recentemente e che era pronto per qualsiasi cosa il Signore avesse chiesto. Non volevo credere a quelle parole sperando che comunque i medici avrebbero trovato qualche soluzione per andare avanti e curarlo. E invece Gino ha seguito la sorte di molti della nostra gente di Korogocho. Stroncato da un cancro che sicuramente provocato dai fumi cancerogeni dalla nostra discarica di Dandora che continua ad uccidere con licenza perché da più di 30 anni sia il comune come il governo non sono mai stati seri nelle promesse che hanno dato alla popolazione. E la nostra gente continua a morire. Ho lottato molto in tutti questi anni insieme a coloro che avevano il coraggio di esporsi a Korogocho perché questa discarica fosse trasferita e con essa garantendo i diritti ad un altro lavoro a chi su questa discarica ci vive e sopravvive. Il lavoro della disperazione, un lavoro all’inferno. Mi auguro ora che padre Paolo, John e fratel James e tutta la comunità continui con forza a dimostrare, chiedere, denunciare facendo proposte e passi concreti per una vita migliore per circa un milione di persone che vivono intorno a questa discarica.

 

Grazie Gino della tua testimonianza e del tuo amore per la gente e per l’Africa. Se tu non hai ancora visto la lettera che come comunità abbiamo scritto il giorno della sua morte la metto qui di seguito:

 

Carissimo Gino! Jambo!
Quanta strada hai percorso! Quanti anni, lavoro, sudore e sofferenze hai speso per la gente di Korogocho, per la gente del Congo, del Rwanda e del Burundi!! Hai amato l’Africa e gli Africani come volevi tu fino in fondo senza risparmiarti. Nel tuo modo e nel tuo stile ci hai lasciato... in silenzio, senza tanto rumore e parole, improvvisamente in due mesi di malattia. Tu, un’altra vittima del mostro della discarica di Dandora che uccide silenziosamente ma costantemente la nostra gente, i poveri che hai cercato di aiutare per tutta la tua vita.

 

Il mostro del cancro che è entrato dentro di te e ti consumava senza saperlo. Nessuno se l’aspettava. Qui a Korogocho la gente è rimasta allibita, di stucco….si chiede perché!! Ma sa anche che la lista è lunga…. Là nella Casa del Padre troverai tanta gente di Korogocho che conosci molto bene e con la quale hai condiviso tante storie, chiacchierate e lotte: Moses Kiuna, Jeremia, Morris Onyango, Joseph Njuguna, Loggy Dunai, Sarah, Zakaria e tanti tanti altri che ti hanno preceduto. Saranno loro ora ad accoglierti insieme a Gesù! Sono loro i poveri che ci convertono. E questo è stata una scoperta per la tua vita come per la nostra in questi anni di servizio a Dio e alla gente.

Vogliamo salutarti e abbracciarti forte fraternamente per un’ultima volta per questo viaggio verso la Vita Eterna. Il più importante, il più liberante ma che hai vissuto intensamente per tutta la vita per prepararti e viverlo in profondità. E’ arrivato il tempo... il Padre ti chiama!! Va'... ma non dimenticarti di noi qui a Korogocho e in altre parti dell’Africa dove la lotta per la vita è un’azione quotidiana, sofferenza e oppressione ma anche danza per la Vita, entusiasmo, gioia, accoglienza!! Gino AD–DIO!! Non è un addio definitivo ma un’offerta della tua vita a Lui!! A Dio!! Grazie di cuore da tutti noi!! Non ti dimenticheremo. Non ti dimenticheranno...

Vogliamo dedicarti una poesia di Turoldo che conoscevi bene e amavi molto leggere i suoi libri, le sue poesie. Quando pregavamo insieme con i salmi riscritti da lui in forma poetica tutte le sere, nella profondità delle buie notti di Korogocho si entrava nell’intensità della giornata e dei volti incontrati. E si condivideva questo ultimo atto della giornata che era sempre un grande dono vissuto a Korogocho. Una trasfigurazione di Dio nella storia umana che misteriosamente diventava Divina!!

