Il viaggio degli aiuti tra i paesi della morte
Da Beirut a Tiro e poi nel cuore del Libano: «Speriamo che tra le macerie resti anche il sistema etnico-confessionale del paese»
L'appuntamento è fissato alle prime luci dell'alba di giovedì 17 agosto alla Zico's House di Beirut, il quartier generale dei diversi gruppi della società civile libanese che si è autorganizzata sin dai primi giorni del conflitto nel tentativo di rispondere alla guerra sia dal punto di vista umanitario che politico e sociale. Il convoglio, composto da una decina di berline e tre furgoni carichi di aiuti umanitari, è stato organizzato da Samidoun con il sostegno di Un Ponte per....
Samidoun è un network composto da diversi gruppi e associazioni libanesi e palestinesi impegnate nella difesa dei diritti umani e civili, singoli attivisti, centri universitari, istituti culturali e organizzazioni della sinistra comunista libanese. Nel primo mese di guerra, Samidoun ha prestato soccorso a circa 16.000 sfollati rifugiatisi a Beirut in fuga dal sud, ha fornito circa 70.000 pasti caldi, supporto medico, sanitario e psicosociale. Ha sviluppato una importante azione di sensibilizzazione e di informazione sul conflitto grazie ad un ottimo sito web, organizzando diverse azioni di resistenza civile nel paese.
La nostra prima tappa è Tiro dove, dopo un incontro con gli attivisti locali e le ong internazionali, ci dividiamo in tre equipe, composte ognuna da un gruppo incaricato di allocare gli aiuti umanitari, un gruppo di fotoreporter e media-makers e da un altro incaricato della presa di contatto con i villaggi isolati, per monitorare i bisogni e verificare le condizioni per l'apertura di centri di coordinamento nelle zone più colpite e difficilmente raggiungibili. Inizia il nostro viaggio nel cuore del sud del libano, lungo le tre assi a est di Tiro: nord est, Sreifa; est, Tibnine e sud est, Aita Aos Chaab, quest'ultimo villaggio situato a 12 chilometri dalla blue line.
Tra le strade di montagna che portano ai villaggi, la distruzione, le macerie e il terribile puzzo di morte lasciano tutti in silenzio dietro le mascherine. Nei villaggi la maggioranza delle unità abitative sono distrutte. Stessa sorte per i piccoli negozi, i dispensari, le stazioni di gas e benzina, le condutture idriche e i serbatoi dell'acqua, i municipi: tutti distrutti o gravemente danneggiati. Le popolazioni locali tutte al lavoro nel tentativo di mettere al sicuro quei pochi beni rimasti sotto le macerie e ancora fruibili. Gli uomini di Hezbollah passano casa per casa per verificare la presenza di mine e ordigni inesplosi, e mettono a disposizione ruspe e camion per liberare i villaggi dalle macerie. La presenza di ordigni inesplosi sta causando molti problemi e sono diversi i casi di civili morti o feriti una volta tornati ai villaggi distrutti. Anche l'accesso alle coltivazioni è gravemente compromesso dalla presenza di mine. In una zona prevalentemente legata alla coltura del tabacco, la maggior parte del raccolto stoccato nelle case è andato perduto. L'80% dell'economia è distrutta e non esistono fonti alternative di reddito. Più ancora che le distruzioni materiali, è il tessuto economico e sociale a risultare estremamente compromesso.
Raggiunti i villaggi, abbiamo riscontrato la totale assenza di aiuti e l'abbandono in cui versano. Abbiamo portato solidarietà e consegnato beni di primissima necessità, monitorato i bisogni più urgenti e acquisito la disponibilità della comunità a mettere a disposizione un garage e un canale radio per stabilire un centro di aggregazione dal quale cominciare un lavoro di ricostruzione e riconciliazione. Fondamentale è stato il ruolo degli stessi sfollati che a Beirut erano entrati nella rete di volontari di Samidoun che hanno facilitato le relazioni con le comunità locali, in un ambiente fortemente radicalizzato dal conflitto. Nel Libano di oggi, in queste zone rurali e marginalizzate da una gestione fortemente politica degli aiuti statali per mano dell'High Relief Council un centro comunitario sviluppato da volontari laici e progressisti rappresenta un'esperienza importante, capace di dimostrare che la solidarietà e l'impegno sociale non sono solo ad appannaggio dei gruppi religiosi o politici. Su questo Samidoun ha le idee chiare: «In un paese come il Libano - afferma Ghassan Makaren, uno dei responsabili - questa esperienza forte di solidarietà autorganizzata dal basso è un capitale su cui costruire un paese nuovo. Spero che tra le macerie di questa guerra rimanga anche il rigido sistema etnico-confessionale che vige nel paese. Noi di Samidoun intendiamo lavorare affinché ciò avvenga attraverso una nuova partecipazione della società civile, consapevole del suo ruolo nella costruzione di un paese nuovo, di una democrazia nuova, inclusiva e popolare, in grado di marginalizzre la corruzione, il settarismo e la violenza».
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