Israele verso l'ingresso nell'OCSE
Nei giorni della visita mediorientale del vicepresidente statunitense Joe Biden per riavviare i colloqui di pace tra Israele e l'Autorità palestinese, il cui orizzonte sembra allontanarsi dopo l'annuncio del governo di Benyamin Netanyahu di costruire 1600 nuove unità abitative nella parte orientale di Gerusalemme, alcuni media internazionali svelano un documento confidenziale con cui l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico autorizza l'ingresso d'Israele nell'OCSE, nonostante l'occupazione dei Territori palestinesi. Il testo, datato 1° febbraio 2010, si inserisce nel processo di valutazione della candidatura d'Israele per l'ingresso all'interno dell'OCSE, previsto per il prossimo mese di maggio. Una certezza affermata il 3 marzo dal ministro dell'economia, Giulio Tremonti.
Il documento, “Accession of Israel to the Organisation: Draft Formal Opinion of the Committee on Statistics” (disponibile ora a questo indirizzo), è la bozza della valutazione del Comitato statistico dell'OCSE – il cosiddetto CSTAT – dei dati presentati da Israele rispetto ai parametri economici richiesti ai membri dell'OCSE. La presentazione dei dati e delle statistiche, spiega il documento, è “uno degli obblighi fondamentali per l'ammissione”, come espresso nella Convenzione fondante l'OCSE. Il documento nota come Israele abbia finora presentato i dati riguardanti non solo il territorio dello Stato d'Israele, ma anche Gerusalemme Est, le alture del Golan e le colonie in Cisgiordania, aree occupate illegalmente dal 1967, riflettendo il rifiuto di elaborare statistiche distinte per Israele e i Territori occupati. Il rapporto non presenta però questo punto come un potenziale elemento di non ammissione di Israele nell'organizzazione. Come spiega Shir Hever, economista dell'Alternative Information Center, “pare che l'OCSE voglia accogliere Israele e coprire i crimini dell'occupazione”. Il Comitato statistico “raccomanda la preparazione di uno studio insieme alle autorità israeliane per valutare l'impatto quantitativo delle alture del Golan, di Gerusalemme Est e delle colonie israeliane in Cisgiordania sui dati chiave aggregati a livello economico e sociale”, da presentare, tuttavia, dopo l'ingresso del paese nell'OCSE. Con questo testo, l'OCSE riconosce dunque implicitamente l'occupazione israeliana, legittimandola a livello internazionale.
L'OCSE, organizzazione che raccoglie 30 paesi, con sede a Parigi, iene costituita nel 1948 all'interno del piano Marshall come organizzazione dei paesi dell'Europa occidentale sotto l'ombrello statunitense. Nel 1960 si è trasformata nel 1960 in un organismo internazionale e persegue la promozione dell'economia di mercato e del libero scambio in chiave neoliberista. Attualmente i paesi candidati per un prossimo ingresso sono – oltre ad Israele – Cile, Estonia, Russia e Slovenia. Il processo per l'ammissione d'Israele nell'OCSE è stato avviato nel 1993, sotto l'impulso di Shimon Peres, nel corso del processo di pace di Oslo. Il fallimento degli accordi di pace e lo scoppio della seconda Intifada hanno interrotto il processo di valutazione della candidatura d'Israele.
Gli aspetti più critici espressi dall'OCSE nei confronti del paese hanno riguardato tre aspetti: in primo luogo, l'occupazione israeliana e i dati delle statistiche presentate; in secondo luogo, la corruzione nell'esercito e dell'industria militare e infine i diritti di proprietà intellettuale, in particolare nell'industria farmaceutica. Dal 2007 il processo d'ingresso d'Israele nell'OCSE ha registrato una decisa accelerazione, anche in seguito alle scelte di taglio della spesa per lo stato sociale e alle politiche di privatizzazione intraprese.
Dall'ammissione all'OCSE Israele spera di ricavare una maggiore integrazione nel mercato mondiale e un riconoscimento della sua legittimità e natura democratica. Il momento in cui si prepara l'ammissione nell'OCSE è infine particolarmente importante: i colloqui di pace appaiono particolarmente difficili da entrambe le parti, mentre l'assedio di Gaza supera i mille giorni e sempre più decisa è la repressione della resistenza popolare nonviolenta in alcuni villaggi-simbolo della Cisgiordania, come Bil'in, Nil'in e Al-Ma'asara.
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