"Amore, che mi hai eletto fin dal primo giorno
che le tue mani plasmarono il corpo mio,
Amore, celato nell'umana carne,
ora simile a me interamente sei,
Amore, ecco, io m'arrendo:
sarò il tuo possesso eterno".
(Turoldo)

Asante sana Gino!! Mungu akubariki!! Grazie mille Gino!! Dio ti benedica!! Prega per noi...
P. Daniele Moschetti, P. Paolo Latorre, P. John Webootsa, Fr. James Iriga Gitonga
Comunità Comboniana e Cristiana di St. John the Baptist - Korogocho

 

 

Da Korogocho a Gerusalemme

Il salto da Korogocho a questa terra è davvero impressionante ma ci sono linee di riflessione e meditazione che rimangono le stesse: la sofferenza, passione e l’oppressione di un popolo che è uguale qui come a Korogocho. Mi sento molto unito al popolo dei poveri di Korogocho per l’affetto, l’amicizia, le sofferenze condivise e il tempo speso in costruire una Korogocho nuova e diversa, dove la Pace, la Giustizia e la Fraternità prevalgano e il Dialogo tra le etnie e religioni possano essere strumento di futuro per i giovani. Ho sempre considerato Korogocho come la Gerusalemme delle genti coloro che Gesù incontrava tutti i giorni: i poveri, i malati, i sofferenti, gli indifesi, le prostitute, storpi e ciechi. Ed era per me la mia Grazia e Benedizione!! Ora invece mi trovo nella Gerusalemme di Terra Santa….un salto davvero enorme che ho accolto davvero come un grande Dono, un Privilegio di Dio per me ma che nasconde un Mistero che non conosco ancora!

 

Continuo e continuerò a portare nel mio cuore la terra di Korogocho e del Kenya come simbolo di un Giobbe giusto che soffre in silenzio ma che sa che la vittoria è vicina. E che non sarà lui a darsela ma Lui che conosce la Verità e l’Amore profondo dei cuori dei suoi figli.

E qui non ho trovato la povertà che invece vedevo ad occhi nudi a Korogocho. Qui ho trovato un altro tipo di povertà e di divisione militare, culturale, religiosa. Di popoli, razze e religioni che coesistono ma non si integrano.

 

Michael Sabbat: un patriarca, un profeta

Ho voluto iniziare questa mia lettera, la prima da questa terra, proprio con le parole di Michael Sabbat, Patriarca Latino Emerito di Gerusalemme e di tutta la Terra Santa, perché quelle parole pronunciate qualche anno fa, sono vere oggi come ieri. E guarda caso ancora nel tempo di Natale. Un uomo che ha dato molto nei suoi 21 anni alla guida di questa Chiesa particolare del Medio Oriente e punto centrale di una parte di mondo sempre martoriata da guerre e divisioni. Un uomo pacato ma che ha sempre detto la verità senza paura, dicendo ciò che doveva essere detto a suo tempo e a chi di dovere. Una chiarezza di visione profetica per il futuro di questa terra: implorando pace e giustizia proponendo anche cammini di fede e di dialogo con tutti. Ora ha terminato il suo mandato per raggiunti limiti di età ma rimane e continua ad essere un esempio e testimone vivente che la Pace in questa terra è Possibile! Ora il nuovo patriarca si chiama Fouad Twal.

 

La gente continua a domandarsi se oggi la pace è possibile davvero in Terra Santa. In concreto ci sono segni di speranza, ma soprattutto sembrano prevalere le paure, esitazioni, oppressioni e instabilità. E le sofferenze continuano. Costruire la pace in Terra Santa, come in Kenya e ovunque, è impresa sempre più difficile. Numerosi sono i conflitti nel mondo in cui la violenza, il disprezzo della persona umana e dell’immagine di Dio nell’uomo sono praticati non solo da individui, ma da gruppi e a volte da governi.

