Test di verginità sulle donne afghane anche con l'occupazione USA/NATO
L'intervento aveva l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi forniti dal sistema della giustizia.
I risultati non hanno tuttavia inciso sulla società afghana che ha continuato ad applicare le sue consuetudini misogine, come si può leggere nella tesi di laurea di Martina Pederzoli sulle donne in Afghanistan. La tesi è relativa all'anno accademico 2019-2020 e rispecchia in pieno la fase delle cosiddette "conquiste femminili".
"La polizia - scrive Martina Pederzoli - si rifiuta sistematicamente di registrare i casi di violenza, incitando le donne che sono state vittime di violenza domestica a tornare dai loro mariti. Nel 2018, l'UNAMA (Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan) ha riferito che i casi di omicidio e stupro spesso non arrivano mai in tribunale. Le autorità afghane ordinariamente allontanano le vittime o fanno pressioni affinché accettino la mediazione, ovvero una sorta di processo in cui l'autore dell'abuso si limita a promettere di non ripetere il crimine. Nonostante l'impegno assunto nel 2016 dal presidente Ghani di porre fine all'incarcerazione delle donne accusate di essere scappate dalle loro famiglie, nel 2018 la polizia e i pubblici ministeri afghani hanno continuato a incarcerare le donne e ragazze per "crimini morali" che includono la fuga da casa. Inoltre, la polizia e i procuratori hanno continuato a sottoporre ragazze a analisi invasive, scientificamente non valide, da parte dei medici del governo afghano per determinare se una donna abbia mai avuto rapporti sessuali. I funzionari afghani sostengono che il governo ha vietato questi esami, tuttavia la pratica rimane diffusa". (1)
La fonte di quest'ultima informazione è Human Rights Watch, World Report 2019, pagina 20.
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