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"L'Ilva avvelena le tavole italiane"

Riva indagato: disastro doloso

Quattro periti sono stati incaricati di verificare i danni a persone e ambiente delle diossine I pm vogliono sapere anche se sia necessario chiudere lo stabilimento
16 novembre 2010
Giuliano Toschini
Fonte: Repubblica Bari

TARANTO - A Taranto qualcuno starebbe provocando volontariamente un disastro ambientale, buttando in aria fumi, diossine, benzoapirene, in sostanza veleni, facendo così ammalare e poi morire molta, troppa gente. Quegli stessi fumi starebbero lentamente inquinando la catena alimentare, e così i veleni di Taranto finiscono sulle tavole di tutta Italia.
Questo qualcuno sarebbe Emilio Riva, il padrone delle acciaierie Ilva, il primo azionista di Alitalia, che insieme a suo figlio Nicola, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e il responsabile di uno dei reparti dello stabilimento siderurgico, Angelo Cavallo è accusato dalla procura di Taranto di disastro doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, getto e sversamento pericoloso di cose, più una serie di altri reati sugli infortuni del lavoro. A muovere la nuova accusa è il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, che sull'Ilva indaga ormai da vent'anni.
Per la prima volta però nella lunga storia di battaglia ambientale, dopo un'udienza del 27 ottobre, l'8 novembre scorso un giudice, il gip Patrizia Todisco, ha deciso di capire se realmente tutti i problemi di Taranto arrivino dalle ciminiere dell'Ilva, dai quei minareti industriali che dominano e ammorbano, a credere alle colonne di fumo e alla puzza, la città. Per farlo il gip ha nominato - "tenuto conto delle segnalazioni tecniche e delle denunce pervenute dal Comune, dall'Arpa e da numerose associazioni ambientaliste" - quattro periti (Mauro Sanna, Rino Felici, Roberto Monguzzi, Nazzareno Santilli) ai quali ha affidato cinque quesiti attorno ai quali ruoterà il futuro ambientale di Taranto e della Puglia.
I tecnici dovranno verificare se "dallo stabilimento Ilva si diffondano gas, vapori, sostanze aeriformi e solide (polveri), contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto". In particolare dovranno essere cercate le diossine, il benzoapirene, sostanze fortemente cancerogene per le quali Taranto ha l'indice di emissione più in alto di Europa.
Il giudice però va oltre. Chiede infatti per la prima volta "se i valori di emissione di tali sostanze eventualmente ritenute nocive per la salute di persone e animali, nonché dannose per cose e terreni, determino situazioni di danno o di pericolo inaccettabili". E soprattutto domanda "in caso affermativo, quali siano le misure tecniche necessarie per eliminare la situazione di pericolo, anche in relazione ai tempi di attuazione delle stesse e alla loro eventuale drasticità".
In sostanza, il tribunale vuole sapere se l'Ilva sia la causa di tutto. Ma chiede anche se sia necessario, per mettere fine al disastro, chiudere lo stabilimento tenendo presente anche le ricadute occupazionali: oggi l'Ilva dà lavoro a 13mila persone all'incirca. Le associazioni ambientaliste hanno chiesto un referendum tempo fa sulla chiusura dello stabilimento, poi stoppato dal Tar. Sull'incidente probatorio si sono sollevate nuove polemiche politiche: né il Comune, né la Regione si sono costituite con tecnici di parte. L'azienda invece rimanda al mittente tutte le accuse: "Siamo uno degli stabilimenti più controllati d'Italia - dicono - e negli ultimi anni abbiamo speso come nessuno in ambientalizzazione: rispettiamo tutte le leggi".

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