La pace in Israele e in Medio Oriente sarà certamente frutto di accordi tra capi di governo e responsabili politici; ma prima di tutto coinvolgerà nel profondo i rapporti tra le comunità e tra i singoli. Ogni palestinese e ogni israeliano dovranno vedere nell’altro non più un nemico da odiare e da combattere, ma un fratello e un amico con cui costruire finalmente le nuove società palestinese e israeliana.

La pace in Medio Oriente comincia a Gerusalemme. Qui si manifesta il più profondo mistero di Dio per la storia dell’umanità: ha scelto questa città per raggiungere, attraverso il popolo eletto, tutti i popoli della terra.

 

Come parlare di Gerusalemme. L'ombelico del mondo?

Una tradizione Giudaica dice che Gerusalemme ha 70 nomi. Uno di essi è: l’Ombelico del mondo. Risale ad una tradizione pagana di Delfi. Come parlare di Gerusalemme? Diceva Chateaubriand nell’Itinerario da Parigi a Gerusalemme: “Gerusalemme, il cui nome evoca tanti misteri, colpisce l’immaginazione, sembra che tutto debba essere straordinario, in questa straordinaria città?” E’ sicuramente una città affascinante e piena di misteri. Ma questo se lo porta dietro da migliaia di anni. Yerushalaim la città celeste e terrestre.

 

Oppure per esprimersi con la parola di un midrash (commento biblico dei rabbini): “Dieci porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate al mondo dal Creatore e Gerusalemme ne ha ricevute nove”.

Gerusalemme o Yerushalaim è stata fondata dal re Gebuseo Shalem. Una città e terra che ha visto dominatori e re di culture, razze e religioni, arte e edifici diversi. E lo si sente e lo si vede fino ad ora.

E così abbiamo la Gerusalemme ebrea di Davide, di Salomone, del Tempio, dei Babilonesi, Ellenistica, Asmonea, Romana, Erodiana, di Cristo, Bizantina, Musulmana, Crociata, di Saladino, degli Arabi, della Diaspora e del ritorno. E’ stupendo vedere in questa città tutte queste forme di arte, cultura e architettura che ci riporta indietro di migliaia di anni. Ma ci fa anche pensare oltre alla bellezza artistica e architettonica a quanta sofferenza e oppressione questa città e terra ha visto nel corso di oltre 3000 anni.

Gerusalemme è il simbolo di tutte le attese e le speranze umane, il luogo nel quale, in qualche maniera, le sofferenze umane si concentrano, i dolori umani si incontrano, ma nel quale tutte le speranze si riaccendono.
Gerusalemme contesa, del dialogo e dell’ecumenismo e dell’ideale di Pace. Gli arabi la chiama Al Qutz, la Santa e la considerano la terza più importante città della loro religione dopo La Mecca e Medina.

Gerusalemme: città in cui la fede in Dio unisce popoli e nazioni, e città in cui i credenti, in nome di Dio, lungo i secoli e fino ad oggi, si sono posti in conflitto. Città della riconciliazione, sorgente di pace per i pellegrini che la raggiungono, ma deserto di condivisione per i suoi abitanti. La città dove tutti dicono “...Io qui sono nato” e che non è rimasta nello scorrere dei secoli, esclusiva di una sola religione. Ebraismo, cristianesimo e islam oggi vi coesistono: sono tutti radicati in lei. La città di Dio è come Dio: per tutti. Nessuno può avere Dio in esclusiva e privarne l’altro. Gerusalemme è la dimora di Dio, aperta a tutti: è la dimora dello Spirito, sorgente di santità e di dignità per ogni persona. Gerusalemme era ed è ancora il centro dell’ebraismo. Era ed è il centro del cristianesimo. Dal VI secolo fu ed è per l’islam la “Santa città (Al Quds)”, il “Santuario di Dio”.

