Voltana

Deportato a Mathausen finì nel forno crematorio il 9 marzo 1945

La storia di Amilcare Foschini, il partigiano diciassettenne di Voltana

Fu uno dei milioni di esseri umani - ebrei, antifascisti, democratici, zingari, omosessuali - che conobbero l'orrore dei campi di sterminio e non sopravvissero per poterlo testimoniare.
19 aprile 2025
Francesco Silvagni

Partigiano combattente antifascista, Amilcare Foschini nacque a Voltana (Lugo di Romagna), dove gli sono state intitolate una strada e la locale sezione dell'ANPI. In ricordo di Amilcare Foschini

Cresciuto in pieno ventennio fascista, frequentò in paese fino alla sesta classe, per poi presto cominciare a lavorare da muratore come il padre Augusto. Giovane comunista militante, dopo l'armistizio fu tra i primissimi a scegliere la strada della lotta armata contro nazisti e repubblichini.

Non ancora diciottenne, partì in bicicletta con i suoi amici una notte di settembre, armati di poche pistole, per raggiungere la 8’ Brigata Garibaldi, appena costituita e guidata dal comandante "Libero" sull'Appennino forlivese.

Fu quello un inverno duro e tragico, durante il quale la Brigata subì pesanti colpi.

I suoi compagni a primavera riuscirono a tornare in pianura per continuare la difficile lotta, mentre Amilcare, purtroppo, incappò con altri in un rastrellamento dalle parti di Biserna e venne arrestato.

Fu condotto prima nelle carceri di Lugo e di Forlì e poi a Parma dove fu processato e condannato a trent'anni. Nonostante ciò era ottimista, nella convinzione che la guerra sarebbe durata al massimo un paio di anni ancora. Dal campo di concentramento di Carpi fu però trasferito nel lager di Mathausen in Germania il 21 giugno 1944, primo giorno d'estate.

Fece appena in tempo a gettare dal treno, nelle mani di una pietosa signora, un foglietto per i genitori, nel quale prometteva di scrivere "appena sistemato".

Morì di stenti nell'inferno del lager il 9 marzo 1945 e il suo corpo venne bruciato nel forno crematorio.

Aveva diciannove anni e qualche mese: tifava per Alfredo Binda e amava lo Swing di Ernesto Bonino. Sul suo letto c'era ancora, fermata con quattro puntine, la fotografia del Bologna Calcio.

Fu uno dei milioni di esseri umani: ebrei, antifascisti, democratici, zingari, omosessuali che conobbero l'orrore dei campi di sterminio e non sopravvissero per poterlo testimoniare.

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