Partecipare non è influenzare

È tempo che le istituzioni governative diventino davvero sensibili alla questione di genere
8 ottobre 2007
Sabina Zaccaro (Corrispondente di Inter Press Service)
Fonte: da Persona a Persona 9/07 (www.pangeaonlus.org) - 01 ottobre 2007
Aruna Rao Per raggiungere un vero empowerment delle donne, “i governi devono focalizzarsi sul sostenere cambiamenti istituzionali sensibili alle questioni di genere”. È quello che afferma Aruna Rao, che ha passato gli ultimi 25 anni lavorando alla promozione dei diritti delle donne, specialmente in Asia, dove molte donne e ragazze affrontano numerose “barriere familiari e sociali dettate dalla tradizione per poter realizzare i propri sogni”.
Aruna è direttrice di Gender at Work, un network formativo che include esperti, ricercatori e legislatori che condividono l’opinione secondo la quale l’empowerment delle donne deve essere “istituzionalizzato”, specialmente nelle economie emergenti. Per questo motivo è necessaria una profonda analisi dell’attuale approccio allo sviluppo, spiega in un’intervista a Sabina Zaccaro, corrispondente di IPS.

IPS: Quali sono gli aspetti più problematici del moderno approccio allo sviluppo e che effetto hanno sulle donne?
Aruna Rao: Tre aspetti fondamentali dell’attuale approccio allo sviluppo sono estremamente problematici. In primo luogo, i modelli economici dominanti danno troppa enfasi allo sviluppo a scapito di un’equa distribuzione dei frutti di quella crescita. Ciò significa che, mentre un certo numero di economie emergenti stanno crescendo velocemente, la ricchezza generata non va a vantaggio dei poveri. In secondo luogo, la diminuzione della spesa sociale, le inasprite politiche fiscali e la privatizzazione delle imprese e dei servizi statali hanno avuto conseguenze negative sproporzionate per i poveri, particolarmente per le donne. In molti luoghi vi sono economie di transizione e le infrastrutture statali sono state completamente distrutte, come nelle zone di conflitto, o sempre più si stanno privatizzando. Ciò si traduce nella mancanza di servizi o nell’aumento dei costi di quelli esistenti, escludendoli così dalla portata dei poveri.
E, terzo, le istituzioni che sono preposte a realizzare questi modelli di sviluppo economico e le politiche di sviluppo sono cieche di fronte alle questioni di genere, sono spesso corrotte e incomprensibili al pubblico.

IPS: Che cosa significano le economie crescenti della Cina e dell’India per le donne lavoratrici in quei Paesi?
AR: L’aumento spettacolare delle economie cinesi e indiane ha generato nuove possibilità d’impiego per le donne e ampliato l’accesso a nuove tecnologie informatiche. Ma la crescita economica trascinata dall’export ha concentrato la ricchezza nelle mani di alcuni, come la nuova classe di imprenditori in Cina. Le protezioni statali e le garanzie di vita per le donne povere si sono sgretolate e il traffico di donne e ragazze è aumentato vertiginosamente. In India, l’estesa classe media si è avvantaggiata, ma in entrambi i Paesi le attività di trasformazione per l’esportazione presentano condizioni di lavoro difficili per le donne, con deboli protezioni sindacali. C’è un’elevata “informalizzazione” nei rapporti di impiego e un aumento dello sfruttamento di donne e ragazze.

IPS: Questi Paesi stanno registrando miglioramento nei servizi di base, a seguito dello sviluppo economico?
AR: In India, e in minor misura in Cina, l’aumento della ricchezza non ha portato a maggiori investimenti nei servizi di base per le donne povere delle zone rurali e urbane. Le donne stanno emigrando alla ricerca di nuovi lavori, ma vivono in città imborghesite con infrastrutture sempre più carenti di risorse: acqua e servizi igienici, alloggi, elettricità, mercato e trasporti locali sicuri e a buon mercato, sovvenzioni alimentari.

IPS: Come possono essere sostenute le donne che lavorano nelle economie informali e come possono affrontare il fatto che hanno un accesso molto limitato o inesistente al credito, alle risorse naturali e alla terra?
AR: In Asia, la quota di manodopera informale impiegata in settori non agricoli varia dal 45 all’85% e la percentuale di donne nel settore informale è molto alta e in aumento. In India e in Cina, il governo ha preso le misure per rispondere ai bisogni degli operai nel settore informale.
Nel 1999 è stata costituita in India la “Commissione nazionale del lavoro” per sviluppare, implementare e far rispettare la legislazione in materia di lavoro nell’economia informale. In Cina, la Giunta comunale di Shangai ha istituito delle “organizzazioni per il lavoro informale” (nel 2001 ce n’erano quasi 15.000 a Shangai) e ha adottato politiche quali l’estensione dell’assicurazione sociale di base, l’assistenza per ottenere credito, politiche fiscali preferenziali, al fine di promuovere e aiutare questo settore.
A livello internazionale, nel 1997 le rappresentanti di SEWA (Self Employed Women Association) e di HomeNet (una rete internazionale di solidarietà per quanti lavorano da casa) hanno affiancato altri esperti di economia informale per creare una rete globale denominata “Donne nell’occupazione informale: globalizzare e organizzare” (WIEGO). WIEGO lavora a stretto contatto con l’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, la divisione di statistiche delle Nazioni Unite e la Commissione di statistiche.