Ogni giorno si vive la tragedia della divisione, dell’odio e della morte. La città della riconciliazione, la città di Dio, appare tragicamente lontana da Dio. Oggi Gerusalemme è la città di due popoli: tutti e due devono poter viverci con gli stessi diritti e gli stessi doveri.

 

Un nemico per vicino

Finchè si avrà un nemico per vicino, si avrà sempre paura di lui. Il popolo palestinese può diventare un popolo amico, se gli si rende ciò che gli si è preso: la sua libertà e la sua terra; e la terra che reclama oggi non è che il 22% di tutta la Palestina storica. E’ possibile la pace? La pace è possibile certo ma... Ci sono già all’interno d’Israele più di un milione di palestinesi che sono cittadini israeliani che da 60 anni cercano, nonostante le discriminazioni subite, di vivere in pace mantenendo rapporti di amicizia e di collaborazione in tutti i campi con i loro concittadini ebrei. Ma l’unica soluzione possibile per far scoppiare la pace vera qui e in Medio Oriente è che Israele si ritiri dai Territori Palestinesi Occupati. La disoccupazione è altissima , la libertà di movimento è veramente difficile ed inesistente per la maggioranza dei palestinesi che vivono in questi territori occupati. Sotto la violenza dell’occupazione, la società palestinese comincia a disgregarsi. Se si parla di azioni terroristiche palestinesi (a Gaza, Hamas e altri..) dobbiamo parlare anche di azioni terroristiche israeliane. Molti check points in Gerusalemme con tantissimi soldati e polizia e armi. Così in tutto il paese e centinaia di controlli alla gente estenuanti e assurdi. All’aeroporto e ai confini perquisizioni fisiche vergognose a uomini e donne e domande infinite per ore ed ore. Anche i bambini e anziani sono umiliati e scherniti da soldati israeliani giovanissimi che non hanno nessuna remora a disprezzare e perquisire ossessionatamene. A volte mi fanno pena perché obbediscono a quelli che sono ordini superiori, così come dicono. Ma a tutto c’è un limite e rispetto. Ho visto e sentito cose vergognose al limite della persona umana, anche se si è soldati. Pur sempre con una umanità da vivere...

 

Mi vengono in mente le parole di Gesù ai soldati del suo tempo. Persino dei soldati gli chiedevano cosa fare per salvarsi: “Lo interrogavano anche alcuni soldati dicendo: E noi che dobbiamo fare? Egli rispose: Non maltrattate nessuno e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe” (Lc 3,14)

 

Divisioni da entrambe le parti

L’espressione più chiara per i palestinesi è quella di “resistenza all’occupazione”. E questa dura dal 1967. Troppo a lungo….fino a quando? E poi i radicali come Hamas e altri irriducibili prendono il sopravvento con le loro violenze per un’estenuante tira e molla da sempre... facendo leva su giovani che sono frustrati e delusi. E proprio in questi giorni è terminata la tregua e Hamas in televisione ha già annunciato nuovi attacchi a Israele. Da una parte e dall’altra ci sono persone che non parlano onestamente e in verità per la pace.

 

Sicuramente è il governo israeliano che ha in mano tutte le carte per il dialogo e la pace: sta a loro fare passi concreti e non solo delle piccole concessioni molto spesso unilaterali. Finché i palestinesi vivranno nell’umiliazione, non potrà fermarsi la violenza. Israele dice che non ha un interlocutore credibile per il dialogo verso la pace. Ma quante divisioni esistono da entrambe le parti. Infatti Israele andrà alle urne elettorali il 10 febbraio 2009. Divisioni all’interno del paese e della politica. Ad Olmert, l’ex presidente del consiglio dei ministri, gli è stato chiesto di dimettersi per uno scandalo (tutto il mondo è paese) e la nuova candidata del partito al potere, Tzipi Livni, non è riuscita a trovare un’intesa tra i partiti per formare un nuovo governo, soltanto con grandi compromessi che non aiutano nessuno. Ora si va avanti anche qui con l’amministrazione temporanea….fino a febbraio. E per la Palestina non si è da meno. Grande divisione anche tra Abu Mazen (Cisgiordania) e Hamas (Gaza) che si contengono anche i territori palestinesi e non riescono fino ad ora ad avere una politica comune per il bene di tutti i palestinesi. Anche qui molto presto alle urne. Comunque sta di fatto che i palestinesi rivendicano solo il 22% della Palestina storica per formare il loro Stato e sono pronti a lasciare a Israele il 78%.

