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L’accordo sulla diossina: un primo passo

Dopo le reazioni “a caldo” in merito all’accordo siglato lo scorso venerdì a Roma, è d’obbligo fare alcune riflessioni sugli scenari che tale accordo apre in merito alla vicenda del rilascio dell’AIAalla più grande acciaieria d’Europa.
22 febbraio 2009
Legambiente Taranto

Legambiente
Indubbiamente l’accordo è un compromesso tra posizioni che inizialmente sembravano inconciliabili: da una parte Enti Locali (Regione, Provincia e Comune di Taranto) e Arpa Puglia, che insistevano motivatamente sull’applicabilità della Legge regionale n. 44, la cosiddetta legge antidiossina, dall’altra ILVA e il ministro Prestigiacomo che ventilavano addirittura l’ipotesi di chiusura dello stabilimento siderurgico se la legge fosse stata applicata e minacciavano il ricorso alla Corte Costituzionale per annullare la legge stessa e consentire così a Riva di continuare a produrre con i limiti alle emissioni, ben più ampi, concessi dalla normativa italiana che ancora non ha recepito le indicazioni europee in materia.

L’accordo cancella la minaccia del ricorso alla Corte Costituzionale e, tra l’altro, fa venir meno la supposta relazione tra legge antidiossina e incremento del numero dei cassintegrati nell’azienda siderurgica. Come abbiamo più volte rimarcato, si trattava di un’operazione di falsificazione della realtà: la scelta di Ilva di fare ricorso in modo massiccio alla cassa integrazione è infatti dovuta alla crisi economica internazionale che sta attanagliando praticamente tutti i settori produttivi. Porre in relazione la legge con la chiusura dello stabilimento è stato solo un modo per tentare di dividere il fronte dei cittadini di Taranto e creare allarme; i provvedimenti prescritti dalla legge regionale sono realizzabili: infatti si è trovato l’accordo.

Il compromesso cui si è giunti ci fa “portare a casa” un primo risultato importante: il limite di 2,5 nanogrammi/nmc previsto dalla legge regionale (sia pure con la esplicitazione del già previsto meccanismo di “sottrazione dell’incertezza pari al 35%” che può farlo salire a 3,8 ngr/nmc) deve essere raggiunto dall’azienda entro il 30 giugno prossimo con soli due mesi di dilazione rispetto a quanto previsto dalla legge regionale stessa.

Contestualmente nell’Accordo viene riconosciuto appieno il ruolo dell’ARPA Puglia,che insieme all’ISPRA dovrà monitorare l’azienda con una campagna di controlli, con costi a carico del gestore ma non da lui eseguita, mai effettuata prima per quantità e lunghezza del periodo previsto. Le stesse istituzioni pubbliche avranno il compito di fare una ricognizione delle tecniche di abbattimento utilizzate dagli stabilimenti con caratteristiche simili a quelle dell’Ilva di Taranto, situati in paesi europei ed extraeuropei. L’Ilva, da parte sua, dovrà presentare, entro il 30 dicembre prossimo, uno studio di fattibilità dell’adeguamento dello stabilimento di Taranto al limite di 0,4 ngr/nmc previsto come secondo step dalla Legge regionale e non messo in discussione nell’accordo.

Inutile dire che quest’ultima è la parte più problematica dell’accordo ed è quella sulla quale vigileremo con fermezza. Non accetteremo infatti allungamenti dei termini per il raggiungimento del limite più basso alle emissioni di diossina perché questa città ha già aspettato troppo e sappiamo che i tempi previsti dalla Legge Regionale sono compatibili con la realizzazione delle opere richieste in quanto sono stati studiati e proposti da questa ARPA Puglia alla quale rinnoviamo la nostra assoluta fiducia. Chiederemo inoltre che sia realizzato il campionamento in continuo previsto dalla Legge Regionale che è fondamentale per dare garanzie sull’efficacia dei controlli.

L’accordo segna infine un altro risultato importante: di fatto, quanto in esso stabilito, entra nell’AIA migliorando in maniera sostanziale le prescrizioni che avrebbero potuto essere date se ci si fosse riferiti al ben più permissivo Testo Unico sull’Ambiente (L. 152/2006) e stabilendo così un principio che ci auguriamo valga anche per le ulteriori prescrizioni che l’AIA dovrà contenere e cioè la possibilità che in casi di particolare crisi ambientale quale è indubbiamente quello di Taranto, vengano imposti limiti di emissione molto più rigorosi rispetto a quelli previsti dalle legislazioni nazionale (D.L. 59/2005 che recepisce la normativa europea in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento e, di fatto, regola il rilascio delle A.I.A.) e regionale, anche con “ulteriori disposizioni” rispetto ad esse e miranti a “ridurre al minimo l’inquinamento”.

Fin qui luci ed ombre dell’accordo di venerdì scorso, ma non dobbiamo dimenticare che la procedure per la concessione dell’AIA all’ILVA sono ancora in itinere e riguardano non solo le emissioni di diossina, ma una serie impressionante di questioni che hanno a che fare con la cosiddetta ambientalizzazione della fabbrica: a cominciare dalle emissioni di Idrocarburi Policiclici Aromatici (tra i quali alcuni cancerogeni pericolosissimi) provenienti prevalentemente dalle cokerie, e di polveri sottili rivenienti dai camini e dagli enormi parchi minerali, per proseguire con gli sversamenti in mare di sostanze inquinanti, con gli enormi sprechi di acqua, con le discariche di rifiuti speciali interne all’azienda, con l’indispensabile ammodernamento dei vecchi altiforni, ecc. ecc. Dunque l’accordo è solo un primo passo verso la “modernizzazione” di un impianto obsoleto cui le indispensabili opere di ambientalizzazione non potranno che fare bene rendendolo più efficiente e competitivo.

Per questo motivo ora la nostra attenzione si concentrerà sul secondo passo possibile: le condizioni da porre all’ILVA per il rilascio dell’AIA.

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