Quando l'oppio sostituisce la moneta
Droga per cibo con il benestare dell’ISAF, l’altra economia di un villaggio afghano
6 giugno 2007
Chris Sands (The Independent, 2007)
Fonte: da Persona a Persona 6/07 (www.pangeaonlus.org)

I soldi sono completamente spariti dal villaggio di Shahran-e-Khash. Sono stati sostituiti dall’oppio, risorsa che in Afghanistan non scarseggia certamente.
Sul mercato di questa regione remota del nord-est dell’Afghanistan, 5 litri di petrolio - di un valore di circa 10 dollari - valgono 100 gr di oppio. Due bottiglie di Coca Cola invece equivalgono a 15 gr di oppio. Perfino i bambini usano l’oppio come moneta d’acquisto.
«I bambini mettono un po’ d’oppio in una foglia per poi pagare ciò che desiderano comprare. Vanno dal negoziante e gli chiedono …mi dai una penna, due quaderni, due biscotti e tre pezzetti di chewing gum?», spiega Shahran Pur, un anziano del villaggio.
L’Afghanistan è il più grande produttore di oppio e il mercato della droga costituisce un bel grattacapo per il presidente Hamid Karzai e i suoi alleati della Nato. La coltivazione di papaveri contribuisce a finanziare l’insurrezione condotta dai Talebani, ma è anche risaputo che comporta un’attività molto importante per tutto il resto della popolazione. Non c’è luogo dove questo sia più visibile che nel caso di Shahran-e-Khash, un villaggio remoto a due ore di distanza da Faizabad, la capitale del Badakhshan, regione relativamente tranquilla.
Tutta l’economia di questo villaggio è costruita intorno all’oppio, che vede tutti i suoi abitanti, dal bambino al proprietario di un negozio, coinvolti nel traffico di droga. Gli abitanti sono così poveri, che spesso non hanno abbastanza soldi per comprarsi i prodotti necessari per il loro sostentamento quotidiano. Al posto dei soldi usano i papaveri che coltivano nei campi circostanti per procurarsi ciò di cui hanno bisogno.
Quando non è stagione per la coltivazione dei papaveri, il negoziante annota su un registro i prodotti acquistati e i debiti vengono ripagati al momento della raccolta. Quando finalmente riceve la droga la rivende a un terzo acquirente che proviene dall’esterno. I soldi ricavati da questa transazione vengono poi usati per rifornire il negozio.
Khan Agha, 30 anni, che gestisce un negozio di tessuti spiega: «Si, la mia attività commerciale è basata sul papavero. Se non fosse coltivato, qui se ne andrebbero via tutti, io per primo. Dopo aver pesato l’oppio definiamo il suo prezzo. Anche la stoffa ha un suo prezzo specifico e la transazione avviene in questo modo. Dopo aver ottenuto l’oppio lo divido in pacchetti di peso uguale e lo rivendo a un cliente, che lo compra all’ingrosso. Con i soldi ricavati dalla vendita di oppio vado a Kabul per rifornirmi di stoffe per il mio negozio».
Shahran-e-Khash è nel distretto del Khash e molti villaggi in quell’area dipendono dall’oppio. Solitamente il papavero viene piantato in marzo e coltivato in agosto o settembre. Diversamente da altre parti dell’Afghanistan la raccolta avviene una sola volta all’anno a causa del freddo. Gli abitanti dichiarano risoluti che tra la popolazione locale nessuno fa uso di droga. Sottolineano anche che non hanno nessun tipo di contatto con la catena di spaccio che si trova più a sud.
Shahran Pur, l’anziano della tribù del villaggio, ha chiesto di non pubblicare il suo vero nome in questo articolo. Ha dichiarato «è lo stesso sistema, come se si coltivassero patate o cipolle e le si portassero al mercato. Il commerciante le comprerebbe e le rivenderebbe ad altri clienti. Potrà vedere arrivare in moto un ragazzo venuto per acquistare 7 kg di oppio da un negoziante. Magari ha percorso parecchi chilometri. Forse è di Faizabad e probabilmente questo è l’unico lavoro che gli permette di portare del pane a tavola. La vera mafia coinvolta nello spaccio non sappiamo neanche dove sta».
Il 90% della produzione mondiale di oppio avviene in Afghanistan e secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine la coltivazione nel 2006 è aumentata del 59% rispetto all’anno precedente. I tentativi intermittenti del governo afghano di limitare questo mercato hanno sempre trovato resistenza. Perfino l’ISAF (International Security Assistance Force) ha annunciato alla radio nella provincia del sud di Helmand che è accettabile produrre l’oppio. L’annuncio è stato ritirato dopo un reclamo venuto da Kabul.
La coltivazione in Badakhshan è aumentata del 77% l’anno scorso e gli abitanti di Shahran-e-Khash hanno dichiarato di non aver ricevuto opzioni alternative. «Mi lasci dire, che ogni membro della nostra tribù è cosciente che tutto questo è sbagliato. Sappiamo quali crimini possono essere causati per colpa di questa droga. Ci sentiamo colpevoli per questo e accettiamo il fatto di essere in parte responsabili di questi crimini», spiega Shahran Pur. «Se il governo venisse da noi e ci fornisse cibo per tre mesi, noi proveremmo a sopravvivere i restanti nove mesi con lo stomaco vuoto e smetteremmo di coltivare il papavero».
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus
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