 

Giustizia, pace e solidarietà

Oggi più che mai c’è bisogno di giustizia e vera solidarietà con questi popoli. Tra loro e con i governi e i cittadini di tutto il mondo che devono sentire nel loro cuore l’urgenza di questa Pace e Giustizia che si baceranno... come dice il salmista nel salmo 85. Non solo carità e sostegni finanziari ma informazione corretta e verità onesta, chiara e leale. Sono convinto che anche i cittadini di tutto il mondo hanno una grande responsabilità da giocare in questo conflitto in Terra Santa. Non solo pellegrinaggi... ma unire la spiritualità di Gesù e della sua terra alla realtà di oggi. Molti pellegrini che vengono qui a Gerusalemme non si rendono conto di tutto questo: delle mura divisorie a Gerusalemme e con i Territori Occupati, dei soprusi, delle difficoltà e divisioni interne di questi due popoli. Dobbiamo riconoscere che l’ostacolo più grande alla pace è l’occupazione militare israeliana. Il conflitto in corso non è una guerra fisica perché non ci sono eserciti che si scontrano. Ma ci sono precisi aggressori e aggrediti. E’ molto subdola, snervante e frustrante. Una distinzione da fare importante è che esiste una bella differenza fra l’Israele di Dio e l’Israele di Sharon o di Olmert di oggi.

 

 

Preghiera per la pace e la giustizia

Ascolterò cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore.
La sua salvezza è vicina a chi lo teme
E la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
E la giustizia si affaccerà dal cielo.
Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
E sulla via dei suoi passi la salvezza.

 

(Salmo 85, 9-14)

 

Una comunità cristiana in via d'estinzione sulla terra di Gesù?

La comunità cristiana di Gerusalemme dal VII secolo in poi, cioè dalla conquista araba (638 d.C.), è rimasta una piccola minoranza, una Chiesa di testimoni. Questa è la vera natura della Chiesa di Gerusalemme e di Terra Santa. L’Ebraismo e l’Islam sono da secoli la maggioranza in questa Terra Santa. E’ d’obbligo il dialogo per noi cristiani perché è solo da questo valore fondamentale che possiamo essere ponte tra i popoli e religioni diverse qui presenti. E i cristiani sono arabi palestinesi o comunità religiose internazionali venute da fuori che si sono insediate qui nel corso di tutti questi secoli. I cristiani di lingua ebraica sono pochissimi. I Francescani sono presenti qui in questa TERRA SANCTA dal 1219 quando anche S.Francesco venne qui pellegrino. Chiamati ad essere Custodi delle Sorgenti della Salvezza da quasi 800 anni in tempi anche non facili della storia di queste terre e della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II disse a proposito qualche anno fa: “E la Provvidenza volle che, accanto ai fratelli delle Chiese Orientali, per la cristianità di Occidente fossero soprattutto i figli di Francesco d’Assisi, santo della povertà, della mitezza e della pace, a interpretare in modo genuinamente evangelico il legittimo desiderio cristiano di custodire i luoghi in cui affondano le nostre radici spirituali”.