IPS: Ma per le donne l’accesso alle risorse è ancora pieno di ostacoli …
AR: È vero che l’accesso delle donne alle risorse produttive è severamente limitato. Le novità sono nell’accesso al credito secondo il modello molto riuscito della Grameen Bank e quello di SEWA in India, che non è stato però esteso da una banca rurale nazionale. Ma il diritto delle donne alla terra è molto più limitato a causa di ostacoli grandi e piccoli. Anche laddove in una famiglia povera c’è la volontà di registrare la terra a nome delle donne, i costi di registrazione sono quasi proibitivi. Chiaramente i governi giocano un ruolo importante nel creare una regolamentazione e una cornice di sostegno favorevoli, e le banche e le altre istituzioni nel mediare l’accesso alle risorse.

IPS: Siamo a metà percorso verso il 2015. Nota qualche successo chiave circa il raggiungimento del terzo obiettivo di sviluppo del millennio (MDG), quello sull’empowerment delle donne e l’istruzione?
AR: Nel 2005, il mondo ha mancato il primo obiettivo del Millennio: parificare il numero di ragazze e ragazzi che hanno accesso alla scuola primaria. Il terzo obiettivo ha fatto registrare i minori progressi, in particolare riguardo all’attività economica delle donne e alla loro rappresentanza politica. Il rapporto globale di monitoraggio 2007 della Banca Mondiale precisa che il progresso verso l’uguaglianza di genere sta ristagnando rispetto ad altri obiettivi del Millennio e che la mancanza di diritti delle donne (uguaglianza davanti alla legge), di risorse (pari opportunità) e di libertà d’espressione (uguaglianza politica) inibiscono il raggiungimento di questo obiettivo.
Inoltre, ridurre l’uguaglianza di genere semplicemente all’eliminazione le disparità di genere nella formazione primaria e secondaria non è affatto accettabile. Il Progetto del Millennio delle Nazioni Unite ha fornito una lista molto più completa degli obiettivi che dovremmo mirare a realizzare. Questi includono: aumentare le occasioni di formazione secondaria per le ragazze garantendo contemporaneamente la formazione primaria universale; garantire la salute e i diritti sessuali e riproduttivi; investire in infrastrutture per ridurre il dispendio di tempo delle ragazze e delle donne; garantire alle donne e alle ragazze il diritto alla proprietà e all’eredità; eliminare la disuguaglianza di genere sul mercato del lavoro, riducendo la quota femminile nell’occupazione informale, eliminando il gap salariale e riducendo la segregazione occupazionale; aumentare la quota di donne nei Parlamenti nazionali e negli enti pubblici territoriali; combattere la violenza contro le ragazze e le donne.

IPS: Che cosa possono fare i governi concretamente per guidare il cambiamento sociale e istituzionale?
AR: Per realizzare la progressiva uguaglianza di genere, le istituzioni devono focalizzarsi sul buon governo, assicurare le risorse sufficienti per garantire i diritti delle donne e rendere le istituzioni accessibili alle donne. I sistemi di governo contribuiscono notevolmente alla capacità delle donne di far rispettare i loro diritti e far sentire la loro voce.
Un approccio strategico al buon governo a favore delle donne richiede di andare oltre accordi normativi. Deve indirizzarsi alle cause che sottostanno all’assenza di risposte istituzionali alle donne quali: il mancato sostegno all’uguaglianza di genere tra gli argomenti prioritari nei processi di definizione delle agende politiche e nella ripartizione delle risorse, accompagnate a tratti istituzionali connotate da un pregiudizio di genere, le barriere all’accesso ai servizi pubblici da parte delle donne e una mancanza di sensibilità di genere nei sistemi di responsabilità sociale (accountability systems).
Ugualmente, sono necessari sforzi per affinare la richiesta mossa dalle donne per un controllo migliore. Le donne devono essere più capaci di aggirare le barriere istituzionali, essere più esperte nell’esigere risposte dagli attori pubblici, essere in grado di denunciare la corruzione e gli errori di governo e rispondere alle violazioni dei loro diritti. Devono costituirsi come un’entità politica esperta nel richiedere e negoziare i loro diritti.
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus

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