Conflitti

Noi inquiniamo, loro respirano.

C'è chi chiede una regolamentazine negli standard per stimare la quantità di gas a effetto serra emessi: a volte le stesse società che li emettono.
12 marzo 2007

Quarant'anni fa l'emissione di carbonio della City di Londra non aveva un impatto globale: la City produceva solo smog (smoke + fog, fumo piu` nebbia, una sicura ricetta per rendere triste una citta`). Adesso è diverso. Lo smog non c'è piu. Il sole splende caldo i primi di marzo, i peschi sono in fiore, gli scoiattoli si accoppiano senza riguardo nei giardini, e il carbonio emesso attraverso la City va principalmente a nuocere i paesi del terzo mondo. Non ci vorrebbe un report per immaginarlo, ma quello recentemente pubblicato da Crisitan Aid[1], oltre a questa informazione ne aggiunge altre.

Quanto emerge di interessante dal report è che buona parte delle società britanniche sono favorevoli ad una maggiore regolamentazione. L'alfiere della deregulation, infatti, non è l'amministratore di qualche banca d'affari, ma il leader della terza via: il primo ministro britannico Anthony Blair. Per scaricarsi la coscienza utilizza la Cina, tattica diffusa oggigiorno: "Se le emissioni [di carbonio] della Gran Bretagna fossero annullate domani, la crescita della Cina riempirebbe lo spazio risparmiato in due anni." Ossia: "Se la smetto di buttare la spazzatura per strada, scommetto che tra due anni il mio vicino ne butterà ancora di più." Ebbene? Intanto io non la butto... mica è una gara a chi insozza di più! E ancora: "Non siamo noi a nuocere loro [insozzando i loro terreni], sono loro stessi" Opinabile: se una ditta europea produce vestiti in Bangladesh per il mercato europeo chi è responsabile per l'inquinamento? Come dire... cornuti e mazziati.

E infatti la causa dell'inquinamento terrestre siamo principalmente "noi sviluppati", mentre l'effetto lo sentono "loro in via di sviluppo" -- questa è la prima cosa da chiarire secondo il report. Il vero interrogativo è quanto le società dei paesi sviluppati pesano attraverso l'economia globalizzata sul bilancio ambientale del nostro pianeta. Per questo esiste uno standard per stimare l'emissione delle corporation, sviluppato da organizzazioni governamentali e non e dal World Business Council for Sustainable Development: il Greenhouse Gas Protocol (Protocollo Gas a Effetto Serra, GHGP). Il GHGP attraverso delle dettagliate linee guida permette a qualsiasi organizzazione di misurare le emissioni di effetto serra definendo tre diversi ambiti di emissione:

- Emissioni dirette prodotte da sorgenti direttamente controllati dalla società. Per esempio la macchina dell'amministratore delegato.

- Emissioni indirette prodotte principalmente dall'acquisto di energia (elettrica e non). Per esempio l'aria condizionata o il viaggio in aereo del dipendente.

- Altre emissioni indirette. Per esempio i gas emessi dallo scooter del fattorino che recapita la posta, nel processo di produzione dei mobili, delle merci acquistate eccetera.

Questo standard sarebbe perfettamente adeguato, secondo Cristian Aid, a tracciare le emissioni di gas a effetto serra. Il problema che le aziende spesso non hanno sufficiente stimoli (né bastone né carota) a utilizzarlo.Un bastone/carota è la pubblica opinione, che richie de che le aziende pubblichino qualche dato. È stato quindi creato il Carbon Discolure Project [2] (Progetto Divulgazione Carbonio, CDP), grazie al quale le aziende, in forma volontaria, possono misurare la loro emissione secondo lo standard di cui sopra.

L'ufficio pubbliche relazioni del primo ministro britannico non si è fatto sfuggire l'occasione di farsi notare, inviando una lettera al CDP (il governo italiano si è lasciato sfuggire l'occasione). In questa lettera, Blair scrive: "Vorrei anche applaudire all'alto numero di società britanniche che hanno aderito all'iniziativa" [3]. Purtroppo, dopo una lettura attenta, l'applauso di Blair potrebbe essere coperto dai fischi dell'opinione pubblica. Ad un primo sguardo i numeri sembrano essere incoraggianti: l'88 percento delle FT100 (un po' come dire le 100 società più importanti della borsa londinese) hanno risposto. Bene. Però solo il 55 percento ha dato dei risultati sensati. E solo il 24 percento ha stimato le emissioni dirette come raccomandato dal CDP. I numeri sono ancora peggiori nel caso del FT350 (rispettivamente 49, 27, 10 percento). Il giudizio è che molte società si rendono conto dell'importanza di dare una risposta, ma molte meno dell'importanza di dare una risposta sensata. E, secondo Cristian Aid, questo è causato dall'assenza di una regolamentazione statale.

A questo punto la sorpresa: le società interpellate son d'accordo. Forse non è neanche così strano. Se so che i miei concorrenti devono fare qualcosa per legge, lo farò anche io, sicuro di non dare nessun vantaggio agli altri. Se non lo faccio vengo punito e ci rimetto. Da vari mesi la City è il centro finanziario più importante al mondo. E le banche, che sono il cuore della City, sono anche il cuore del problema -- se si potesse capire in quali industrie finiscono gli investimenti, e quanto inquinano queste industrie, si avrebbe un quadro più chiaro. Ed ecco la proposta della Barclays, una delle maggiori banche di investimento londinesi: "Se il governo introducesse l'obbligo di riportare, in maniera sensata e praticabile, le emissioni di carbonio, noi saremmo pronti ad appoggiarlo." La stessa cosa dicono i vertici di HSBC, Tesco (la più grande catena di supermercati) e altri. Sinceri o meno, non si può che essere d'accordo con loro.

Tutti d'accordo allora? Non proprio. Come fanno notare a Barclays, i maggiori produttori di anidride carbonica sono i produttori di energia, ed è vero. Non perché emettono direttamente, ma perché spesso producono in maniera meno efficiente di quanto potrebbbero, ossia emettono più anidride carbonica del dovuto. Per esempio British Energy emette in media 98 grammi di CO2 per ogni kilowattora prodotto. Drax Group quasi dieci volte tanto: 851 grammi. Perché? "Le nuove tecnologie non sono competitive", dice International Power, una compagnia produttrice di energia. Ossia, come c'è da aspettarsi, oggi costa meno comprare il petrolio che piazzare pannelli solari. International Power poi aggiunge: "Noi non abbiamo nulla di contrario, in principio, con standard obbligatori di report, ma in questo caso raccomanderemmo una consultazione delle società che producono energia." Più potenza alle compagnie di produzione di energia, insomma. Anzi, più potere.

Note: [1] http://www.christian-aid.org.uk/indepth/0702_climate/missingcarbon.pdf
[2] http://www.cdproject.net
[3] http://www.cdproject.net/download.asp?file=Letter_for_CDP_from_the_Prime_Minister.pdf
[4] http://www.cnn.com/2003/WORLD/europe/02/18/sprj.irq.chirac/

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