 

I Palestinesi cristiani oggi, quelli rimasti in Israele e in Palestina e quelli dispersi dall’emigrazione o dalle guerre del 1948 e del 1967, sono circa 500.000, cioè il 6% totale della popolazione palestinese nel mondo. Solamente in 170.000 vivono oggi tra Israele e Palestina: 120.000 in Israele e 50.000 nei Territori Occupati. Sono l’1,7 % della popolazione sia in Israele che in Palestina. Molti palestinesi emigrano per questa realtà di oppressione e di difficoltà a trovare un lavoro e vivere in piena libertà. Ci sono stati sempre fenomeni migratori nella regione in generale, e tra i cristiani in particolare. Il numero dei cristiani rimane stabile ma le proporzioni non cessano di diminuire. Oggi i cristiani sono il 2%. Tra qualche anno saranno ancora 150-170 mila persone in Palestina e Israele, ma la proporzione sarà dell’1% o meno ancora. La gente e le famiglie emigrano per dare un futuro migliore ai proprio figli. E i palestinesi cristiani e musulmani all’estero sono davvero tantissimi.

In Terra Santa sono presenti diverse Chiese cristiane: latina, greco-cattolica (melchita), siro-cattolica, maronita, armeno-cattolica e caldea, greco-ortodossi, copti, abissini, protestanti, anglicani, luterani ecc. Ci sono diversità tra di loro ma ciò che è importante è rispondere in maniera coerente e concreta alle sfide del mondo contemporaneo in questa terra. E a volte siamo un po’ lontani da questa testimonianza e credo che anche tu abbia seguito ciò che è successo al Santo Sepolcro quando nel mese di novembre ci sono state lotte furibonde con botte e liti tra i greco-ortodossi e gli armeni per un passaggio non autorizzato tra una zona e l’altra dello stesso Santo Sepolcro. Nel Santo Sepolcro vige la regola dello Statu Quo cioè da circa centinaia di anni bisogna seguire divisioni strette di territorio e di orario a turno nell’usufruire dei vari ambienti del Sepolcro. Regole secolari che non si riescono a cambiare per la difficoltà di concordare una linea comune con tutte le chiese presenti sia cristiane latine che ortodosse. E’ stata sicuramente una controtestimonianza che è apparsa su tutte le televisioni, giornali e riviste in tutto il mondo. E questa è una grande sfida che ci si pone di fronte: il dialogo tra le grandi religioni ebraica e musulmana ma soprattutto la volontà di camminare in un dialogo ecumenico tra cristiani stessi che parta da cose più vere e vicine alla gente con una vera spiritualità incarnata e non fatta spesso da vuote liturgie.

Nel Vangelo di Luca si narra che Gesù: “Quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma oramai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata.” (Lc 19, 41-44)

La sua profezia si avverò nella storia di questa città e di questa terra. A quel tempo l’uomo aveva sminuito Dio fatto uomo, deformandone la sua immagine. Ma anche oggi si corre lo stesso pericolo. Forse non siamo migliori a servire questa città santa. Questi versetti non giudicano soltanto coloro che vissero nel passato ma anche noi personalmente, come chiese e religioni diverse. Quando ci allontaniamo dall’essenza della nostra fede e la sottomettiamo ai nostri sentimenti, agli interessi personali o dell’istituzione e alle ambizioni umane più che spirituali. La vocazione della Chiesa e delle Chiese cristiane in questa Terra Promessa è quella di stare sempre dalla parte del povero, dell’oppresso e del bisognoso e mostrare il volto misericordioso e tenero di Dio Padre. E’ qui dove ci sentiamo forti delle promesse di Dio. Il salmo 12 è un meraviglioso esempio di un Dio che sceglie e ama i poveri, i disprezzati:

Salmo 12
Salvami Signore! Non c’è più un uomo fedele;
è scomparsa la fedeltà tra i figli dell’uomo.
Si dicono menzogne l’uno all’altro,
labbra bugiarde parlano con cuore doppio.
Recida il Signore le labbra bugiarde,
la lingua che dice parole arroganti,
quanti dicono: “Per la nostra lingua siamo forti,
ci difendiamo con le nostre labbra:
chi sarà nostro padrone?”
“Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri,
io sorgerò – dice il Signore –
metterò in salvo chi è disprezzato”
I detti del Signore sono puri,
argento raffinato nel crogiuolo,
purificato nel fuoco sette volte.
Tu, o Signore, ci custodirai,
ci guarderai da questa gente per sempe.
Mentre gli empi si aggirano intorno,
emergono i peggiori tra gli uomini.

Come sono vere queste parole di questo salmo. E Dio non lascia mai soli i suoi piccoli, i poveri, i bambini, gli sfruttati, coloro che vengono oppressi ed emarginati che siano a Korogocho o che vivano a Hebron, in Congo, in Tibet o a Betlemme. Lo Spirito di Dio manda i profeti per portare il lieto annunzio ai poveri, a tutti i piccoli, deboli ed oppressi. Allo stesso tempo, il lieto annunzio è lo stesso per i grandi e i forti che opprimono gli altri. Il profeta ricorda ai poveri che la fede è il sostegno in ogni circostanza della vita; li sostiene per non vacillare e per rimanere forti nella resistenza a ogni male e ogni oppressione. E i chiamati ad essere profeta offi siamo ognuno di noi in grazia del dono del battesimo.

E un altro grande profeta Michea ha detto: “Guai a coloro che meditano iniquità. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Guai a coloro che costruiscono Sion con il sangue, Gerusalemme con l’ingiustizia” (Michea 2,1-3) Qui coloni ebrei in diaspora che vengono da molti paesi e ritornati in Israele richiamati dal governo e da gruppi sionisti continuano ad occupare terre e case di palestinesi in maniera arbitraria e violenta dicendo che questa è la terra dei loro antenati e che hanno diritto di occupare. Questo accade a Gerusalemme come a Hebron e tanti altre città e villaggi di Israele. Certo non è ufficialmente sostenuta dal governo ma si crede che siano azioni organizzate di occupazione che tentano di espellere palestinesi che risiedono ormai da decenni o secoli in queste terre. Sempre lotte e violenze. Cambiano i tempi ma rimane la stessa bramosia che mette contro molto spesso i potenti e i piccoli. Ma molto spesso poveri contro poveri!

 

Betlehem: la casa del pane! È nato!

Beth Lehem vuol dire in arabo: la casa del pane! Ed è qui che molti pellegrini nella notte di Natale e durante tutto l’anno vengono a partecipare di questo Mistero di Amore che Dio ci ha donato: Gesù bambino!! Ed è in questo villaggio che Giuseppe e Maria vennero per cercare rifugio per il censimento che era stato indetto da Cesare Augusto. Vennero ma non trovarono posto nella locanda. Così Gesù nacque in una grotta e deposto in una mangiatoia vicino agli animali che potessero scaldarlo. E questa è ancora una fotografia attuale di tanti bambini che ancora oggi nascono in queste terre, nel sud del mondo, in villaggi o baraccopoli africane o periferie urbane europee o nordamericane, . Nella povertà e con poca accoglienza anche dello stesso piccolo nascituro. E’ anche assurdo che questo posto dove Dio ha voluto nascere come uomo Emmanuele – Dio con noi - sia uno dei posti con più sofferenza in questo stupenda terra.

 

E’ proprio così. Il più piccolo villaggio della Giudea come lo definisce il profeta Michea nel suo libro:
“E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.”

E oggi Betlemme non è più così piccola come la descriveva il profeta quasi 3000 anni fa. Oggi è una cittadina non molto lontano da Gerusalemme. Betlemme sorge a 10 km a sud di Gerusalemme, a 765 m. sul livello del mare. Secondo l’Ufficio centrale di statistiche palestinese (Pcbs), il Governatorato di Betlemme conta circa 170.000 abitanti. Una popolazione giovanissima, composta per tre quarti di uomini e di donne con età inferiore ai 40 anni. I palestinesi che vivono nel comune di Betlemme sono invece 30 mila. Contando le limitrofe Beit Jala (16.689 abitanti) e Beit Sahur (15.388) il comprensorio conta oltre 62 mila abitanti. Nel Governatorato i nuclei familiari palestinesi (poco più di 31 mila) sono composti in media da 5,4 individui (Gerusalemme si attesta su 5,2; Hebron tocca invece i 6,1). La popolazione cristiana negli ultimi anni è diminuita progressivamente e si è passati dal 33% del 1998 al 20% del 2005. La zona di Betlemme, all’interno dei Territori, ha la più alta percentuale di disoccupati: 40% della popolazione attiva. L’economia di Betlemme come quella di Hebron e altre città palestinesi è fortemente condizionata dal “muro”, che limita l’accesso dei lavoratori a Gerusalemme. Betlemme è una città sotto assedio.
Appena entri in città dal check point 381 (un imponente sistema di sicurezza fatto di porte, muri e sistemi, di controllo elettronici – ti accoglie dipinta sul muro, una colomba con un ramo di ulivo nel becco e indosso un giubbotto antiproiettile. E’ il simbolo quanto mai eloquente del clima che regna oggi nella città che ha dato i natali proprio a Gesù e al suo antenato Davide! Da una parte la speranza della pace, dall’altra la cruda realtà del conflitto.

Quest’anno il natale, la Sua nascita la vivrò proprio in questa Terra Santa così piena di conflitti. Cerco di seguire le Sue orme e in questo tempo di Avvento ho voluto vivere le domeniche proprio nei posti dell’Attesa. La prima domenica d’Avvento ero qui a Betlemme per adorare questo mistero; la domenica successiva visitavo per circa 5 giorni Nazaret e la Galilea andando alle radici della vita quotidiana di Gesù e del suo ministero. La terza settimana sono stato ad Ain Karem (che vuol dire: la sorgente della vigna) ad 8 km da Gerusalemme dove la tradizione cristiana pone il villaggio che Maria avrebbe raggiunto quando sentì che la cugina Elisabetta era incinta. E si mise in viaggio, molto lungo, per servire. E ci rimase 3 mesi. L’attesa anche per la vecchia cugina che con il Mistero dell’amore di Dio venne trasformata in strumento per donare al Popolo di Dio proprio il precursore: Giovanni il Battista. In ogni posto ci sono chiese o santuari o altri edifici che ci vogliono ricordare i vari passaggi biblici evangelici e del vecchio testamento che ci raccontano la Storia della Salvezza. Posti affascinanti e pieni di storia e racconti.

Ed ora siamo arrivati al momento della festa: la nascita di un Dio che si incarna nell’umanità ferita e debole. E ancora oggi sentiamo la nostalgia della Sua tenerezza e vicinanza della Sua missione. Questo tempo lo vivrò con i cari amici del gruppo di Pescara: Missione Possibile. Una ventina di amici che verrà qui in Terra Santa per condividere una settimana e il desiderio di cogliere in questo tempo la Presenza di un Dio che continua ad amare la Sua Terra nonostante le pazzie e divisioni degli uomini. Perché Lui ha scelto di nascere proprio qui: nella povertà, in una grotta e fuori le mura del villaggio. Mettiamoci in cammino anche noi come i pastori per riscoprire la vita semplice ma intensa di un Uomo/Dio.

Volevo anche ringraziare te e tutti gli amici che si sono e si stanno prodigando per diffondere il libro che è appena uscito: IL VANGELO NELLA DISCARICA. Come sai il ricavato andrà a sostenere in solidarietà i ragazzi di strada di Korogocho perché anche loro possano rinascere a vita nuova. Voglio ringraziare anche Gianluca Ferrara di Edizioni Creativa che si è fatto in quattro (o molto di più) per fare un buon lavoro che tutti hanno apprezzato. Grazie Gianluca... e che il nuovo anno porti a te e alla tua famiglia la grazia di un figlio! Tuko pamoja! Magari ci vediamo da queste parti...

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